Luca Arcidiacono: cinema, sceneggiatura e regia. Storie profonde ed autentiche.

Luca Arcidiacono, regista e sceneggiatore di origini siciliane, ha saputo conquistare un posto di rilievo nel panorama cinematografico italiano grazie alla sua dedizione e alla sua passione per il cinema. Diviso tra Roma e Catania dal 2011, ha costruito una carriera variegata e dinamica, collaborando con importanti case di produzione e realizzando cortometraggi di successo. Con una solida formazione alle spalle, che include esperienze con maestri come Sergio Rubini e la scuola Holden di Torino, Arcidiacono si distingue per la sua capacità di raccontare storie profonde e autentiche. Fondatore della Jaws Production, continua a esplorare nuove sfide nel mondo del cinema, con un occhio sempre attento alla formazione delle nuove generazioni. In questa intervista esclusiva, ripercorriamo le tappe della sua carriera e scopriamo i suoi progetti futuri.


Benvenuto Luca, la tua carriera è iniziata con una tesi sul cinema che ha influenzato Tim Burton. Come è nato questo interesse per un regista così unico e in che modo ha influenzato la tua visione del cinema?
Il primo amore per Tim Burton è stato ovviamente visivo, questo incontro tra Gotico (cupo) e Pop (colorato e sfarzoso) è stato qualcosa che, inconsapevolmente, mi ha attratto e mi ha portato ad esplorare questo autore così in profondità tanto da volergli dedicare la mia tesi di laurea triennale. Tim Burton inneggia sempre alla luce, concetto ampio ma che sento molto mio, e mette al centro della scena quei ‘Freak’ che solitamente non erano mai stati veri protagonisti, quei malesseri sociali in cui mi sono rispecchiato e con cui ho avuto a che fare più o meno direttamente e che ho naturalmente portato, senza alcuna imposizione, nei lavori che ho fatto e faccio come regista e sceneggiatore. “Scegliere la diversità come liberazione dal conformismo” è una chiave di lettura che ho fatto mia. A volte è una cosa che non si sceglie ma di certo è un modo di affrontare la vita completamente diverso e, a mio parere, migliore.

Dal 2011 vivi tra Roma e Catania. Come queste due città, così diverse tra loro, hanno influenzato il tuo percorso artistico e professionale?
Pur essendo siciliano, provengo da un paese in provincia di Catania, il mio primo approccio con la metropoli è stata Roma. E Roma mi ha cambiato completamente, ha aperto la mia mente, insieme agli studi in cinema, gli incontri con colleghi che avevano le mie stesse speranze e persone del settore con cui ho stretto legami di amicizia e lavoro. Catania è rientrata nella mia vita la prima volta per un film che ho scritto e di cui sono stato aiuto regista tra il 2016 e il 2017. È una città dove manca un’educazione cinefila e di lavoro davanti la macchina da presa e, negli ultimi anni, sto cogliendo tante opportunità per diffondere il verbo a tante giovani leve che vogliono nella vita entrare in questo mondo perché credo sia dovere di chi vive questo mondo quello di trasferire il proprio sapere a chi vuole affrontare questa complessa strada.

Hai avuto l’opportunità di formarti con professionisti come Sergio Rubini e Marco Pettenello, oltre che presso la scuola Holden di Torino. Quanto è stata importante questa formazione nella tua crescita come regista e sceneggiatore?
Da citare e aggiungere a questi che citi sarebbero in tantissimi, dagli attori Toni Servillo e Vanessa Scalera al regista Francesco Amato, dalla Casting Director Chiara Natalucci all’aiuto regista Arianna Dell’Arti, la lista sarebbe davvero lunga. Ognuno di loro ha costruito in me le consapevolezze e fatto comprendere dei limiti per provare a superarli. Se sono professionalmente quello che sono è grazie a quello che direttamente o meno mi hanno donato grazie ai lavori fatti insieme ma non solo. Se oggi posso umilmente dire di essere un regista, uno sceneggiatore, un aiuto regista e un casting è grazie soprattutto alle Persone, prima che ai professionisti, con cui ho avuto il piacere e l’onore di collaborare.

Il tuo lavoro come Casting e Aiuto Regista ti ha permesso di collaborare con importanti case di produzione italiane come Cattleya e Lux Vide. Quali sono state le sfide più grandi e le soddisfazioni più significative in queste esperienze?
Prima di tutto scoprire le tante differenze tra Cinema e Serie Tv, dall’approccio di scrittura, ai casting, alla regia e fino al set. Tante cose sono ovviamente simili ma tante altre quasi diametralmente opposte. E tutto questo difficilmente te lo insegnano in una scuola o in un’accademia. Ricordo il film “Lasciati Andare” con appunto Toni Servillo, il mio primo film da assistente casting e poi assistente alla regia, di certo una sfida grossa con un grande cast, Cattleya in produzione e la paura di non essere all’altezza; eppure, la bramosia di esserci per capire finalmente come funzionasse la grande macchina cinema. Una delle avventure più lunghe, meravigliosa ed estenuante, è stata di certo la serie “Imma Tataranni” a cui ho lavorato per le prime due stagioni. Ricordo la prima, girata tra Roma e la Basilicata lungo sette mesi più due di preparazione, giorno e notte a qualsiasi ora e in qualsiasi situazione climatica, un lavoro tanto complesso che mi ha permesso però anche di provare per cinque settimane il ruolo di aiuto regista e, credetemi, stare a capo di una carrozza di oltre cento persone e di un progetto così produttivamente impegnativo è davvero tanto tanto complesso!

Nel 2016 sei stato co-sceneggiatore e primo aiuto regista per il film “Malarazza”. Qual è stato il processo creativo e quali difficoltà hai affrontato nel realizzare un film così impegnativo dal punto di vista sociale?
Nel 2016 il regista e produttore Giovanni Virgilio mi fece leggere una bozza di soggetto di questo film. Da quando ero partito per Roma nel 2011 non avevo mai avuto modo di lavorare professionalmente a qualcosa che coinvolgesse la Sicilia per cui quella fu la prima scintilla che mi fece accettare, oltre alla voglia di scrivere un lungometraggio non mio e di potermi cimentare in una materia tanto distante da me. Fu un processo di confronto e di riscrittura lungo e laborioso ma anche costruttivo che poi continuò anche sul set dove Giovanni mi affidò il ruolo di suo Aiuto Regia. La collaborazione con lui in scrittura è poi proseguita anche per i due film successivi.

Il tuo cortometraggio “Aggrappati a Me” ha riscosso un enorme successo, vincendo numerosi premi e partecipando a oltre 80 festival. Cosa rappresenta per te questo progetto e quali sono stati i temi principali che hai voluto esplorare?
Proprio lo scorso 15 settembre abbiamo ricevuto il nostro cinquantunesimo premio. Che dire, siamo andati oltre ogni più rosea aspettativa: siamo stati venduti su cinque piattaforme, in chiaro su Rai Uno, siamo stati in più di venti paesi nel mondo. Non avrei mai immaginato che affrontare il rapporto con mia sorella Serena, ragazza con la sindrome di down, dentro un racconto di finzione dove, oltre questo, affronto anche il rapporto padre/figlio potesse scuotere così tante persone. Non sarò mai grato abbastanza a tutti coloro che hanno creduto e che hanno permesso a questa storia di diventare realtà e di certo rimarrà il progetto a cui sarò più legato perché mi ha fatto conoscere e crescere tantissimo e mi ha messo a contatto con migliaia e migliaia di persone di provenienze e culture diverse, con uno scambio sempre nuovo e stimolante.

Ora stai lavorando alla trasposizione del cortometraggio in un lungometraggio. Quali sono le sfide principali nel passaggio da corto a lungo e cosa puoi anticiparci su questo nuovo progetto?
Così come il corto nasceva non come teaser di un lungo ma con la struttura drammaturgica di un racconto breve, così il film doveva nascere da un’esigenza sensata di un racconto da espletare in almeno 90 minuti. È stato lungo e complesso trovare la scintilla che potesse convincermi davvero ad allargare quella storia ma alla fine, nell’arco di quattro anni, voglio pensare di esserci riuscito. Il copione di questo film è arrivato in finale ad un importante festival questa estate e ha vinto il Primo Premio ‘Vitaliano Brancati’ al Marzamemi Cine Fest giusto qualche settimana fa. Spero si creeranno presto le condizioni produttive affinché possa vedere la luce perché, secondo me, è la materia giusta per mettermi alla prova in vista di un esordio al lungometraggio.

Hai fondato la Jaws Production nel 2016. Come è nata l’idea di creare una tua casa di produzione e quali sono gli obiettivi che ti sei prefissato per il futuro?
La Jaws Production è stata un capitolo fondamentale della mia vita, conclusosi purtroppo nel 2021. In quegli anni io insieme allo sceneggiatore Gabriele Di Grazia e al direttore alla fotografia Luca Brunetti abbiamo voluto scommettere e la scommessa è diventata realtà, raggiungendo una troupe di quasi venti elementi più o meno costanti nell’arco delle varie produzioni che andavano da cortometraggi a videoclip e spot. Sono stati anni di grandi esperimenti e di cose ben riuscite dove il lavoro di squadra ha fatto da padrone e lo scambio umano è stato sempre l’elemento fondante di quello che stavamo facendo. Purtroppo, poi le strade spesso si dividono ma la formazione anche organizzativa è stata un’altra cosa che, anche da regista, mi ha reso più sensibile e più attento per le produzioni future che ho fatto. Fondamentale per me rimane l’avere voce in capitolo e trovare connessione, tematica o visiva che sia, nelle cose che faccio anche se non sono partorite dalla mia mente. Pensare al pubblico e alla necessità che la storia venga vista è un altro elemento per me imprescindibile per non rendere il progetto ermetico e, banalmente, d’essai.

L’insegnamento della recitazione cinematografica è un altro aspetto della tua carriera. Cosa ti spinge a dedicarti alla formazione e cosa speri di trasmettere ai tuoi studenti?
Anche questa è stata una casualità che non avrei mai pensato di raggiungere. Dal 2021 ho iniziato ad insegnare Recitazione Cinematografiche in varie accademie sul territorio siciliano, ho iniziato poi ad essere chiamato per Workshop in giro per l’Italia fino ad aprire anche lo Studio1 insieme a mia moglie, anche lei attiva nel mondo cinematografico, uno spazio polifunzionale al centro di Catania dedicato agli attori. Amo donare e condividere e credo che spesso le esigenze verso qualcosa nascano da una Mancanza. Nel mio caso, penso di voler essere una figura di riferimento per loro perché io non avevo nessuno in Sicilia quando ero ragazzo e arrivai a Roma a 19 anni completamente solo, ignorante in materia e spaurito. Questi ragazzi sanno che per qualsiasi dubbio io ci sono e che insieme possiamo costruire un percorso che permetta loro di affrontare il mondo a muso duro, cuore aperto e spalle larghe.

Guardando al futuro, quali sono i tuoi sogni e le tue ambizioni nel mondo del cinema? C’è un progetto in particolare a cui stai lavorando o un tema che vorresti affrontare prossimamente?
Attualmente sono in fase di post-produzione del cortometraggio “CrossRoad”, corto che ho girato e montato e dove sono stato anche organizzatore insieme a Jacopo Cavallaro, sceneggiatore e protagonista del corto. Siamo in fase di pre-produzione poi con un altro corto che dovrei girare nei primi mesi del 2025 nel Lazio e in sviluppo di un documentario a cui tengo molto. Poi, appunto, c’è la voglia di esordire al lungo perché sento l’esigenza di ampliare gli orizzonti e articolare un discorso che, spesso, può fare fatica ad esistere dentro la cornice temporale di un cortometraggio. Mi auguro anche di avere la possibilità di continuare ad insegnare e formare giovani leve visto quanto questo mi restituisce umanamente e di avere sempre l’occasione di mettermi in gioco in progetti miei e di altri perché le connessioni, in questo mestiere e in generale, credo siano un elemento imprescindibile per continuare ad evolvere e non rimanere sempre fermi con il rischio di chiuderci sempre più in noi stessi.

Grazie Luca, complimenti per il lavoro che stai svolgendo!
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