Manuel Zito è un pianista e compositore napoletano che ha iniziato il suo percorso musicale a soli 5 anni. Dopo essersi diplomato al Conservatorio “S. Pietro a Majella” di Napoli, ha esplorato diversi generi musicali, passando dalla musica classica a quella contemporanea, fino ad arrivare alla composizione per audiovisivi. Con collaborazioni prestigiose e registrazioni nei leggendari studi di Sundlaugin in Islanda e ai Forum Studios di Roma, Zito ha costruito una carriera che spazia dalla musica per film alle playlist di successo sulle piattaforme digitali. In questa intervista, esploriamo le sue influenze, i momenti chiave della sua carriera e la sua visione della musica nel mondo di oggi.
a cura di Antonio Capua
Benvenuto Manuel, hai iniziato a suonare il pianoforte da bambino, un percorso che ti ha accompagnato per tutta la vita. Cosa rappresenta per te il pianoforte oggi, a livello emotivo e personale, rispetto a quando hai iniziato?
Iniziare da bambino significa suonare “giocando”, come la parola inglese “to play”. Oggi suonare il piano rappresenta l’estensione della mia personalità e la consapevolezza che è diventato il mio lavoro. Questo mi dà tanta gratificazione. Il mio lavoro di compositore mi porta comunque, in alcuni momenti, a scrivere nuove cose con l’improvvisazione e, quindi, rimane una parte “giocosa” del suonare. Cerco di non perderla mai, anche se, vista la velocità di tutto quello che accade in questo periodo storico, è abbastanza difficile.
L’album “A Rush of Blood to the Head” dei Coldplay è stato una svolta nella tua vita musicale. Come ha influenzato il tuo percorso e quali altre influenze extra-classiche hanno arricchito il tuo modo di comporre?
Quell’album e, in particolare “Clocks”, hanno dato una svolta alla mia vita musicale (in realtà anche alla mia vita personale). Era il 2003, avevo 15 anni, studiavo musica classica seppur non disdegnavo di ascoltare musica leggera. In quel caso, però, ho capito che il piano funziona bene anche in altri contesti. Da lì ho iniziato a suonare in gruppi di musica leggera di vario genere, per cui le influenze extra-classiche sono tante. Nelle varie fasi della vita sono passato dal brit-pop al grunge, dal post-rock al jazz, dalle colonne sonore all’elettronica. Questo grande bagaglio di ascolti e gruppi in cui ho suonato, di generi diversi, mi ha portato a sviluppare una qualità importante come artista: la curiosità.
Nel 2017 hai registrato il tuo primo disco, Fernweh, nei Sundlaugin Studios in Islanda, dove hanno lavorato artisti come Sigur Rós e Björk. Com’è stato registrare in un ambiente così iconico?
Ovviamente è stata un’esperienza indimenticabile per due motivi: per la prima volta registravo qualcosa di mio e sono partito da uno degli studi di registrazione più importanti del mondo, l’altro motivo è che ho iniziato ad ascoltare i Sigur Rós nel lontano 2003, sotto consiglio del mio “spacciatore di fiducia” di musica dell’epoca che era mio cugino. Tra l’altro fu sempre lui a farmi ascoltare “A rush of blood to the head”. Quindi andare a registrare in quello studio cosi incredibile, dove è stata registrata musica che ho ascoltato nel tempo, con il fonico che ha registrato quei brani, è stato molto emozionante e istruttivo. Sono passati più di 7 anni ma quando ci penso mi vengono i brividi ancora adesso!
Sei anche un compositore di musica per film e audiovisivi. Quali differenze trovi tra comporre musica per un disco e creare una colonna sonora?
La differenza sostanziale è l’obiettivo per cui si scrive la musica: in quella senza immagini posso sperimentare, trasferire le mie emozioni, usare lo spazio e il tempo musicali come sento. Nella creazione di una musica legata alle immagini si è consapevoli che il tutto deve essere di supporto alle immagini stesse, al non detto, alla psicologia, al tempo delle inquadrature. Cerco comunque di mettere la mia identità anche in questo. In qualche modo lo faccio anche nella danza, quindi probabilmente è la mia indole che si sposa bene nel “supportare” altre arti.
Alcuni dei tuoi brani, come “Ann’s Lullaby”, sono entrati nelle playlist di Spotify raggiungendo milioni di ascolti. Cosa significa per te sapere che la tua musica è apprezzata a livello globale e come questo influisce sul tuo processo creativo?
Ovviamente la soddisfazione è tanta. Per un po’ di tempo ha influito, in quanto ho cercato consapevolmente di “inseguire” quel tipo di suono, di gesto musicale, che hanno funzionato in alcuni brani. Adesso, però, ho capito che è stato un freno. Cerco di fare quello che mi piace, quello che mi interessa stando attento alle direzioni musicali in cui si sta andando, ma cercando di farmi influenzare molto meno di prima.
Hai collaborato con artisti come Cristina Donà e i Blindur. Quanto è importante per te la collaborazione artistica e cosa cerchi in un progetto che coinvolge più musicisti?
Per me la collaborazione artistica è un momento di grande crescita soprattutto umana, quindi quando capita è perché c’è feeling a livello umano (Massimo De Vita dei Blindur è stato il produttore dei miei 2 dischi, “Fernweh” e “Coincidences”). In questo momento sto collaborando principalmente con colleghi del mio genere, ma ho iniziato anche con un amico che produce musica tra l’house e l’elettronica, registrando il piano, (un po’ in stile Kiasmos, ma non solo) perché il progetto può andare in una direzione interessante.
Nel 2021 hai registrato il tuo secondo disco, “Coincidences”, ai Forum Studios di Roma, uno spazio storico per la musica da film. Cosa ha rappresentato per te lavorare in uno studio legato a grandi maestri come Ennio Morricone?
Morricone è tra i miei riferimenti musicali, per cui stare a contatto con l’ambiente in cui ha registrato “Nuovo Cinema Paradiso”, “La leggenda del Pianista sull’Oceano”, ecc è stato veramente emozionante. Lì c’è un pianoforte elettro-meccanico che è stato usato in una colonna sonora che amo “Indagine su di un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, che ho utilizzato nel brano “Wabi sabi”. Inoltre è stata registrata la colonna sonora premio Oscar “La vita e bella” e i Goblin hanno registrato “Profondo Rosso”. Ho usato uno strumento molto particolare, che si chiama Celesta, usata in entrambe le colonne sonore. E’ stata usato proprio quello strumento che ho registrato anche nel mio disco! Tra l’altro ha un suono meraviglioso ed evocativo.
La musica nord-europea ha avuto un forte impatto sulla tua evoluzione artistica, in particolare quella di Ólafur Arnalds. Cosa ti affascina di questa corrente musicale e come l’hai integrata nel tuo stile?
Mi affascina l’unione tra gli strumenti acustici (pianoforte, archi), con i suoni elettronici. Sono andato anche io in quella direzione, perché trovo che sia il punto di incontro tra l’antico e il moderno. Da lì ho cercato di approfondire soprattutto l’uso dei sintetizzatori, che ho integrato nella mia “tavolozza di colori” musicale.
Sei pianista accompagnatore per la danza nei Licei Coreutici in Italia. In che modo questa esperienza ti ha arricchito come musicista e come pensi che la danza influenzi la tua visione della musica?
L’esperienza mi ha arricchito e mi continua ad arricchire molto perché, anche grazie alla danza, ho iniziato a scrivere musica. Alcuni colleghi e studenti mi hanno incoraggiato a continuare nel comporre per la danza, il che mi ha portato anche a scrivere le musiche per uno spettacolo del coreografo Marco De Alteriis, andato in scena al Teatro Sannazaro di Napoli, lo scorso anno. La danza influenza la mia musica quando, ovviamente, compongo per una coreografia. Per cui ogni volta succede qualcosa di nuovo, di diverso.
Hai in mente nuovi progetti o collaborazioni? C’è una direzione musicale che desideri esplorare o un sogno che vuoi realizzare nella tua carriera?
Le collaborazioni aperte in questo momento sono varie e di diverso genere. Voglio continuare a fare musica cercando sempre di mettere la mia personalità in qualsiasi cosa faccia. Qualche sogno nel cassetto ci sarebbe, tipo scrivere una colonna sonora per una serie. Vedremo se il sogno diventerà realtà!
Grazie Manuel e complimenti per il tuo lavoro
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