Marco Benato è un percussionista di talento e docente con una formazione musicale di altissimo livello. La sua carriera si snoda tra importanti collaborazioni con orchestre nazionali e internazionali e l’insegnamento, trasmettendo la sua passione per la musica alle nuove generazioni. Attraverso sacrifici, dedizione e una profonda apertura mentale, Marco ha saputo affermarsi nel competitivo mondo della musica. In questa intervista ci racconta il suo percorso, le sfide incontrate lungo la strada e le soddisfazioni raccolte, offrendo una visione unica della sua esperienza.

a cura di Noemi Aloi


Benvenuto Marco Benato, lei è un musicista e docente che vanta una formazione e delle collaborazioni invidiabili. Partiamo subito facendo un passo indietro, e torniamo a quando è iniziato tutto. Lei è un percussionista, all’inizio ha suonato anche altri strumenti o si è avvicinato alla musica proprio con le percussioni? Ci parli di come è nata la passione per la musica.
Grazie per l’accoglienza! Sono davvero onorato di poter prendere parte alle vostre interviste. La musica è stata da sempre una mia grande passione, sin da bambino, quando inventavo canzoni in casa e picchiettavo oggetti qua e là (per la gioia dei miei fratelli e dei miei vicini!). Proprio per questo interesse, all’età di otto anni i miei genitori hanno deciso di iscrivermi a un corso per bambini di Propedeutica Musicale presso il Conservatorio di Mantova. Lì ho incontrato insegnanti ottimi, che dopo tre anni mi hanno suggerito di proseguire con il corso accademico di percussioni. Si potrebbe definire un azzardo, è vero, ma direi che è stato assolutamente vincente, soprattutto grazie alle persone straordinarie che ho avuto la fortuna di incontrare! Così, a 11 anni, ho intrapreso questa avventura musicale nella classe di percussioni del Maestro Loris Stefanuto, e questa da lì è diventata per me una seconda casa per ben undici anni. È stato in questo contesto che ho realizzato quanto sia vasto, vario ed emozionante il mondo della percussione.

Lei ha studiato al conservatorio, come è intraprendere questo percorso di studi? Mentre era uno studente ha mai pensato di mollare perchè si è sentito troppo sotto pressione?
Iniziare un percorso in conservatorio può sembrare semplice, forse perché la musica viene spesso associata a un’idea di leggerezza e svago, essendo comunemente legata al tempo libero. Tuttavia, la realtà è ben diversa. Intraprendere un cammino del genere richiede sacrifici in termini di energie, risorse economiche (soprattutto quando gli strumenti da acquistare sono molti), amicizie personali e, soprattutto, un’enorme quantità di tempo che potrebbe essere dedicato ad altro. Per chi, come me, non proviene da una famiglia di musicisti, è chiaro che imparare a suonare uno strumento non è facile, per non parlare di trasformarlo in una professione. Ho dedicato migliaia di ore allo studio della musica che unite a una certa caparbietà, orgoglio, empatia e pragmatismo, mi hanno permesso di diventare il musicista che sono oggi.
Non è stato solo merito della mia testardaggine. Devo moltissimo anche ai miei familiari, amici e ai miei docenti, in particolare al mio Maestro Loris Stefanuto, che ha sempre messo anima e corpo per far sì che ogni studente potesse dare il meglio nel suo percorso di vita. Conservo con cura i ricordi e gli insegnamenti ricevuti da molti altri docenti incontrati durante il mio percorso di formazione che hanno lasciato un segno importante nella mia crescita personale.
Ci sono state infatti molte occasioni in cui ho pensato di mollare tutto. Nei primi anni, alcuni ex compagni o coetanei mi avevano suggerito di intraprendere altri percorsi a causa delle prime difficoltà che incontrai nel mio percorso musicale. Ricordo che molti amici del liceo si meravigliavano di come passassi ore in conservatorio, subito dopo la scuola, per poi tornare a casa tardi la sera e studiare per il mattino seguente. Ammetto che alcuni docenti e amici meno sensibili alla musica hanno cercato di farmi cambiare strada, ma per fortuna nessuno ci è riuscito. Un altro momento di ripensamento è stato quando ho visto che i miei amici si trasferivano in nuove città e vivevano il brio della vita universitaria, mentre la mia vita sembrava scandita solo da studio e sacrifici. A complicare la scelta, ho dovuto persino iniziare a lavorare all’età di 19 anni come cameriere e insegnante di musica per aiutare la mia famiglia.
Sono state sfide che mi hanno reso più deciso e tenace, qualità necessarie nel mondo della musica, dove il mettersi in discussione e l’incertezza fa parte della professione perché ti spinge a migliorarti ogni giorno e a non accontentarti mai.

Nel corso della sua carriera ha avuto modo di suonare nelle Orchestre Nazionali più prestigiose, come è essere all’interno di un’Orchestra rispetto a suonare in una band?
Sì, ho suonato in contesti molto diversi tra loro e devo dire che è proprio questa varietà che apprezzo di più, perché amo cambiare e sperimentare. Premesso che in entrambe serve il giusto grado di preparazione, le differenze principali tra un’orchestra e una band sono molte. Nell’orchestra, l’attenzione è posta sull’insieme, sulla precisione dell’interpretazione e sulla perfezione tecnica. Questo può diventare quasi maniacale, con un focus costante sulla prassi e sull’esecuzione impeccabile, ecco perché occorre molto studio prima di affrontare certi programmi. Al contrario, nelle band c’è più libertà di esprimere la propria personalità musicale, e spesso c’è spazio per l’improvvisazione ritmica o melodica. Questo non significa che il livello sia inferiore, ma piuttosto che vi è un diverso approccio all’esecuzione, più aperto e flessibile. Ciò non toglie che bisogna studiare anche per essere in grado di affrontare questi momenti più liberi, altrimenti si rischia di risultare alquanto impreparati.
Inoltre, poiché l’orchestra è una formazione più ampia e strutturata, ci sono regole rigide da seguire, e questo può rendere più difficile creare legami rispetto a quanto accade nei piccoli gruppi, dove c’è più informalità, versatilità di adattamento e vicinanza tra i membri.

Oltre ad essere un musicista, è anche un’insegnante, come concilia queste due attività, e quali aspetti le piacciono dell’insegnamento?
Essere un musicista esecutore rappresenta solo una parte del mio percorso artistico. L’insegnamento è un aspetto cruciale della mia professione e le due attività si completano a vicenda. Insegnare significa trasmettere la mia passione per la percussione e condividere tutto ciò che ho appreso, consentendomi di riscoprire la bellezza della musica attraverso i miei studenti. Al contempo, suonare mi consente di mantenere costanza nello studio e di rimanere aggiornato sul panorama musicale, sia italiano che internazionale, oltre che esprimere me stesso.
Comunque, credo fermamente nel potere educativo e umanitario della musica, soprattutto per le nuove generazioni. Vedere i miei studenti dedicarsi con passione durante gli spettacoli e collaborare nonostante le differenze economiche, fisiche, cognitive, sociali e culturali mi dà grande speranza. Osservarli eccellere in un’arte così astratta e culturale è appagante, specialmente in un’epoca in cui i giovani vivono sempre di più in un contesto virtuale, apatico e difficile.

Studiare musica soprattutto ad un certo livello, richiede impegno, costanza e disciplina, che cosa consiglia ad un giovane che vuole intraprendere questo percorso? Lo strumento va suonato ogni giorno?
Ad un giovane che vuole intraprendere questo percorso consiglio di valutare bene cosa vuol fare da grande. Già come ho detto prima, io stesso ho avuto diversi ripensamenti e momenti di introspezione, ma in fondo sapevo sempre quale fosse la mia strada, una consapevolezza che si è rafforzata quando ho iniziato ad ottenere soddisfazioni professionali, tra le quali partecipare a eventi di un certo rilievo.
Lo studio è essenziale, soprattutto in giovane età, quando le capacità intellettive sono più malleabili e si progredisce con maggiore facilità. Ricordo anche che uno dei miei insegnanti che mi diceva sempre “studia finché sei giovane, perché quando crescerai farai fatica”, ed è proprio così: la vita di un adulto è sempre piena di mille cose, imprevisti, impegni e perciò è sempre molto difficile ritagliarsi del tempo per studiare e non sarà mai la stessa quantità di tempo che avevo a disposizione da studente. Inoltre, imparare a suonare uno strumento insegna l’importanza dello spirito di sacrificio, una virtù sempre più trascurata nella società odierna, dove si tende a voler ottenere tutto immediatamente.
Inoltre chi vorrebbe fare il musicista deve sapere che dovrà studiare tutta la vita, cercando sempre di migliorarsi, magari arricchendo le proprie conoscenze con altri linguaggi e strumenti. Io stesso sto studiando chitarra e in futuro vorrei imparare a suonare la tromba ed approfondire i linguaggi del jazz e della musica etnica. Questo perché solo perché questi strumenti mi affascinano, ma anche perché, durante un concerto, vedere un musicista che si destreggia tra più strumenti è sempre di grande impatto. Sono consapevole che potrebbe sembrare un controsenso, considerando quanto dicevo sul vastissimo mondo della percussione, ma questo è il mio modo di essere. Ho sempre bisogno di nuovi stimoli e mi considero una persona molto curiosa e aperta, qualità che, a mio avviso, sono fondamentali per chi desidera diventare un musicista! D’altronde si è soliti dire “Non si finisce mai di imparare”.

Come mai ha preso la decisione di laurearsi anche in Economia e Gestione delle Arti e delle Attività Culturali, e cosa è cambiato lavorativamente da quando ha raggiunto questo obiettivo?
In cuor mio ho sempre voluto portare a termine un percorso accademico aggiuntivo rispetto al mondo del Conservatorio e infatti ho amato moltissimo il mio percorso di laurea, perché mi ha fatto confrontare con temi poco o per nulla esplorati durante il Conservatorio.
Difatti il lato più “imprenditoriale” della musica, viene spesso trattato in modo superficiale, se non del tutto trascurato, negli ordinamenti dei Conservatori. Frequentare questo corso, invece, mi ha restituito l’energia tipica di chi si immerge nella vivacità del panorama culturale in generale. Poter apprendere i processi sociali, economici, giuridici, demografici, antropologici, fruitivi, manageriali, filosofici e produttivi commerciali che stanno alla base del consumo culturale, mi è servito moltissimo per completare la mia figura di professionista culturale.
Oggi utilizzo queste conoscenze e strategie nella mia attività di musicista. In particolare, ho collaborato come organizzatore di Festival Internazionali come Trame Sonore e attualmente faccio parte della gestione di diverse realtà musicali, tra cui i “Tempo Primo Percussion Quartet” (un quartetto cameristico di percussioni), i “Calaluna – tributo a Fabrizio De André”, e “Interstellar Orchestra”, un tributo al compositore di musica da film Hanz Zimmer. Di tanto in tanto, fornisco qualche consiglio a realtà musicali con cui collaboro, come tra i vari Banda Faber, gruppo bresciano dedicato al Cantautorato Italiano. Ho in mente di ampliare i miei progetti, ma al momento direi che sono abbastanza preso dai vari impegni.

Ha avuto modo di collaborare con artisti di fama internazionale, quale è stata una delle esperienze che le è piaciuta di più da questo punto di vista, in cui si è trovato e divertito?
Ho avuto la fortuna di collaborare con artisti di altissimo livello si, ma anche di vivere esperienze memorabili in diversi contesti musicali. Da studente, ho amato particolarmente il lavoro nelle Orchestre Giovanili, in particolare quella del Teatro Olimpico di Vicenza e quelle dei Conservatori italiani, che mi hanno dato l’opportunità di partecipare a tournée all’estero.
Nonostante riuscire a portare in scena spettacoli di progetti autogestiti sia la cosa che amo di più in assoluto (la soddisfazione nel vedere che i propri sforzi vengono apprezzati da platee con centinaia di persone è sempre veramente appagante), ho avuto anche diverse collaborazioni emozionanti con artisti di alto calibro. Tra le mie collaborazioni, una delle più emozionanti è stata quella con un direttore inglese abbastanza conosciuto, Timothy Henty, per il film Harry Potter e il Calice di Fuoco. Suonare musiche così belle, accompagnato dalla proiezione delle magiche avventure dei protagonisti, è stato un momento di grande gioia e divertimento.
Inoltre, ho conservato grandi ricordi quando abbiamo eseguito repertori molto complessi in prestigiose sale da concerto con grandi Maestri, come nel caso del concerto con Wayne Marshall alla Fenice a Venezia, o quello del M° Manfred Obrecht al KKL di Lucerna. In questi casi è sempre stato divertente notare come l’emozione e l’ansia da prestazione siano in qualche modo sempre presenti, nonostante gli anni di esercizio e i concerti alle spalle.

Anche esibirsi in una delle edizioni di Intimissimi on Ice all’Arena di Verona, di fronte ad una platea di 15.000 spettatori, contorniati da Vip e riprese televisive è stato molto divertente, avvincente ed emozionante. Inoltre, collaborare con artisti famosissimi come Andrea Bocelli mi ha permesso di comprendere la portata organizzativa e la reale complessità di alcune realtà musicali, coinvolgendo migliaia e migliaia di operatori dello spettacolo, per non dire della quantità di persone che coinvolgono durante il loro spettacolo. È come se creassero un vero e proprio fenomeno culturale di massa, movimentando vere e proprie masse di fruitori. È molto affascinante, ti fa sentire parte di qualcosa più grande, di un vero e proprio mondo.
Infine, una delle cose più incedibili e divertenti da notare è che tra i famosi musicisti con cui ho avuto la fortuna di collaborare (come Placido Domingo, Beppe Carletti, Stewart Copeland e molti altri) quasi tutti riescono a mantenere un senso di umanità non solo verso gli altri artisti, ma soprattutto nei confronti del pubblico. Nei loro spettacoli alternano momenti di grande maestria a quelli più leggeri e divertenti, come se cercassero una connessione autentica con chi li ascolta. Credo che l’adrenalina del palcoscenico giochi un ruolo fondamentale nella vita di queste persone, e che non potrebbero mai fare a meno del loro pubblico.

Come percussionista non si limita alla classica, ma lavora anche a progetti di musica moderna, quale genere preferisce?
Credo che più un percussionista è sia aperto a diversi stili e generi musicali, maggiori saranno le sue opportunità lavorative. Le percussioni, infatti, sono presenti in praticamente tutti i generi musicali, il loro impiego nella musica classica varia a seconda del programma previsto: ci sono concerti con parti per le percussioni molto stimolanti che costituiscono una vera sfida, mentre altri in cui le percussioni hanno parti molto brevi e semplici, o non sono presenti affatto.
Personalmente, preferisco contesti meno rigidi e più liberi. Per questo motivo, sono più attratto dalla musica moderna, dove c’è maggiore libertà sia dal punto di vista musicale che improvvisativo. In questo ambiente, sento di poter liberare maggiormente la mia espressività, vivacità ed energia, cosa invece non sempre possibile nei contesti classici dove c’è più rigore.

Lei è riuscito ad avere successo, e immagino grandi soddisfazioni in un ambito competitivo e difficile. Quale è il segreto per arrivare dove altri mirano e basta, in una realtà come l’Italia, dove la musica a volte viene considerata un mero hobby?
Sì, io penso di aver avuto molte soddisfazioni durante la mia carriera, e Il segreto per me è un mix di costanza, apertura mentale, perseveranza e cura delle relazioni personali.
È fondamentale essere costanti nello studio, nella pratica del repertorio e nelle proprie motivazioni, per non trovarsi mai indietro.

L’apertura mentale è altrettanto importante, poiché consente di esplorare i diversi aspetti della musica e di apprendere continuamente.

La perseveranza è un tema ricorrente nella vita di un musicista. TUTTI i musicisti italiani almeno una volta nella loro vita si trovano a dover rispondere alla classica domanda: “Fai il musicista? Che bello! Ma di lavoro cosa fai?”. Questo è un classico esempio di come mediamente la musica sia percepita come uno svago dalla maggior parte delle persone e non un mestiere vero e proprio (questo forse perché anche la categoria dei lavoratori dello spettacolo è poco compatta a livello sindacale e giuridico). Si tratta invece di una realtà difficile, caratterizzata da audizioni, concorsi, recensioni e rifiuti. È incredibile sapere che molti miei compagni di studi molto talentuosi hanno abbandonato il percorso dopo anni di sacrifici, perché si sono fatti trascinare da altro solo perché mancavano di perseveranza o perché hanno dato troppo ascolto a giudizi negativi. I giudizi (spesso di commissioni un po’ troppo severe) non sono mai in grado di giudicare la tua persona nell’interezza, anche perché nessuno ti conosce meglio di te stesso. So che è molto difficile farsi scivolare addosso certi verdetti e pregiudizi, ma nel nostro settore è essenziale.
Infine, l’ultimo ingrediente è quello delle relazioni personali. A parità di talento con altri tuoi competitor, coltivare le giuste relazioni professionali ed umane, circondarsi di persone sensibili e di cultura, comportarsi con onestà e puntualità nei diversi contesti, essere persone serie, aperte, disponibili ed affidabili, senz’altro permette di navigare nel panorama professionale e cogliere le opportunità che si presentano.

Il suo ultimo concerto l’ha vista partecipare alla produzione di uno spettacolo orchestrale con Stewart Copeland dei Police. Ci parli di questa sua ultima avventura.
Lavorare con Stewart Copeland nello spettacolo italiano “Police Deranged for Orchestra” è stata un’esperienza pazzesca. Quell’uomo ha un’energia e una voglia di fare ben al di sopra della norma, considerando l’età. Venendo dal punk, poi rock, ed essendosi evoluto in generi diversi (tra cui il reggae) senza perdere le sue radici, Copeland ha mantenuto un tiro pazzesco per tutto lo show, compresi i volumi. È davvero un talento, sia musicalmente (pensate, ha arrangiato in maniera molto fine lui tutti i brani), sia perché si è esibito, oltre che al suo strumento (la batteria), anche alla chitarra, dirigendo persino l’orchestra, dando continuo spettacolo. Ci ha dato una certa confidenza durante lo spettacolo, specialmente a noi percussionisti, poiché molti dei suoi arrangiamenti puntavano molto sui colori e sulle timbriche della band e delle percussioni.

È stato un vero piacere condividere la musica di Copland con lui, con l’Orchestra di Ferrara diretta dal Maestro Valentino Corvino con i talenti delle cantanti soul sisters Sarah-Jane Wijdenbosch, Laise Sanches e Raquel Brown, insieme all’enorme maestria dei grandi Gianni Rojatti, Faso e Vittorio Cosma. Tutti questi artisti raggiungono una preparazione musicale e una presenza scenica veramente di livello altissimo.

Inoltre, per questa produzione ho potuto lavorare a stretto contatto con diversi amici, due dei quali miei colleghi percussionisti, Fabio Orlandelli e Francesco Trevisan, che stimo moltissimo per le loro grandi doti professionali e umane e, tra l’altro, una bellissima sorpresa c’è stata pure tra il pubblico quando abbiamo saputo che a Ferrara era presente il Maestro Ellade Bandini, mentre a Milano il nostro vecchio insegnante Loris Stefanuto!

In conclusione, è stata un’esperienza stupenda, con grandissimi artisti degni del loro nome! La conserverò a lungo tra i miei ricordi più emozionanti.

Grazie Marco per la sua interessante intervista e complimenti per la sua carriera artistica e professionale.
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