Dall’amore per il teatro coltivato fin da bambino alla recente partecipazione al musical Anastasia, Marco Carnevali è una giovane promessa del musical italiano. Con una laurea in DAMS e una formazione alla SDM – Scuola del Musical, Marco ha partecipato a produzioni importanti come Spring Awakening, Bonnie & Clyde e Mrs. Doubtfire. In questa intervista esploriamo il suo percorso formativo, le sfide incontrate e i sogni di un talento che sta facendo della sua passione una carriera.
Benvenuto, Marco! Grazie per essere qui. Partiamo dall’inizio: cosa ti ha spinto a immergerti nel mondo del teatro e della musica già a soli 9 anni?
Ciao, grazie a voi per questa intervista! Sono stati i miei genitori a spingermi a frequentare vari corsi al di fuori della scuola, di qualsiasi tipo (mi hanno anche fatto provare diversi sport e quasi tutti sono stati dei tentativi fallimentari). Mi hanno portato a 9 anni al Coro delle Voci Bianche del Teatro Goldoni di Livorno, insieme a mia sorella; da quel momento sono rimasto dentro a quel teatro per diversi anni, facendo diversi laboratori.
Hai frequentato il Teatro Goldoni di Livorno, un luogo storico e di grande tradizione. Quanto è stata importante quell’esperienza per la tua formazione artistica?
Il Goldoni è il punto dove tutto è iniziato. È stato proprio in quelle sale che credo di aver scoperto la mia “voce”, non solo come voce cantata ma proprio come identità dentro quel mondo. All’inizio lo facevo solo per divertirmi e svagarmi, poi ho capito come la possibilità di giocare e trasformarsi sul palco fosse qualcosa che mi dava libertà, e non volevo mai smettere.
La tua tesi al DAMS Gr*sso: storia di un corpo invisibile nel musical theatre, è un titolo intrigante. Puoi raccontarci cosa ti ha spinto a esplorare questo tema e quali riflessioni hai voluto proporre?
Sono tanto fiero della mia tesi, avevo bisogno che non fosse solo un “compito finale” ma la sintesi del mio percorso triennale e di un percorso di consapevolezza nei confronti di tematiche inerenti la body-positivity, quali il body-shaming e la grassofobia. Sono temi che mi stanno a cuore, e nella tesi parlo di come il mondo dello spettacolo (nello specifico quello del musical) sia spesso intriso di stereotipi e canoni tossici che riguardano il corpo, e che si legano a uno stigma sociale basato sull’idea che il corpo grasso sia sbagliato. Il fulcro di tutto il lavoro è l’idea presente in molti contesti (da conversazioni quotidiane a film, pubblicità, spettacoli) che il corpo umano abbia una connotazione morale, e che a seconda della sua forma e della sua “bellezza” sia meritevole o meno di rispetto.
Il musical Spring Awakening, con la regia di Alessia Cespuglio, è un’opera complessa e intensa. Qual è stata la tua esperienza con questo spettacolo e come ti sei preparato per affrontarlo?
Spring Awakening è stata la mia primissima esperienza di allestimento. Ho sperimentato cose nuove per me, come le otto ore giornaliere passate nella stessa sala prove per tre settimane; la relazione con un cast, che in quel caso è diventata vera e propria convivenza per i rapporti che si sono creati; il lavoro sul personaggio, la sua riscoperta continua; anche la fatica della ripetizione, di cominciare l’ennesimo filato sempre con la stessa intensità. Ho amato tanto il mio personaggio, Moritz, e ho cercato di prepararmi prima e durante l’allestimento guardando l’attore originale di Broadway, John Gallagher Jnr., e l’attore della prima versione italiana, Flavio Gismondi. Da lì mi sono immaginato un modo per adattare quel personaggio sulla mia fisicità e sulla mia “energia scenica”, se così si può chiamare, seguendo tutte le indicazioni che mi sono state date da Alessia.
Dopo il DAMS, hai intrapreso un percorso alla SDM – Scuola del Musical, una delle scuole più prestigiose in Italia. Quali sono stati gli insegnamenti più preziosi che hai ricevuto durante la tua formazione?
La SDM mi ha dato gli strumenti per affrontare quello che adesso è il mio lavoro, mi ha insegnato ad avere la testa giusta per lavorare bene, ed è quella spesso a fare la differenza a discapito del talento. Un’altra cosa che ho capito e vissuto sulla mia pelle durante l’accademia è che per essere bravi artisti bisogna essere brave persone. Si pensa sempre a questo lavoro come un lavoro di ego, quando in realtà per farlo bene credo che basti mettersi al servizio di una storia e fare di tutto affinché il risultato finale venga bene. Bisogna lavorare per un bene più grande, per fare qualcosa che chi sta seduto in platea vive come un sogno.
Tra i progetti a cui hai lavorato ci sono Bonnie & Clyde e Mrs. Doubtfire. Quali sfide e soddisfazioni hai trovato in queste due produzioni così diverse?
Sono i due spettacoli con cui ho concluso il mio percorso accademico, e per questo entrambi hanno rappresentato “l’ultimo scoglio”, l’occasione di tirare le fila di tutto quello che avevo imparato e di metterlo in pratica sul palco. Per me la sfida più grande è stata Bonnie & Clyde, dove interpretavo un personaggio lontanissimo da me e da tutto quello che avevo fatto prima. A prescindere dalla resa finale, sono soddisfatto del lavoro che ho fatto per crearlo, per diventare quel personaggio senza adattarlo troppo su di me o cambiarlo per renderlo più facile da interpretare. Mrs. Doubtfire è stata una grandissima soddisfazione, credo che Frank Hillard sia diventato ufficialmente uno dei miei dream role. È esattamente il tipo di persona che immagino di diventare tra trent’anni, con le stesse nevrosi e ansie. Ero felice perché sapevo di fare una cosa giusta per me, senza comunque cadere nel cliché o nel banale, e quindi mi sono semplicemente divertito. Sono grato di avere avuto come partner di scena Davide Tagliento, una persona frizzante e soprattutto un lavoratore intelligente e pronto a tutto. Io e lui stiamo progettando altre cose per il futuro, Mrs. Doubtfire è stato solo l’inizio!
Ora fai parte del cast di Anastasia, un musical internazionale molto amato. Come ti stai preparando per questo ruolo e cosa significa per te far parte di una produzione di Broadway Italia?
Abbiamo concluso da un mese circa le prove e le primissime anteprime del tour, a dicembre riprenderemo con le prime ufficiali. È un sogno ad occhi aperti, sono davvero tanto grato di poter partecipare a un progetto così grande e soprattutto così affascinante. Sono una persona molto emotiva, quindi vivere un allestimento di uno spettacolo di per sé emozionante, con un cast di artisti e persone incredibili e un team creativo che ha messo cuore ed estrema professionalità in ogni dettaglio dello spettacolo, mi ha letteralmente portato a piangere quasi tutti i giorni di prove e di spettacoli. Non so come reggerò le prossime repliche.
Hai lavorato con registi come Federico Bellone, Claudio Zanelli e Chiara Vecchi. Cosa hai imparato da queste collaborazioni e come influenzano il tuo approccio alla recitazione e al canto?
Claudio è stato uno dei miei primi insegnanti di recitazione in accademia, quindi mi ha dato le basi e gli strumenti pratici per affrontare un monologo o una scena. È come se mi avesse dato una bussola per orientarmi sul palco, visto che quando vi si sale sopra ci dimentichiamo di fare cose da esseri umani nel tentativo di “recitare” qualcosa. Chiara è stata una delle mie insegnanti di MTE, ossia Musical Theatre Ensemble (eseguire dei brani di ensemble tratti dal repertorio musical), che è la materia più vicina al mondo del lavoro perché ti insegna a lavorare all’interno di un ensemble. Come ho avuto modo di vedere in Anastasia, di cui lei è regista associata e coreografa, ha la stessa modalità di approccio sia in classe che a lavoro, quindi ti dà modo di avere un confronto reale con quello che succede fuori. Lei non insegna a cantare, recitare o ballare, ma fa capire cosa è necessario avere o imparare per poter fare questo mestiere. Sa essere estremamente giusta nella “costruzione” delle coreografie, nel mettere ognuno nel posto più adatto, e sa comunicare l’importanza di ogni gesto, ballato o recitato, indirizzando al meglio ogni membro del cast. Federico è colui che ha mostrato tantissimo cuore nel lavoro su Anastasia. Lui sa guidare gli attori attraverso la scena, arrivando in sala prove con la geografia esatta di quello che deve montare nella sua testa ma lasciando ad ognuno lo spazio di sperimentazione e scoperta necessaria nel processo di montaggio. È uno che entra in sala prove con entusiasmo e voglia di farsi stupire ed emozionare. Spesso vedevo che anche lui si commuoveva molto, e questo mi faceva piangere ancora di più.
Il musical theatre sta vivendo una grande rinascita in Italia. Come vedi il futuro di questo genere e qual è il tuo ruolo ideale all’interno di questo movimento in crescita?
Spero davvero che sia così, mi dà speranza vedere che stanno nascendo musical nuovi e che ne stanno girando diversi in tutta Italia. La cosa che più mi preme è che questo lavoro abbia sempre più riconoscimenti, a livello sociale e legislativo, per la professione che è, ossia un mestiere che richiede preparazione e impegno, e che possa dare anche più stabilità a chi la pratica. Non so quale possa essere il mio “ruolo ideale” in questo senso, so che ho tanta voglia di fare e di mettermi alla prova, di fare pratica di quello che ho studiato.
Quali sono i tuoi obiettivi professionali e le aspirazioni che speri di realizzare nel mondo del musical e del teatro?
Ho tantissimi sogni nel cassetto e progetti che vorrei prendessero vita. Il mio obiettivo principale è permettermi di rischiare di più, studiare sempre con nuovi punti di vista e diventare il più versatile possibile come attore e come performer. Ovviamente, con la giusta preparazione, mi piacerebbe poter fare un po’ di tutto, anche nel mondo del cinema, della televisione o del doppiaggio. Sto lavorando a un nuovo progetto di musica inedita scritta da me, che è una parte della mia vita che ha sempre affiancato la passione per il teatro. Voglio fare in modo di costruire intorno a me la vita che ho sognato per tanto tempo, e spero che, con dedizione e un po’ di fortuna, tutto andrà per il verso giusto.
Grazie Marco per la tua intervista! Tienici aggiornati!
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