Marco Nerenti: violinista tra orchestre, concerti solisti e l’amore per l’Insegnamento

Marco Nerenti, giovane e talentuoso violinista nato a Mantova, ha già un curriculum ricco di esperienze, nonostante la sua giovane età. Sin dagli inizi al Conservatorio di Mantova, ha dimostrato una grande dedizione alla musica, suonando con orchestre prestigiose e partecipando a masterclass internazionali con maestri del calibro di Stefano Pagliani. Con diverse esperienze come Konzertmeister e collaborazioni con orchestre in Italia e all’estero, Marco ha saputo distinguersi nel mondo della musica classica. Attualmente, oltre a perfezionarsi in violino e continuare il suo percorso orchestrale, insegna presso scuole di musica e lavora su progetti di educazione musicale per bambini. In questa intervista, Marco ci racconta il suo percorso, le sue passioni e i suoi progetti futuri.


Benvenuto, Marco! Sei entrato nel mondo della musica molto giovane. Cosa ti ha spinto a scegliere il violino come strumento e quali sono i tuoi primi ricordi legati alla musica?
Il mio ingresso nel mondo meraviglioso della musica mi fa sorridere ogni volta che lo racconto. Fino a 10 anni giocavo a basket e la musica non era tra i miei pensieri: la mia famiglia mi ha proposto più volte di provare ad iscrivermi ad un corso di musica nelle scuole della mia città ma la mia risposta è sempre stata “no, a me non interessa”. Tutto cambia durante un progetto in quinta elementare in cui gli insegnanti di strumento delle scuole medie ad indirizzo musicale della mia città hanno portato gli strumenti e hanno fatto provare ad ognuno quello che preferivano. Da lì non mi sono più fermato: mi sono fidato di quella che poi, dall’anno successivo, è diventata la mia prima insegnante, la professoressa Anna Lodi Rizzini, che mi ha detto (e che ha detto anche a mia mamma, all’epoca sua collega a scuola) “devi fare violino”. L’anno dopo sono entrato in conservatorio a Mantova nei corsi pre-accademici e ricordo bene la felicità che provavo nel suonare; il tempo passato con lo strumento non lo consideravo mai tempo perso ma, al contrario, mi aiutava nei momenti difficili e mi rendeva orgoglioso di quello che piano piano stavo facendo. Non avevo particolari difficoltà tant’è che, al saggio di fine terza media, ho suonato un concerto di Vivaldi come solista accompagnato dagli insegnanti di indirizzo musicale e ho vinto anche il mio primo concorso. È stato l’inizio, forse ancora inconsapevole, di una vera e propria magia.

La tua carriera è iniziata al Conservatorio di Mantova, dove sei stato uno dei membri più giovani della Prima Orchestra. Cosa significa per te essere parte di un’orchestra e come hai vissuto questa esperienza da giovane musicista?
In conservatorio a Mantova ho fatto parte per un anno dell’orchestra junior come spalla dei violini e dall’anno successivo sono passato direttamente nella prima orchestra del conservatorio. Ricordo che ero il più piccolo e lo sono stato per diverso tempo; non era un problema per me e vivevo questo aspetto come uno stimolo per migliorare sempre di più anche perché mi aveva convocato la direttrice dell’orchestra (ora credo sia in conservatorio a Parma), il Maestro Carla Delfrate, primo assistente del Maestro Riccardo Muti per l’orchestra giovanile Cherubini. Non potevo deludere le sue aspettative.
Essere parte di un’orchestra per me è come essere uno e nessuno in un gruppo: non bisogna pensare solo a sé stessi ma alla riuscita del brano e, con il tempo, ho capito che è fondamentale l’unione e la fiducia tra i membri dell’orchestra che devono respirare insieme, emergere e annullarsi in base a ciò che richiede il compositore. Noi siamo semplici esecutori che hanno emozioni e devono farle emergere senza però imporsi sulla volontà di chi ha scritto l’opera. Non è facile ma è necessario ed è ciò che cerco di far capire quando ho il ruolo di prima parte e spalla: siamo tutti alla pari mentre suoniamo ma alcuni devono farsi carico di certe responsabilità ed è doveroso che l’orchestra non gravi per rispetto nei confronti di tutti e per la riuscita del brano in un clima felice.

L’orchestra è l’esempio perfetto e utopico di una società: tutti allo stesso livello, con diritti e doveri ma, soprattutto, con il rispetto reciproco alla base delle relazioni.

Hai partecipato a masterclass internazionali e hai avuto l’opportunità di studiare con grandi maestri come Stefano Pagliani. Quali sono stati gli insegnamenti più importanti che hai appreso da queste esperienze?
Ho avuto la fortuna di essere stato accettato come allievo effettivo del Maestro Stefano Pagliani nella sua Scuola Italiana d’Archi e di aver partecipato a masterclass ma anche di essere entrato per un anno nella sua classe in Accademia. Ho imparato molto sia sul piano musicale, tecnico e violinistico ma anche sul piano umano. Forse in maniera inconsapevole, il maestro mi ha insegnato cosa significa essere un punto di riferimento autorevole per le altre persone e spero, un giorno, di esserlo anche io per gli altri come lo è lui per i suoi allievi. Grazie a lui ho avuto la possibilità di suonare con ragazzi bravissimi, molto migliori di me, e di vedere da vicino dei mostri sacri del violino come il Maestro Grubert per scoprire che, alla fine, sono umani anche loro, hanno le loro fragilità e sono anche umili, disponibili e non è scontato. 
Recentemente ho aperto anche ad altre possibilità e sono entrato in contatto con alcuni Professori d’Orchestra di uno dei teatri più importanti e famosi al mondo: il Teatro alla Scala di Milano. Avere la possibilità di studiare e confrontarmi ma anche di suonare con loro è un qualcosa di incredibile. Ancora una volta mi hanno dimostrato che la semplicità è necessaria in questo lavoro ma, allo stesso tempo, è necessario essere anche molto sicuri di sé, riuscendo però a mettersi in discussione sempre. Difficilissimo ma doveroso.

Hai suonato come Konzertmeister in diverse occasioni, tra cui la tournée in Germania con l’Orchestra Giovanile BenTiVoglio. Come cambia il tuo approccio alla musica quando sei nella posizione di spalla dell’orchestra?
L’approccio alla musica come spalla cambia totalmente. C’è un lavoro dietro le quinte, che non si vede, enorme (se le cose si vogliono fare bene): occorre studiare le parti facendo attenzione ai dettagli, cercare di capire come suonano le varie orchestre ogni singolo passaggio e trovare poi il proprio modo di eseguirlo rispettando la volontà del compositore e poi del direttore con cui deve esserci un notevole confronto. Mi è capitato quest’anno di essere spalla di un’orchestra che poi ho fondato con la sua attuale direttrice (l’orchestra del coro Unica Vox di Verona): per un concerto a luglio abbiamo iniziato a guardare le parti io e lei in aprile. Dovevamo cercare di capire come volevamo suonare ogni passaggio, con che intenzioni e che risultato avremmo dovuto ottenere; fortunatamente entrambi avevamo il tempo per fare questo lavoro ma a volte non si ha più di una settimana per provare e in questi casi bisogna essere veloci a capire le richieste del direttore e adattarle all’orchestra. Come dicevo nelle risposte precedenti, tutti siamo uguali ma alcuni hanno più responsabilità e la spalla è quella che ne ha di più perché si fa carico di tutti. Occorre essere sicuri di sé, di ciò che si propone, bisogna essere capaci di spiegare il motivo per cui si sceglie una arcata piuttosto di un’altra perché poi tutta la fila e tutti quelli che hanno quel disegno devono replicare sulla base di ciò che chiedi; serve anche una certa elasticità perché, ad esempio, un passaggio magari suona bene con determinate caratteristiche quando si prova “in cameretta” ma poi nell’insieme non è efficace: in questo caso si può riprovare e tentare di ripetere l’intenzione all’orchestra oppure cambiare tutto. Le prove servono anche a questo. 

Se si ha l’occasione, io consiglio sempre di assistere ad una prova di un’orchestra perché si può vedere cosa c’è dietro ad un concerto, il lavoro, lo studio e la ricerca che devono essere propri di chi siede a suonare e, soprattutto, di chi ricopre il ruolo di spalla.

Hai vinto numerosi concorsi, tra cui il prestigioso Concorso Internazionale Città di Massa. Qual è stato il concorso che ti ha dato maggiori soddisfazioni e come ti prepari per queste competizioni?
Il concorso che mi ha regalato più emozioni è sicuramente il mio primo concorso (concorso città di Bovolone) in cui ho vinto il primo premio assoluto; è stata una conferma importante per me perché mi ha fatto capire che stavo prendendo la strada giusta. Ho avuto anche il supporto pieno della mia prima insegnante che mi ha accompagnato e poi anche della scuola media nella figura del vicepreside perché avevo portato un riconoscimento a tutto l’indirizzo musicale.
Attualmente è da qualche tempo che non partecipo più a concorsi ma ne ho alcuni in programma e ci si prepara in un solo modo: studiando e auto analizzando ogni singola nota suonata per cercare di raggiungere quel grado di perfezione che la musica richiede; credo che per queste competizioni sia necessario essere pronti anche a livello mentale oltre che tecnico e ci sono momenti di pausa inevitabili per potersi concentrare anche su altro repertorio, orchestrale o solistico che sia. I concorsi mi piace definirli come degli scatti fotografici: bloccano un momento ma è necessario sapere cosa scattare ed essere pronti a farlo, capire quando è il momento giusto per immortalare ciò che si desidera.

Oltre all’esperienza orchestrale, hai anche lavorato come solista su alcuni dei concerti più celebri di Mozart. Cosa rappresenta per te l’esecuzione solista rispetto al suonare in orchestra?
L’esecuzione solistica per me è il frutto del “lavoro in cameretta”, ciò che non è sufficiente per preparare dei brani di orchestra è invece la base per i concerti da solisti: zero distrazioni, solo partitura, strumento e tempo a disposizione per lavorarli, per capirli, per trovare il fraseggio giusto e per inventare qualcosa di nuovo che dia la tua firma al concerto che si esegue. È un lavoro di precisione, di ricerca della perfezione più assoluta ma anche di continue correzioni e bisogna avere pazienza, molta. Il solista deve anche dialogare con l’orchestra quindi è fondamentale trovare un suono comune, che si muove tra entrambe le parti, ognuna delle quali ha le sue idee e le sue visioni. Non è mai facile perché bisogna ottenere la fiducia degli orchestrali perché si percepisce da fuori il clima che si crea tra i musicisti; non è mai facile parlare la stessa lingua, la musica è un linguaggio e bisogna comprendersi altrimenti si eseguono note, non emergono le emozioni e le esperienze di vita che i concerti raccontano. Pensiamo al primo tempo del V concerto di Mozart per violino e orchestra: è un continuo dialogo, uno scambio di frasi, di domande e risposte tra il solista e l’orchestra.

Insegni violino a bambini molto piccoli, dai 2 ai 6 anni, presso la International Bilingual School Maria Montessori di Mantova. Come ti approcci all’insegnamento della musica per i più piccoli e quali sono le sfide che affronti?
Umiltà e volontà di parlare la loro lingua: il gioco e il concreto. Utilizzo il puro metodo montessoriano essendo all’interno di una scuola basata sulla pedagogia di Maria Montessori e devo quindi cercare di rendere tutto semplice, comprensibile e chiaro senza rinunciare alla precisione e all’utilizzo anche della lingua inglese (la scuola infatti affianca lezioni e momenti esclusivamente in lingua straniera). I bambini devono capire la musica come un linguaggio nuovo, distinguere suoni da rumori e conoscere lo strumento che presento (il violino) in tutte le sue forme; nel corso delle lezioni hanno anche la possibilità di provare a suonare su strumenti più piccoli e ho avuto piacevoli sorprese da alcuni di loro! 
La musica è per tutti e questo progetto, nel suo piccolo, lo dimostra. La sfida più importante per me è trasmettere ai bambini i valori propri di questo mestiere e la passione per l’arte e il bello: devono imparare l’importanza dell’ascolto, del silenzio, dell’attesa e del tempo, del sacrificio, del rispetto, delle emozioni; è incredibile come questi aspetti siano già “dentro” tutti i bambini che incontro a scuola e che sia solo necessario aiutarli a farli emergere. La musica è fondamentale e ritengo sia sottovalutata nel piano educativo delle scuole: dovrebbero esserci più spazi in cui si fa musica anche senza note ma con momenti di silenzio, di rumore, di espressione vocale e la mia sfida è quello di fare capire tutto questo alle maestre o agli adulti che incontro. La più grande soddisfazione è però vedere i bambini felici alla fine della lezione e chiedere “maestro Marco quando torni?”.Tra le tue numerose collaborazioni orchestrali, sei anche membro dell’YMEO (Young Musicians European Orchestra).

Come descriveresti l’importanza di suonare in un contesto così internazionale per la tua crescita musicale?
L’esperienza in YMEO la considero una delle più importanti in assoluto per il livello delle persone musicalmente e non ma anche per la disciplina che si sente durante le prove; ho avuto modo di conoscere musicisti veramente sorprendenti e bravissimi nei loro strumenti ma anche rispettosi e seri, determinati e disponibili. Un ambiente di questo tipo, con persone che vengono da tutta Europa, e non solo, fa inevitabilmente crescere e per me è stato uno stimolo incredibile. 

Nella musica confrontarsi è fondamentale e auguro a tutti di fare esperienze di questo tipo perché lasciano il segno.

Attualmente suoni su due strumenti particolari: un violino anonimo del XVIII secolo e un violino Poggi. Che ruolo hanno questi strumenti nel tuo modo di esprimerti musicalmente e come influiscono sulla tua interpretazione?
Sono due strumenti completamente diversi e rispondono in modo diverso: il modello Poggi essendo “giovane” non ha un suono già costruito ma lo sto adattando al mio modo di suonare; l’altro “vecchietto” (così mi piace chiamarlo) ha un timbro formato e bisogna lavorare su quello ma non sempre è facile… bisogna conoscerlo e imparare a dosare forza e intensità per trovare i suoni che si desiderano. 

Credo che ogni musicista abbia il suo strumento e sono sicuro che per altri i miei possono essere difficili da suonare o avere caratteristiche che non piacciono ma credo anche che la differenza la faccia il musicista: le ore passate sul proprio strumento permettono di conoscere alla perfezione ogni punto della tastiera e delle corde facendo sì che il suono sia il più possibile perfetto.

Ci sono progetti o sfide particolari che sogni di realizzare nei prossimi anni?
I miei obiettivi sono sicuramente la conclusione del mio percorso accademico e provare l’audizione per l’ingresso in Accademia alla Scala a Milano ma sono sicuro che con il tempo valuterò ogni possibilità che avrò. Mi piacerebbe anche fare altre audizioni quindi attendo di scoprire cosa mi riserva il futuro. 

Concentrandomi sull’oggi le mie sfide sono i concerti che si hanno in programma in cui voglio sempre dare il massimo e magari formare un buon quartetto d’archi per alcune esibizioni.

Grazie Marco per la tua intervista e complimenti per tutto!
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