Marco Patuzzi è un poeta e performer nato a Bassano del Grappa il 6 agosto 1980. Artista poliedrico, ha dedicato la sua carriera alla fusione di poesia e teatro, portando in scena spettacoli che uniscono le parole al movimento, creando esperienze profondamente emotive e coinvolgenti. Dal 2014 si esibisce in tutta Italia, trattando temi sociali come la violenza di genere, l’omofobia e le malattie neurodegenerative. Con uno stile intimista e drammatico, le sue performance esplorano il lato più crudo dell’esistenza.
a cura di Antonio Capua
Benvenuto su Che! Intervista, Marco!. Hai scelto di unire poesia e teatro, due forme d’arte potenti ma diverse. Cosa ti ha spinto a fare questo passo e che effetto pensi di fare sul pubblico?
All’età di trentaquattro anni decisi di unire le due cose che amo di più, ovvero la poesia e il teatro.
Ho avuto sin da bambino una teatralità innata che ho successivamente sviluppato e migliorato nei vari corsi di teatro, sia classico che sperimentale, tenuti negli anni.
Quest’ ultimo mi ha insegnato un nuovo modo di pormi in scena, soprattutto nei confronti dello spettatore. È un tipo di teatro questo che porta a rivelarti, a mostrare al pubblico quelli che sono i tuoi pensieri più intimi, le tue emozioni più profonde. La mia fisicità aggiunge una dimensione nuova e drammatica ai miei versi creando un pathos che nessuna lettura riuscirebbe a rendere.
Per rispondere alla tua domanda le mie sono performance volutamente d’ impatto atte a coinvolgere e sensibilizzare il pubblico.
Il tuo lavoro spesso tocca temi sociali importanti come la violenza sulle donne e l’omobitransfobia. In che modo la tua arte può sensibilizzare il pubblico su questi temi?
Son ben consapevole che non viviamo più negli anni sessanta dove gli artisti veramente incidevano sulla vita pubblica. Allo stesso tempo però credo che una performance ben realizzata possa aiutare a sensibilizzare il pubblico su un determinato tema.
Nella tua performance “Frammenti d’inquietudine” hai portato in scena una tensione emotiva. Come crei questa sensazione e quanto di te c’è in questa performance?
La tensione che c’è in tutti i miei spettacoli nasce dalla partecipazione emotiva che metto da sempre sia nelle mie poesie sia nelle mie esibizioni di mimo. Questo perché voglio creare un’ esperienza il più possibile unica e coinvolgente!
Sei fortemente influenzato da autori come Stratanovskij, Brecht e Darwish. Cosa ti affascina del loro lavoro e come li incorpori nelle tue performance?
La forza cruda di questi tre autori mi ha molto aiutato nel creare “Perdita del cielo, perdita dell’ altro” .
Stratavoskij mi affascina per come racconta il senso di smarrimento di un popolo , quello russo , subito dopo la fine del impero sovietico.
Lo scrittore tedesco Bertolt Brecht lo sento invece molto affine per come racconta la fame , la miseria, la guerra. La guerra e i profughi che questa crea sono anche al centro della poetica dello scrittore palestinese Mahmoud Darwish.
Sue poesie come “Passaporto” e “Si tratta di un uomo” raccontano molto bene il senso di umiliazione e desolazione che prova chi , non per propria volontà , è costretto a lasciare il suo paese d’ origine.
Incorporo questi tre autori nel mio lavoro artistico alternando testi miei a letture di loro pezzi.
Il tuo ultimo lavoro “Tempi impervi” affronta temi legati all’alienazione e alla crisi del presente. Da cosa nasce l’ispirazione e quale messaggio vuoi trasmettere?
“Tempi impervi” nasce da un profondo senso di scoramento rispetto alla realtà che ci circonda e ne vuole raccontare lo spaesamento, l’ incertezza , la finta libertà che oggi pervade le nostre vite.
I libri che mi hanno accompagnato durante la creazione di quest’ opera son stati:
“L’ uomo a una sola dimensione” e “Eros e civiltà” di Herbert Marcuse , “Fuga dalla libertà” e
“Psicanalisi della psicologia contemporanea” di Erich Fromm e , per finire , “Perché oggi è impossibile una rivoluzione” e “La civiltà senza dolore” di Byung – Chul Han .
Di Fromm e di Marcuse ho apprezzato la loro scrittura profetica.
Di come hanno saputo anticipare, attraverso i loro scritti, come si sarebbe evoluta la nostra società.
Byung – Chul Han mi piace invece per come racconta il nostro presente.
Il mimo è una parte importante del tuo repertorio. Quale ruolo gioca il silenzio nel tuo lavoro e come lo utilizzi per creare emozioni?
Il silenzio è per me un elemento di scena come un’ altro. Le pause servono sia a me sia al pubblico. A me per creare una dinamica riguardo a ciò che in quel momento sto declamando. Al pubblico per elaborare quanto ha appena avuto modo di vedere in scena.
Ti sei esibito in luoghi prestigiosi come il Chigiana International Festival e in omaggi a figure iconiche come Peter Brötzmann. Come queste esperienze hanno influenzato il tuo percorso artistico?
Son state entrambe due bellissime esperienze formative . Soprattutto il Chigiana internazional Festival !
L’ essere così tanto apprezzato per il mio lavoro in contesti così importanti mi ha dato una nuova consapevolezza e una rinnovata sicurezza in scena.
In “Perdita del cielo”, perdita dell’altro affronti temi profondi come la solitudine e la perdita d’identità. Come hai scelto questi temi e quanto sono legati alla tua esperienza personale?
“Perdita del cielo, perdita dell’ altro” nacque nel 2018 quando Salvini era ministro dell’ interno e quando
“il nemico” erano i migranti. Dai continui attacchi social a loro e dalla mia indignazione nacque questo lavoro.
“Perdita del cielo, perdita dell’ altro” è il racconto di una doppia perdita.
Da un lato racconta la perdita del concetto di umanità, dall’ altra racconta della perdita di Dio.
Fra tutte le mie performance questa è quella sicuramente più legata all’ attualità e c’è davvero molto di me dentro. Ho provato anch’io sulla mia pelle cosa significa sentirsi soli, irrisi ed emarginati.
Nel 2022 hai realizzato una performance ispirata al Compianto di Abele di Canova. Come hai tradotto l’arte visiva in movimento e quale emozione volevi suscitare nel pubblico?
Come hai tradotto l’arte visiva in movimento e quale emozione volevi suscitare nel pubblico?
La storia dell’uccisione di Abele da parte di suo fratello Caino ben si prestava per la sua drammaticità ad essere rappresentata in scena.
Ho cercato di trasmettere al pubblico prima tutta la ferocia del atto criminale del fraticida e poi tutta la successiva disperazione.
Come vedi evolversi il tuo percorso artistico? Hai nuovi progetti in cantiere?
Al momento sono impegnato nella scrittura di nuovi testi che non vedo l’ora di proporre dal vivo!
Grazie Marco del tuo tempo e complimenti per tutto!
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