Margherita Fava, pianista e compositrice acclamata in America, Europa e Giappone, sta ridefinendo il panorama jazzistico con il suo approccio melodico fresco e coinvolgente. Collaborazioni illustri e il suo album TATATU hanno ricevuto elogi internazionali, consolidando la sua reputazione come una delle voci più promettenti del jazz contemporaneo. Tra riconoscimenti prestigiosi e concerti nei più importanti jazz club del mondo, Margherita continua a espandere i confini del genere, rimanendo sempre fedele alla sua sensibilità artistica. In questa intervista, esploriamo il suo viaggio, la sua visione della musica e il futuro del jazz.

a cura di Antonio Capua
Photo di Hannah Rain


Margherita, il tuo album TATATU ha ricevuto lodi da prestigiose riviste come DownBeat Magazine e Jazz Japan. Cosa pensi abbia colpito maggiormente il pubblico e la critica del tuo lavoro?
Mi piacerebbe pensare che sia stato il mio genio creativo e la mia abilità di trasmettere emozioni forti tramite il mio stile compositivo……ma parlando seriamente, è stato il duro lavoro di tutte le persone coinvolte nel progetto e forse un il fatto che la mia storia fosse un po’ inaspettata e diversa dal solito.

Hai collaborato con artisti leggendari come Gregory Tardy e ricevuto lodi da giganti del jazz come George Cables e Donald Brown. In che modo queste collaborazioni hanno influenzato il tuo approccio alla composizione e alla performance?
Sono tutti e tre giganti dello strumento e scrivono tutti musica che amo ascoltare ancora, e ancora, e ancora. Nello specifico Tardy mi ispira moltissimo perché ha la capacità di far prendere vita a qualsiasi melodia che gli si presenta davanti agli occhi e suonarla come se l’avesse scritta lui stesso 20 anni fa; Brown è uno dei miei compositori preferiti e scrive delle linee di basso ultra funk a divertenti da suonare ed ascoltare; Cables è una di quelle persone di cui nessuno ha niente da ridire. Oltre a scrivere e suonare bellissima musica lo rispetto molto per il suo animo gentile e la sua tenacia.

La tua musica è stata apprezzata in tre continenti. Come riesci a creare una connessione universale attraverso le tue melodie pur mantenendo intatta la tua unicità artistica?
Intuito.

Nel tuo viaggio musicale tra l’Europa, gli Stati Uniti e il Giappone, hai notato delle differenze nel modo in cui il jazz viene percepito e interpretato in queste diverse culture?
Molte. Per esempio in Giappone si percepisce palpabilmente la devozione che il pubblico ha per il jazz e la sua storia. Ho suonato in un paio di jazz club sia a Tokyo che Kanazawa ed in entrambi i casi sono state esperienze intime e piene d’intenzione. In Italia mi sembra che la musica jazz venga percepita principalmente come una forma d’arte, quando invece in America conserva ancora un valore d’intrattenimento. Quindi il pubblico reagisce in modo diverso nei due continenti e fa attenzione ad aspetti diversi della performance. Per esempio in Italia vedo che si fa molta attenzione al titolo del programma e al tema portante della performance, quando invece in America sarebbe più importante il livello di affabilità sul palco o quanta energia l’artista riesce a trasmettere al pubblico.

Il tuo album TATATU è stato definito “fresco e melodico”. Qual è il processo creativo dietro la nascita di un brano? Da cosa ti lasci ispirare quando componi?
Provo molte emozioni nella mia vita quotidiana. Cerco di sentirle tutte e di prendere atto di alcuni fattori scatenanti come arte, luoghi, concetti. Quando scrivo cerco di incanalare questi fattori, ma a volte seguo semplicemente il flusso di coscienza e solo dopo mi rendo conto di cosa parla effettivamente un pezzo.

Hai portato la tua musica in prestigiosi club come il Sam First a Los Angeles e il Blue Llama Jazz Club. Qual è stata la tua esperienza più memorabile su un palco finora, e come ha arricchito la tua crescita come artista?
Di sicuro il Teatro Olimpico di Vicenza è stato il palco più bello sul quale abbia mai suonato.
Ma è stato memorabile anche suonare qualche pezzo con Bob Reynolds e Terreon Gully la scorsa estate qui in Tennessee, e in generale ogni volta che ho l’occasione di esibirmi con musicisti che hanno un simile livello di consapevolezza musicale e attenzione ai dettagli.

Sei stata nominata “Nuovo Talento 2023” da Musica Jazz. Come vivi questa responsabilità di essere considerata una delle nuove voci emergenti del jazz?
È stato un onore che mi ha colpito un po’ in ritardo, onestamente. Per molto tempo ho adottato una mentalità in cui mi sottovalutavo, quindi sia consciamente che inconsciamente evitavo tutti i feedback positivi perché io stessa non ne ero d’accordo. Ma vorrei non averlo fatto ed essere stata più presente, perché momenti come quello vengono (e soprattutto se ne vanno) molto velocemente. Sono molto riconoscente per il fatto che così tante persone in Italia abbiano avuto un riscontro così positivo con la mia storia e la mia musica ovviamente, e spero che continueranno a farlo in futuro.

Il jazz è un genere che permette molta libertà e improvvisazione. Cosa significa per te l’improvvisazione, sia dal punto di vista tecnico che emotivo?
Questa è una domanda molto profonda che non riesco ad esprimere completamente a parole. Ma diciamo che nel mio piccolo tento di incanalare rapporto umano, saggezza, eredità di linguaggio musicale, riflessione spirituale. Il tutto mentre tento di riuscire a far battere il tallone del pubblico sul due e sul quattro.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi? Ci sono nuovi progetti o collaborazioni che stai preparando e che puoi anticiparci?
A parte varie date e progetti a livello locale, sto lavorando su un nuovo album che uscirà sperabilmente entro la fine del 2025, e un nuovo tour. Ad Aprile comincerò il mio primo show alla radio qui nel Tennessee dove intervisterò ospiti e trasmetterò pezzi focalizzandomi sul repertorio per pianoforte e/o tastiere varie. E spero di continuare ad espandere e rafforzare il workshop di jazz che dirigo qua a Knoxville dal 2024.

Se potessi trasmettere un unico messaggio attraverso la tua musica, quale sarebbe? E cosa speri che il pubblico provi ascoltandoti?
Onestamente non sta a me dirlo, e non è necessariamente il motivo per cui faccio musica. Cerco solo di raccontare il mio punto di vista nel miglior modo possibile, nel modo più onesto possibile. Ma non posso essere responsabile di come il pubblico riceve i miei pezzi. Posso solo assicurarmi che qualunque cosa sia, sia chiara e genuina. Poi, se suscita qualche emozione o riflessione, è fantastico, altrimenti non posso farci niente. Posso dirti cosa trasmette a me la mia musica: endorfine, spunti su cui riflettere.

Grazie infinite per il tuo tempo Margherita
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