Martina Michelotti: un viaggio tra arte, scrittura e identità

Martina Michelotti, pittrice e scrittrice, ci accompagna nel suo universo creativo, dove arte e narrazione si intrecciano profondamente. Il suo romanzo d’esordio, CÖR – Gli amori di Villa Artemisia, ambientato nella suggestiva Val Trebbia, esplora temi come l’amore, l’identità queer e la magia. In questa intervista, Martina ci racconta il suo percorso, le sue ispirazioni, e i sogni per il futuro, svelandoci il legame indissolubile tra la sua scrittura, la sua pittura e il desiderio di trasformare le sue storie in potenti mezzi di connessione.

a cura di Antonio Capua


Benvenuto su Che! Intervista, Martina! Il tuo romanzo d’esordio, CÖR – Gli amori di Villa Artemisia, è ambientato nella Val Trebbia, una terra che ti è cara. Come ha influenzato questo luogo la tua scrittura e in che modo si riflette nei tuoi personaggi e nelle atmosfere del libro?
Ho trattato la Val Trebbia come un personaggio a sé stante, capace di influenzare profondamente chi la abita. I protagonisti di CÖR portano dentro di sé una forte componente di Val Trebbia: il fervore, il romanticismo, la malinconia e la ruvidezza. Nei paesaggi nascosti si annidano i loro ricordi, e la Resistenza ha plasmato la loro famiglia e chi sono ora. Allo stesso tempo, però, convivono in loro spinte opposte: il desiderio di emanciparsi dalla propria origine e viaggiare con la fantasia, come Rosa, o paradossalmente il bisogno di tornare, come Iside. La Val Trebbia non è solo un luogo, ma un’atmosfera che fa parte della loro identità.

La tua formazione spazia dalla scenografia al design industriale fino alla scrittura. Come si connettono queste discipline nel tuo processo creativo e in che modo influiscono sul tuo approccio alla narrazione?
Sono estremamente curiosa e amo intrecciare discipline diverse. Ogni nuova conoscenza è un seme che germoglia, si dirama e spesso dà vita a qualcosa di inaspettato. Questo processo mi diverte, mi fa sognare, mi tiene sveglia la notte e, alla fine, prende forma nelle mie storie e nei miei dipinti. La scenografia, il design e la scrittura sono per me linguaggi complementari: mi piace raccontare e soprattutto trovare nuovi modi di farlo, sperimentando e mettendo letteralmente in scena le mie visioni.

Hai deciso di approfondire il tema dell’identità queer nel tuo romanzo. Qual è stata la scintilla che ti ha spinto ad affrontare queste tematiche e perché pensi sia importante raccontarle oggi?
Quando scrivo, penso alle storie e alle identità dei miei personaggi nella loro complessità. Non sono mai definiti dal loro orientamento sessuale, perché per me la sessualità non è un’etichetta, ma semplicemente un modo di essere. Non parto mai con l’intento di scrivere una storia “lesbica”, “bisessuale” o “eterosessuale”: lascio liberi i miei personaggi di essere sé stessi, così come non pongo limiti nella vita, essendo io stessa una persona queer.
Se ci si fa caso, la sessualità non è un ostacolo per Rosa, ma una sfumatura della sua identità multi sfaccettata che esplora quando si innamora di Iside.

Allo stesso tempo, so che oggi più che mai, è fondamentale raccontare storie che esplorino l’identità in tutta la sua ricchezza. Per me significa difendere la speranza, l’inclusione, la libertà—valori che, ancora oggi, devono lottare per trovare spazio in un mondo in cui c’è ancora chi si arroga il diritto di dire “tu sei giusto” o “tu sei sbagliato”. Per contrastare questi poteri uniformanti servono persone coraggiose—e ce ne sono molte più di quanto immaginiamo, anche se spesso le loro storie restano nell’ombra. Raccontarle è un atto di resistenza, ma anche un modo per ricordare cosa ci rende davvero umani.

Hai accennato al sogno di trasformare CÖR in un film. Che visione hai per l’adattamento cinematografico del tuo romanzo e cosa vorresti che il pubblico portasse con sé da questa esperienza visiva?
Mi piace apprezzare i film e i libri per ciò che vogliono trasmettere, per il loro significato profondo, ma allo stesso tempo i miei libri e film del cuore li vedo come un vestito che si lascia personalizzare da chi lo indossa. Sono vestiti che tieni nell’armadio e sai che fanno per te ogni volta che li indossi. In una trasposizione cinematografica di CÖR, mi piacerebbe che restasse un ricordo negli spettatori, ma che fosse diverso per ognuno di loro. Un’impressione che li faccia sentire a loro agio, come se la fantasia stessa degli spettatori potesse arricchire la narrazione. Vorrei che ognuno si portasse via un’esperienza personale che sia magica e suitable, ecco.

La pittura è un’altra parte fondamentale del tuo percorso artistico. Cosa significa per te trasporre in immagini i mondi che crei con le parole e come si influenzano reciprocamente queste due arti nel tuo lavoro?
Raccontare i mondi e le immagini in un solo modo sarebbe limitante: non di rado inizio a dipingere qualcosa e finisco per scriverla, o viceversa. Le immagini, pur sembrando mute, creano un dialogo potente con chi le guarda, una seduzione potentissima che amo esplorare. Mi riporta alla capacità che hanno alcune persone speciali di leggere uno sguardo, accostarsi alla tua anima in modo gentile e comprenderti senza il bisogno di parlare o far rumore, semplicemente sorprendendoti. Questo è il linguaggio della pittura, per me, ed è lo stesso che ho utilizzo per scrivere.

Nel tuo lavoro parli spesso di connessione, inclusione ed emancipazione. Come riesci a coniugare questi temi in una storia che è allo stesso tempo romantica e piena di mistero?
Nel mio lavoro cerco di raccontare personaggi che sono impegnati in un percorso comune, che potrebbe sembrare banale, ma che in realtà è straordinario: la vita. Conoscere sé stessi, migliorarsi, cadere, imparare e lasciarsi stupire. Credo che questo dipenda dal fatto che vivo romanticamente: mi commuovo davanti a un tramonto, immagino storie d’avventura, ma allo stesso tempo mi impegno attraverso l’arte e la scrittura per un mondo in cui le donne siano emancipate, in cui ci sia inclusione e gentilezza.

Prima di dormire, mi piace definire l’abito di un personaggio, come nel caso di Iside. Così ho creato per lei un intero guardaroba e conosco la storia di ogni singolo vestito che ha nell’armadio, anche se nel romanzo non li ha indossati tutti. Ha scelto di indossare solo quelli che rispecchiavano maggiormente la sua identità, quella di una donna con spiccate caratteristiche anche maschili. Questa per me è l’emancipazione: essere liberi di essere chi si è.

Collabori con diverse testate online, scrivendo di arte e cultura. In che modo questa esperienza giornalistica arricchisce la tua visione come autrice e come ti aiuta a rimanere connessa con l’evoluzione delle arti visive?
La storia e la storia dell’arte sono due delle mie grandi passioni, che mi hanno spinto a studiare non solo il costume e l’accessorio, la storia del cinema e della fotografia, ma anche la politica e gli aspetti sociali. Quando scrivo un articolo, ad esempio su Hopper e l’American Way of Life, sono la prima a imparare e a lasciarmi sorprendere dalle opere che incontro durante la ricerca. Credo che fare ricerca sia una delle occupazioni fondamentali per uno scrittore, perché permette di creare mondi visivi e narrativi ricchi di dettagli e precisi. Scrivere di arte e cultura, quindi, arricchisce il mio bagaglio creativo, offrendomi una prospettiva più ampia e stimolante, sempre in evoluzione.

L’identità queer e il tema dell’amore sono centrali nella tua narrativa. Quanto di personale c’è in CÖR e nelle storie che racconti, e come riesci a bilanciare l’autobiografico con il fantastico?
Sì, è vero, sono una persona romantica. L’amore, nel suo sviluppo e nelle sue sfumature, mi affascina davvero, così come tutte le forme di relazione, che si tratti di amicizia, o dei legami familiari come quello tra madre e figlia, padre e figlia, marito e moglie, tra fratelli, tutti temi che compaiono in CÖR. Mi piace definire i personaggi, metterli in contatto, stabilire relazioni, e osservare come queste si evolveranno, quali impatti avrà il loro intreccio. La relazione tra Eugenia e la figlia Rosa è stata una delle più complesse da sviluppare, così come quella tra Nikita e il padre di Rosa. Ma credo che la relazione più importante sia quella con sè stessi, un legame che si sviluppa tanto nella realtà quanto nella narrazione. Può estendersi, rispecchiarsi e trasformarsi, come nel triangolo che si sviluppa in CÖR, o fino a includere la relazione che una persona ha con la sua terra e i suoi abitanti. Per me, l’amore è amore, l’amicizia è amicizia, e così via. Non mi soffermo troppo se sia tra uomo e uomo, donna e donna, la nostra identità è complessa, e il cuore di ogni relazione è lo stesso.

Per quanto riguarda il personale e l’autobiografico, la mia famiglia è diversa da quella di Rosa, ma ci sono sensazioni comuni che emergono, come i racconti di resistenza che mi narravano i miei nonni, partigiani. Ma sorprendentemente, quasi tutti i miei personaggi hanno una base reale, spesso ispirati da persone che conosco, ma arricchiti da influenze letterarie e artistiche. Nereo, ad esempio, esiste davvero, e prende spunto anche dall’opera The Fallen Angel di Cabanel, dalla sua bellezza tormentata. In effetti, direi che in CÖR ci sono più di loro che di me. Chissà, forse un giorno i miei personaggi e chi li ha ispirati verranno a cercarmi: sono curiosa di scoprire quando lo farà Iside.

Stai già lavorando al tuo secondo romanzo. Puoi darci qualche anticipazione su cosa esplorerai in questa nuova opera e quali sono le nuove sfide che stai affrontando come autrice?
Sto lavorando a due opere. La prima è un fantasy che si collega al mondo raccontato in CÖR, un mondo che si è espanso in maniera imprevedibile, fino a cambiare anche il genere letterario. Tutto è nato da una semplice frase: mentre Iside e Rosa si innamoravano sulla riva del fiume, le sirene nuotavano sotto la superficie. Da lì, ho immaginato il resto e mi sono accorta che, mentre gli eventi di CÖR si svolgevano, un’altra storia stava prendendo vita: quella di Maddalena e Isabella, le due bambine della Found Family di CÖR, coinvolte in incredibili avventure che hanno inizio nella biblioteca di Villa Artemisia. In questa nuova storia, Maddalena e Isabella incontreranno personaggi imprevedibili.
L’altro testo a cui sto lavorando è uno small town romance e vorrei che fosse leggero, accessibile, divertente, un po’ alla Bridget Jones: il romanticismo non mi abbandona mai!

Come immagini il tuo universo narrativo? Qual è il sogno più grande che desideri realizzare con la tua arte e la tua scrittura?
Immagino il mio universo narrativo come una sorta di armadio di Narnia, un passaggio magico che conduce sempre a nuove storie e mondi inaspettati. Ogni romanzo è una porta verso un’altra avventura. Sarebbe meraviglioso se questo universo prendesse vita anche oltre le pagine, e in un certo senso sta già accadendo grazie ai lettori. Amo quando discutono con me del romanzo, perché mi offrono prospettive e significati che a volte avevo solo intravisto, o che non avevo ancora considerato. CÖR mi ha già permesso di incontrare persone straordinarie, ed è forse questa la magia più grande della scrittura: creare connessioni reali attraverso la finzione. Il mio sogno più grande? Continuare a scrivere e a dipingere, perché nulla mi rende più felice.

Grazie Martina del tempo che ci hai dedicato!
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