Michele Carilli, attore, regista ed autore, è nato a Cinquefrondi ed attualmente vive a Reggio Calabria.
Ha saputo unire la passione per la storia e la cultura con il teatro, dando vita a spettacoli di grande impatto come “1861 – La brutale verità” e “Decimo – Come foglie d’acanto”. Con una carriera ricca di riconoscimenti e premi, Michele Carilli ha portato in scena opere che esplorano tematiche profonde come l’Unità d’Italia e il brigantaggio. In questa intervista ci racconta il suo percorso, le sfide e i progetti futuri, rivelando come la sua visione artistica sia guidata dall’amore per la storia e la narrazione.
Benvenuto Michele, sei attore, regista e autore teatrale. Cosa ti ha spinto a fondare la tua compagnia “I Nuovi Giullari” e come è iniziato il tuo percorso nel mondo del teatro?
Innanzitutto intendo ringraziarvi per l’attenzione che mi avete riservato. La compagnia “I Nuovi Giullari” è nata nei primi anni 90 ed è stata la naturale evoluzione dell’attività posta in essere da un gruppo di amici che condividevano la stessa passione, quella per il teatro. Una passione, la nostra, concretizzatasi all’interno del gruppo giovanile della nostra parrocchia nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria, dove, fin da ragazzi, allestivamo piccole rappresentazioni teatrali, musicals etc. Fondamentale è stato l’apporto del nostro parroco che ha sempre incoraggiato e supportato questa nostra passione, tanto che, pian piano, si è iniziato a portare in scena lavori più impegnativi come commedie brillanti, proponendoli anche al di fuori dell’ambito parrocchiale. Questa attività, pertanto, necessitava del supporto di una struttura più attrezzata e così è nata la compagnia che per due decenni ha calcato i palcoscenici delle rassegne teatrali della nostra regione con ottimi riscontri.
Il tuo spettacolo “1861 – La brutale verità” ha avuto un grande successo, vincendo numerosi premi. Cosa ti ha ispirato a raccontare il lato oscuro dell’Unità d’Italia attraverso il teatro?
Possiamo dire che il sentimento che più di altri mi ha spinto a scrivere dapprima il libro “1861-la brutale verità” , seguito poi dallo spettacolo teatrale, è quello dell’indignazione e della rabbia provata nel venire a conoscenza di quella che io nel mio volume definisco “la brutale verità” e che da oltre 160 anni si cela dietro gli avvenimenti del nostro risorgimento. La cosiddetta “storia ufficiale”, quella che ancora oggi viene propinata nelle nostre scuole, ci ha sempre descritto il Regno delle due Sicilie come un regno antiquato, retrogrado, mentre in realtà era il terzo paese più industrializzato d’Europa. Esistevano industrie metalmeccaniche di tutto rispetto (a Pietrarsa, nella vicina Mongiana, etc), così come università, teatri, conservatori musicali e rinomate scuole di architettura e di pittura. Non si capisce pertanto perché questo regno sia stato definito arretrato e tutti i suoi abitanti “sotto il giogo dei Borbone”, se così fosse stato perché i piemontesi sono stati costretti ad attuare stragi ( anche queste abilmente occultate dalla storia e quindi non conosciute dai più) e a combattere dieci anni di guerra per convincere la gente del sud che poteva stare meglio? Occorreva anche restituire dignità all’insurrezione condotta allora dalle masse popolari per difendersi dall’occupazione dei Piemontesi, una rivolta spietatamente contrastata con la “lotta al Brigantaggio” come venne nominato il fenomeno, bollandolo così con un’accezione negativa, e che vide in quel frangente anche la promulgazione della Legge Pica, una legge spietata che rese la vita impossibile a contadini, artigiani, pastori, costringendoli così ad emigrare (cosa mai avvenuta prima) o a diventare anch’essi “briganti”.
Nel 2011 hai pubblicato un saggio sull’Unità d’Italia e il brigantaggio postunitario. Come è stato tradurre una ricerca storica così complessa in una rappresentazione teatrale?
A dire il vero non ho trovato molte difficoltà nella trasposizione teatrale del mio saggio, anzi la ricordo come una esperienza entusiasmante. Fu Mimmo Martino, indimenticato artista reggino leader del gruppo musicale “Mattanza” col quale in seguito iniziò il progetto teatrale CarMa, a spronarmi in tal senso. Venivo dall’esperienza con I Nuovi Giullari ed anche se il genere teatrale era differente (da una parte teatro brillante, dall’altra teatro impegnato ), la cosa mi entusiasmò. Scelsi come forma quella del teatro-canzone, utilizzando alcuni brani del repertorio Mattanza, nella convinzione che tale scelta sarebbe stata lo strumento migliore per far arrivare alla gente “la brutale verità”. Mi dedicai anima e corpo alla stesura del testo e, con grande sorpresa, incominciai anche a scrivere dei versi (cosa mai fatta prima). Scoprii così, in modo del tutto inconsapevole, come incanalare nella scrittura tutte le emozioni che negli anni di studio e preparazione del libro avevo accumulato, venendo a conoscenza della vera storia del nostro sud, dei briganti e delle loro gesta. Tale esperienza si sarebbe ripetuta in futuro durante la stesura del testo teatrale di “Decimo come foglie d’acanto”.
Dopo la scomparsa di Mimmo Martino, come hai portato avanti il progetto della compagnia “CarMa” e cosa ti ha spinto a continuare questo percorso?
Dopo quasi 2 anni di collaborazione in “1861 la brutale verità” , Mimmo Martino improvvisamente venne a mancare. Come è facilmente immaginabile, fu per me un momento molto difficile perché, nonostante ci conoscessimo da non molto tempo, era diventato il mio più grande amico ed uno straordinario punto di riferimento artistico. Inevitabilmente tutti i progetti subirono una brusca frenata. Furono forti lo sgomento ed il disorientamento che seguirono, ma ancora di più fu la voglia di continuare il percorso da lui indicato e tracciato. Attorno alle persone a lui vicine si creò un comune sentire che ci esortava a proseguire quel percorso artistico. Decisi allora di riscrivere il testo adattandolo a nuovi “attori” e nuovi musicisti. Il riscontro artistico avuto con la nuova edizione ci ha dato ragione.
Il tuo spettacolo ha ottenuto riconoscimenti in importanti concorsi teatrali nazionali, come il “Fitalia”. Cosa significa per te ricevere premi così prestigiosi?
E’ inutile nascondere che ricevere premi prestigiosi (come successo per “1861” in questi anni) non possa far piacere, a maggior ragione considerando come non sia semplice riuscire ad aggiudicarsi i più importanti premi della Federazione Italiana Teatro Amatori (1260 compagnie iscritte), in quanto ti ritrovi a concorrere con compagnie più blasonate, attrezzate e che spesso portano in scena testi di grande rilevanza. È successo però, più volte, che nei concorsi nazionali più importanti (Premio Fitalia, Festival di Spoleto…) una giuria decida di premiare un’opera originale, scritta da un reggino e portata in scena da una piccola compagnia composta da solo artisti reggini e questo, inutile nasconderlo, ci riempie d’orgoglio. Intendo però precisare che quando si dà vita ad un progetto, almeno per ciò che mi riguarda, non penso mai a questo tipo di riscontro, bensì se ciò a cui sto lavorando mi appassiona e mi emoziona. Diciamo che è questa la condizione essenziale ed indispensabile che mi fa capire se la scelta fatta è quella giusta e di questo ne ho prova ogni volta che va in scena un mio lavoro. “1861” è ormai prossimo alle 100 repliche e ancora oggi, durante le sue rappresentazioni, procura emozioni straordinarie sia negli artisti sul palcoscenico che in me alla regia. Questi sentimenti, autentici e sinceri, si riversano inevitabilmente sul pubblico che assiste allo spettacolo e che si ritrova a provare le medesime sensazioni, ed è questa l’incredibile magia del Teatro che per fortuna si ripropone e si concretizza ogni sera e che ci fa amare questa arte straordinaria. Se a questa magia si unisce, come fortunatamente finora è successo, anche il riscontro della “critica” siamo contenti e lo siamo ancor di più quando, come avvenuto con “Decimo- come foglie d’acanto” lo scorso giugno nel più importante evento della Federazione, il “Gran Premio del Teatro Italiano”, non vinci il premio di “Miglior Spettacolo” assegnato dalla giuria tecnica ma quello conferito dai 100 giurati della Giuria Popolare, da tutti noi di CarMa ritenuto, da sempre, il miglior riconoscimento che un’opera possa ricevere, perché attesta che ciò che volevi trasmettere è stato perfettamente recepito dal pubblico.
Nel 2023 hai scritto e diretto “Decimo – Come foglie d’acanto”, spettacolo che ha vinto il Premio “Bronzi di Riace”. Cosa rappresenta per te questa opera e qual è il messaggio che vuoi trasmettere al pubblico?
Il “Bronzi di Riace”, premio organizzato dalla FITA Calabria, è il premio più importante della Regione. Con la sua assegnazione, si ha l’opportunità di misurarsi in un contesto nazionale con le compagnie delle altre regioni che si sono aggiudicate il rispettivo premio regionale, come successo a noi di CarMa la scorsa estate in Puglia. Rappresentare la propria terra è motivo di orgoglio, e noi lo abbiamo fatto con “Decimo”, un’opera che narra la storia di un soldato della Prima Guerra Mondiale, il fante Antonio Cassalia, reggino della Brigata Catanzaro che vive sulla propria pelle tutti gli orrori di quella guerra, morendo fucilato a seguito della decimazione. Quest’ultima fu senza dubbio uno degli episodi più infamanti tra i capitoli della nostra guerra: una pratica avente origine nell’esercito dell’antica Roma e che venne in quell’occasione sciaguratamente riproposta, lasciando al caso la decisione su chi dovesse vivere o morire: il “decimo” per l’appunto. Era mia intenzione portare a conoscenza di tutti questa disonorante pagina della nostra storia, e che ha reso, se possibile, ancora piu’ terribile la “grande guerra”. L’intento dello spettacolo è quello di smitizzare la narrazione della I guerra mondiale, far venire fuori tutti gli orrori commessi e spesso non conosciuti ( come la decimazione), in modo da creare una nuova coscienza comune che condanni, sempre e comunque, non solo l’orrore di quella guerra ma anche di tutte le altre guerre che tutt’oggi si combattono. Solo se avviene ciò si può sperare che finalmente la follia della guerra abbandoni per sempre la mente degli uomini.
Hai una formazione in Scienze Politiche, ma hai sempre coltivato la passione per il teatro. Come riesci a bilanciare questi due aspetti della tua vita?
Non è stato per niente difficile. La passione del teatro, come già detto, è nata con me ed anche lo studio non l’ho mai considerato un peso, anzi è stata un’opportunità. Proprio grazie al mio esame di “storia contemporanea” venne fuori la mia tesi di laurea in “Storia del brigantaggio postunitario” trasformatasi poi nel saggio “1861-la brutale verità” e, successivamente divenuta l’opera teatrale che conosciamo. Alla fine sono le diverse facce di una stessa medaglia che non vanno in conflitto, anzi si compensano e si supportano.
Sei anche autore di poesie, e nel 2024 hai pubblicato la tua silloge poetica “Come foglie d’acanto”. Come descriveresti il tuo stile poetico e cosa ti ispira maggiormente nella scrittura?
Il mio stile poetico è molto “semplice”, diretto, non lascia spazio a molte interpretazioni, forse perché le mie poesie non nascono da lunghi periodi di “gestazione” ma, al contrario, l’ispirazione arriva in modo immediato ed improvviso (qualche volta anche di notte). Prendono vita da un irrefrenabile desiderio di trasporre sulla carta dei pensieri, delle emozioni. Sono le storie di uomini e donne del passato, o anche di protagonisti di fatti d’attualità, quelle che ispirano il mio scrivere, tanto che in una recente presentazione della mia raccolta “come foglie d’acanto”, una personalità intervenuta definì il mio stile quasi da “cantastorie” e devo dire che forse è la definizione che si avvicina di più al mio scrivere. D’altronde la mia poesia più conosciuta, Angelina, narra proprio la tragica storia di una bambina uccisa durante la lotta al brigantaggio.
Hai partecipato a numerose rassegne teatrali in tutta Italia, riscuotendo sempre grande successo. Quali sono le sfide maggiori che hai affrontato nel portare i tuoi spettacoli in scena in contesti così diversi?
Per me e per i miei straordinari compagni di viaggio di CarMa, che ringrazio pubblicamente per la loro autentica passione e dedizione al progetto, una delle cose più piacevoli di questa esperienza teatrale credo sia proprio portare le nostre opere in giro per i teatri italiani. È ancora nitido in noi tutti il ricordo del successo avuto al Teatro Augusteo di Napoli con le tre repliche consecutive, e delle altre trasferte nei teatri di Catania, Ischia, Puglia, Ancona etc. Tutto questo girovagare ci ha messo inevitabilmente di fronte ad alcune problematiche. In “1861”, ad esempio, ci sono alcune parti recitate in vernacolo, così come tutti i testi delle canzoni sono in dialetto. C’era, in origine, il fondato timore sulla comprensione dei loro testi, soprattutto nelle regioni più a nord, ed invece mai nessuno spettatore, alla fine dello spettacolo, ci ha mai comunicato questa problematica e questo perchè, come succede per le canzoni “napoletane”, il sentimento arriva indipendentemente dalla lingua utilizzata. L’altra sfida da affrontare, meno nobile e di natura più pratica, sono le spese da sostenere quando si va in trasferta in posti molto distanti, in quanto la nostra compagnia non ha mai goduto di alcun contributo e/o finanziamento pubblico. Questa sì che, a tutt’oggi, è una autentica sfida e la sensazione è che ci accompagnerà ancora per lungo tempo.
Guardando al futuro, quali sono i tuoi prossimi progetti teatrali o letterari? C’è un tema o un’idea che vorresti approfondire nelle tue prossime opere?
Il bello della mia esperienza vissuta fino ad oggi, è quella della imprevedibilità. Mai avrei pensato di passare dallo scrivere Sketch comici a elaborare testi più impegnati, così come mai avrei creduto di poter scrivere poesie e che, addirittura, alcune di esse divenissero canzoni successivamente premiate in concorsi importanti come il “ Premio Mondiale Nosside” . Non so, pertanto, cosa mi riserverà il futuro, sono solo sicuro che, se mi ritroverò ancora a scrivere, la mia scrittura sarà sicuramente ispirata da una storia o un avvenimento che oltre ad attirare la mia attenzione, mi susciterà forti emozioni facendomi nascere la voglia di raccontare e di divertirmi nel farlo. Questa è la mia unica certezza.
Grazie Michele per la tua interessante intervista. Complimenti ed un saluto dal nostro staff.
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