In questa intervista, Nicola ci racconta il suo percorso nella scrittura, una passione nata in adolescenza come rifugio dalle difficoltà familiari e divenuta negli anni una professione. Dalla cronaca politica al teatro, fino al suo primo romanzo “Là dove fischia il vento“, nel quale Nicola esplora il potere della parola per dare senso al mondo e alla propria esperienza. Tra ispirazioni tratte dalla vita quotidiana e la continua ricerca di nuove forme di espressione, Nicola condivide il suo approccio creativo, i progetti in corso e la curiosità per le nuove tecnologie.
a cura di Noemi Aloisi
foto di Paolo Tangari
Benvenuto Nicola, tra le tue passioni c’è la scrittura, quando hai iniziato a scrivere?
In adolescenza. La vita mi poneva una delle sue prime sfide – crescere mentre attorno la mia famiglia si disfaceva. Nella mia cameretta a volte il peso di questa sfida mi sembrava troppo grande. Ho trovato quella strada, per ritrovare un senso.
Tendi a scrivere anche i tuoi pensieri o lo hai mai fatto?
Mi capita, sì, ho un file su cloud che raccoglie questi frammenti, una specie di moderno, incostante diario. Ogni tanto lo rileggo e ritrovo cose impensabili. Mi stupisco di cose che a volte faccio persino fatica a ricordare di aver pensato e scritto. Mi diverte molto questa cosa.
Oltre ad appassionarti, la scrittura è diventata anche un lavoro, sei stato un giornalista, di che ti occupavi?
Scrivevo di politica, per lo più, la mia grande passione. Per molti anni è stata il centro della mia vita, la studiavo, la praticavo. Ero un cronista ma impegnato, un critico ma anche un attore. La politica è la forma più alta dell’ingegno umano e al tempo stessa quella in cui ho visto gli aspetti più bassi.
Hai scritto per il teatro, raccontaci di questa esperienza.
Il teatro è un mondo ancestrale. Recupera un modo di dare senso al mondo che affonda le radici nei millenni e in quello che siamo. Per me è stato un modo per entrare in un modo di scrivere – di pensare – nuovo, diverso da tutto quello che avevo provato. Al teatro ci sono arrivato grazie a Giacomo Bottino, un amico di famiglia, una persona di grande cultura che mi ha guidato in questo mondo e che è una di quelle figure preziose che sanno farsi Maestri.
Di che genere sono i tuoi racconti e di cosa parlano?
Sono storie legate a sentimenti: rabbia, amore, incomprensione, solitudine. Il primo che abbia scritto raccontava la storia di una vendetta, narrata da chi stava per compiere un atto feroce. Altri sono frammenti di storie più grandi. Li ho scritti per un periodo preciso della mia vita, ora sono passato a storie più lunghe, mi sembrano quelle più adatte a rappresentare le storie che ho in testa.
A cosa ti ispiri quando scrivi qualcosa di tuo?
Ho ovviamente molte fonti d’ispirazione. Leggo, guardo film e serie, ascolto musica. Ma le storie arrivano per lo più dalla vita. Dalle persone che conosco, da quello che osservo attorno a me, da quel che accade. Scrivere è per me oggi la prosecuzione dell’intento politico e del giornalismo, ovvero un modo per dare un senso al mondo ma anche per provare a cambiarlo.
Da anni ti occupi di comunicazione nel mondo dei media, in quale settore?
Mi occupo di comunicazione per Rai Pubblicità, la concessionaria pubblicitaria del gruppo Rai.
“Là dove fischia il vento” è il tuo primo romanzo, come è nato questo libro e cosa puoi dirci sulla trama?
È nato dal mio bisogno di fare chiarezza su un paio di questioni, a partire da cosa ne avevo fatto della mia passione politica, di quell’imperativo-impellenza che mi aveva guidato per anni. L’altro mio cruccio era il fatto di essere diventato padre. Avevo tanti dubbi e il bisogno di fare i conti con i miei genitori e con quella famiglia un po’ disastrata che la sorte mi aveva consegnato.
Ne è nato un romanzo particolare.
“Là dove fischia il vento” è la storia di Giorgio, Luca e Amedeo, tre uomini di tre generazioni diverse che si conoscono appena – abitano lo stesso palazzo – e che si mettono alla ricerca di un quarto uomo, il padre di Giorgio, scomparso all’improvviso. La ricerca li porterà a scoprire verità difficili, inseguendo un padre in fuga, fino in Marocco. La narrazione gira attorno a questa ricerca alternando i tre punti di vista e permettendo così di accedere a tre mondi molto distanti, quello di un ventenne dei Fridays for Future, di un quarantenne anarchico NoTav e quello di un settantenne ex dirigente del Pci… politica, mistero e tanta umanità.
Hai mai scritto poesie? In generale cosa pensi di questo genere?
Ho cominciato da lì, come molti, a scrivere. La poesia è stata il modo per non perdermi in un periodo molto difficile della mia vita. Come lettore è un genere che mi piace, ma mi ci avvicino sempre con pudore e fatica. È un tipo di lettura che in un modo o nell’altro sembra non incastrarsi con la mia vita bene come altri generi. Mi affascina moltissimo ma raramente ho avuto libri di poesia sul mio comodino – sono stati due, a memoria, Kavafis e Neruda. Ora, ad esempio, tra i libri che sto leggendo ho il “De rerum natura di Lucrezio” nella bellissima traduzione di Milo De Angelis, un testo che consiglio a chiunque ne abbia un ricordo fumoso, legato al liceo.
Ci sono progetti legati alla scrittura su cui ti stai concentrando al momento?
Sono in una fase esplorativa. Sto scrivendo diverse storie, cercando di capire dove mi porteranno. Ho voglia di sperimentare, sto studiando l’interazione con le GenAI e vorrei provare anche a scrivere una sceneggiatura.
Parafrasando Mao Zedong: c’è grande confusione sotto la mia penna, la situazione è eccellente.
Grazie per il tuo tempo.
Grazie per il vostro.
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