Nicolò Malaspina, regista tra poesia visiva e storytelling contemporaneo

Nicolò Malaspina è uno di quei registi che non si limitano a stare dietro la macchina da presa: vive il cinema come una forma di esplorazione personale, un modo per raccontare il mondo e dare voce alle emozioni più autentiche. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare il suo percorso, dagli inizi con il maestro Luca Lucini ai set pubblicitari con grandi brand, passando per il docufilm su Leonardo da Vinci, fino alla nascita di Grizzly Collective, realtà indipendente che coniuga creatività e produzione.
In questa intervista ci svela il dietro le quinte del suo lavoro, la passione per le storie coming of age, l’ironia che ama intrecciare al dramma e – sorpresa finale – il progetto più importante in arrivo: diventare papà. Un dialogo autentico con uno sguardo giovane ma già maturo sul cinema e sulla vita.

Introduzione a cura di Salvatore Cucinotta
Intervista a cura di Noemi Aloisi


Benvenuto su Che! Intervista Nico, sei un regista con tanta esperienza, cosa ti piace di questa attività?
Prima di tutto grazie a voi per la bella opportunità che mi offrite di raccontarmi perché spesso serve per fermarsi un attimo e fare il punto della situazione, rendersi conto dove si è e cosa è successo fino a questo momento. Non lo facevo da un po’, quindi vi ringrazio.
Tornando alla vostra domanda: credo ci siano molti modi per svolgere questa attività, infatti ci sono diverse tipologie di registi che operano in vari settori e con modalità differenti.
Credo però che una cosa che accomuni molti sia il fatto che non esista una linea di demarcazione che definisca la propria attività con quello che si è, perché credo che l’essere regista significhi essere in continuo contatto con se stessi e con il mondo.
Avere un proprio sguardo e metterlo a disposizione per costruire immagini e raccontare storie. Aver fatto di un modo di essere un mestiere credo sia uno degli aspetti che più mi piace di questa attività.

Luca Lucini è una figura importante nella tua formazione, cosa ti ha trasmesso?
Luca per me è stato prima professore e poi maestro, quei maestri che ti accompagnano nel cammino e ti fanno crescere dandoti delle indicazioni per formarti, ma sempre con la libertà di essere te stesso.
Averlo avuto vicino negli anni di formazione è stata per me una grande fortuna.
Fare questo mestiere significa essere costantemente sotto il giudizio del mondo e di se stessi in un percorso che , soprattutto agli inizi, può farti sentire solo e sconclusionato, dove le opportunità che ti arrivano sono poche e quelle poche vanno centrate.
Sapere che Luca aveva visto in me qualcosa di buono, mi ha dato sicuramente più consapevolezza e forza per reggere molte pressioni. Mi ha poi trasmesso l’atteggiamento e la gratitudine che si devono avere per continuare in questo lavoro.
Infine, l’importanza del cast all’interno di un progetto. Con lui ho capito che se non si ha davanti alla macchina da presa un attore che funziona, puoi fare le immagini più belle che vuoi, ma il film non funziona.
Sono stato uno degli ultimi fortunati a crescere con un maestro e per questo, nel mio piccolo, cerco di essere un riferimento per alcuni giovani registi che si stanno affacciando a questo mondo.
E’ secondo me un peccato vedere come ora non ci siano più queste figure, a mio parere fondamentali per la formazione umana e professionale.

Uno dei film che hai diretto è il docufilm Leonardo da Vinci prodotto da Rai Com e Skira editore. Cosa ricordi di questa esperienza?
Soprattutto un’immagine: Santa Maria delle Grazie, al tramonto, tutta per me. Non dimenticherò mai di questa esperienza l’aver potuto accedere e girare in esclusiva in luoghi unici della città dove sono nato e cresciuto: Milano.
Aver avuto come location Santa Maria delle Grazie, il Cenacolo, la Vigna di Leonardo, la Pinacoteca Ambrosiana, le torri del Castello Sforzesco, e tanti altri luoghi, è stato un privilegio unico che mai scorderò. Oltre a questo la possibilità di aver potuto lavorare con attori come Alessandro Haber, Cristiana Capotondi, Paolo Briguglia, Gabriella Pession, per un regista di soli 26 anni, non è cosa che si scorda facilmente. Hai diretto spot collaborando con Sky, Ichnusa, Philips, Samsung, Balocco, Radio Deejay e molte altre aziende. Raccontaci come è occuparsi di progetti pubblicitari.
Credo che la regia pubblicitaria sia la migliore palestra che un regista possa avere a disposizione perché ti dà la possibilità di misurarti con dinamiche, situazioni e storie sempre diverse.
Occuparsi di un progetto pubblicitario significa riuscire prima di tutto ad entrare nelle corde di un racconto che non parte da te. C’è un cliente che ha la necessità di raccontare qualcosa e questo qualcosa è quasi sempre ideato da un’agenzia creativa che sviluppa uno script. A volte è una semplice idea scritta, dove l’intervento del regista acquista maggiore spazio di manovra creativa, altre volte si riceve direttamente uno storyboard che ha la necessità di essere messo in scena.
In entrambi i casi , credo che il lavoro del regista sia quello di mettere in piedi un progetto che sia capace di stare dentro alcune linee guida più o meno definite, seguendo l’idea creativa e valorizzando il Brand per cui stai lavorando. Resta comunque un lavoro molto creativo dove la gestione dei rapporti e della produzione sono parte altrettanto fondamentale.
Nonostante i budget disponibili si siano abbassati molto negli anni, il fatto di avere a disposizione tanti soldi in pochissime giornate di lavoro, è sicuramente una sfida che a livello professionale ti responsabilizza molto. Sempre per gli stessi motivi però, ti dà la possibilità di poter lavorare con mezzi tecnici e con collaboratori di grande spessore, ai fini di sperimentare ed accrescere le tue competenze di linguaggio e di stile.

Io, Te e David, è un cortometraggio con Valerio Mastrandrea, Paola Cortellesi, Luca Argentero e Alessandro Cattelan che hai presentato al David di Donatello. Che tematiche venivano affrontate nel corto?
Io, Te e David è stato un cortometraggio che ho avuto il piacere di girare in coregia con Luca Lucini e che ha aperto la cerimonia del David di Donatello nel 2017. Attraverso attori incredibili, abbiamo raccontato con ironia come riuscire a vincere il David ironizzando su alcuni clichè che spesso il cinema italiano main stream richiede per vincere premi o addirittura per essere prodotto. La scelta di un nome famoso nel cast, storie di emarginazione e minoranze ambientate in posti dove le Film Commission hanno fondi, erano alcune regole che bisognava seguire per essere visti con un occhio di riguardo dalla Accademia Italiana del David.

Ad alcuni registi piace anche recitare, tu sei uno di quelli o escludi questa possibilità?
Mi è capitato di fare qualche piccola parte in progetti di colleghi registi. E mi è piaciuto tantissimo ma senza essermi mai preso sul serio. Non credo di avere grandi doti recitative ne tanto meno ambisco ad averle. Il mestiere dell’attore è un mestiere difficilissimo e ammiro profondamente chi ha la forza e il coraggio di intraprendere questa carriera. Rispetto molto chi lo fa seriamente. Una volta mi han detto che i registi son quasi tutti attori mancati. Credo sia una delle frasi in cui mi ritrovo meno.

Nel 2016 hai fondato Grizzly Collective, parlaci di questo progetto.
Ho fondato Grizzly Collective insieme a Davide Artusi, collega e direttore della fotografia. Il nostro mestiere non lo si può fare da soli, è un lavoro di gruppo, collettivo. Soprattutto agli inizi, costruire sinergie con persone affiatate per far girare idee e sentirsi meno soli, credo sia molto importante. Quasi per gioco, abbiamo costruito un piccolo team di professionisti che produceva e realizzava progetti personali (video musicali, documentari, cortometraggi). Col tempo il collettivo si è ampliato: sono iniziati ad arrivare dei lavori su committenza (brand content, digital, spot) e ci siamo trovati a fare quello che fanno le case di produzione: gestire dei budget e organizzare le produzioni. Oggi Grizzly Collective è una casa di produzione che cerca pero’ di lavorare con quell’approccio indie da cui è nata. Per questo abbiamo voluto lasciare Collective nel nome, senza sostituirlo con Production. Ci sembrava che ci stavamo dando un tono che non volevamo. Abbiamo inoltre costruito una partnership con un duo creativo (Advista) per accompagnare un cliente dalla fase ideativa sino a quella di realizzazione.
Una casa di produzione creativa.

Che storie preferisci proporre? Sei amante di un genere in particolare?
Sarò banale, ma mi piace il cinema in tutte le sue forme. Guardo di tutto: dai grandi autori al cinema indi pendente, dai drammi più intensi ai piccoli horror di nicchia. Ho grande rispetto per chi esercita questo mestiere ed è raro sentirmi dire “ questo film non mi è piaciuto” perché cerco sempre di vedere qualcosa di bello in ogni progetto , ovviamente con qualche rara eccezione.
Mi piace però raccontare storie mosse da sentimenti piccoli ma potenti, stare nelle emozioni dei personaggi. Storie dai toni “drammatici” dove pero’ l’ironia è capace di arrivare e far sorridere subito dopo che ci si è emozionati. Ho sempre spaziato tra i generi, ma se c’è un cinema che mi ha segnato negli anni di formazione, è quello indipendente americano. Le storie coming of age, in cui gli adolescenti si trovano ad affrontare cambiamenti che sembrano enormi, ma poi—a guardarli da lontano — non lo sono poi così tanto. Forse perché ho amato quei personaggi, forse perché ho amato vivere quegli anni, ma sono storie che sento vicine, e che provo a riproporre con il mio sguardo.

Al momento ci sono dei nuovi progetti su cui stai lavorando e che ci vuoi anticipare?
Mi piacerebbe molto dirti che sto lavorando al mio primo lungometraggio e che sono in partenza per gli Stati Uniti perché è una storia d’amore dannato (ovviamente adolescenziale) ambientata in un remoto paesino lungo la costa del Maine, essendo tratto da un racconto di S. King. Invece ti stupirò dicendoti che tra una settimana mi nascerà una bimba e quindi se proprio devo parlarti di un progetto futuro, mi senti di dirti dell’arrivo di Luna. Che poi magari sarà l’ispirazione (o la protagonista) di un altro progetto futuro.

Grazie Nicolò! Complimenti per la tua carriera!
N.M. Grazie a voi!

Per saperne di più visita:
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