Nato nel 2020, il Trio David è il risultato dell’impegno e della passione di tre giovani musicisti per il repertorio cameristico, con un focus speciale sul trio d’archi. Da allora, il loro percorso è stato ricco di successi: performance in festival prestigiosi, collaborazioni con importanti artisti e prime mondiali. In questa intervista, esploriamo il cuore e l’anima del Trio David, scoprendo come la loro musica nasca da un viaggio di ricerca, esplorazione e crescita. Insieme, ci racconteranno la loro esperienza artistica, tra momenti di introspezione, dedizione e la forza del lavoro di squadra.
a cura di Antonio Capua
Il Trio David nasce nel 2020, un anno molto particolare per tutti. È stata una sfida o un’opportunità per voi?
Il 2020 è stato un anno difficilissimo per tutti gli artisti, costretti a chiudersi nelle proprie case, bombardati di notizie terribili, senza prospettive positive a breve termine. Avendo circa vent’anni quando abbiamo iniziato a suonare in trio, abbiamo sfruttato quell’occasione per crescere sia a livello individuale che cameristico, così da poter uscire sul palco più solidi e coesi possibile quando è stato il momento, credendo fermamente nel potere di trasformare una sfida in un’opportunità.
Siete un trio giovane, ma avete già calcato palchi prestigiosi. Cosa provate ogni volta che vi esibite in contesti di così alto livello? C’è stato un concerto che vi ha emozionato particolarmente?
Ogni concerto racchiude una specifica emozione per l’atmosfera che si viene a creare tra noi tre, l’attenzione del pubblico che ascolta e il luogo dove si suona, più altri elementi incomprensibili razionalmente che rendono unica ogni esecuzione musicale. Essendo un’arte del tempo, la musica scorre inesorabilmente un secondo dopo l’altro, riempiendo di meraviglia ogni istante in base alla direzione che sceglie l’esecutore il quale è responsabile di mantenere vivo il capolavoro di un compositore. Ovviamente c’è un profondo studio dietro il percorso espressivo che si vuole dare ad un brano musicale, ma a volte durante un concerto avvengono delle vere e proprie magie attraverso le quali si rompe la barriera tra pubblico ed esecutore e l’opera prende vita proprio attraverso l’ascoltatore. Un concerto che ricordiamo con estremo affetto in cui questi elementi si sono incrociati è il nostro debutto ad Ankara, in Turchia: il viaggio, le persone e la musica hanno creato un’energia particolare per la quale quel’esperienza risulta ancora oggi indimenticabile.
Lavorare come trio richiede un’intesa profonda. Come riuscite a bilanciare le vostre individualità artistiche per creare un suono unico e coeso?
C’è da dire che quando si scelgono i propri compagni di viaggio musicali si cerca sempre di trovare qualcuno che abbia un’idea di suono e una musicalità non proprio uguali alla propria ma che vadano comunque nella stessa direzione. Sarebbe molto difficile costruire qualcosa di così intimo come un gruppo da camera con persone dalle caratteristiche individuali troppo divergenti. Nonostante questo, però, avere un pensiero simile sulla musica non ci nega di poter esprimere la nostra individualità. Avere una propria personalità e modo di suonare a quel punto non fa altro che arricchire di carattere l’ensemble. Soprattutto in una formazione come quella del trio d’archi è anzi necessario che ogni interprete metta in campo le proprie peculiarità. Possiamo paragonare il lavorare la musica insieme all’instaurare una complessa conversazione: si può nutrire il discorso con le proprie idee e il proprio punto di vista, nel rispetto e nell’ascolto del’’altro. L’importante è partire da una base ideologica condivisa. In questo modo è possibile aspirare a un suono coeso che però non appiattisca l’identità del singolo interprete.
Nel 2024 avete avuto l’onore di eseguire la prima mondiale di Urban Gardens di Nicola Campogrande. Come vi siete preparati per questo evento e cosa ha significato per voi suonare un brano inedito?
Questo evento ha rappresentato un interessantissimo insieme di novità per noi. Prima di tutto non ci era mai capitato di dover eseguire la prima mondiale di un brano e già questo è stato motivo di grande soddisfazione. Anche il fatto di aver avuto l’occasione di lavorare e discutere in prima persona con il compositore è stato davvero stimolante. Sono infatti sorti mille interrogativi riguardo a quale fosse la modalità di approccio più efficace alla realizzazione della nostra interpretazione, nel rispetto dell’intenzione di un compositore appunto vivente. Questa esperienza ci ha inoltre permesso di entrare in contatto con un linguaggio musicale nuovo e davvero contemporaneo, aprendoci una finestra sul mondo dei compositori attuali, spesso “oscurati” da quelli del passato. Il pianista Claudio Bonfiglio, con il quale abbiamo eseguito il quartetto in questione nonché trascorso intense giornate di studio, è stato una guida fondamentale all’interno dello stile di Nicola Campogrande, data la sua esperienza nello studio della sua musica. Tutto ciò ha reso l’evento molto più di un semplice concerto, arricchendo di nuove abilità il nostro bagaglio professionale e lasciandoci anche un prezioso legame con il compositore.
Vi siete esibiti in luoghi molto diversi, dalla Sala dei Giganti a Padova fino alla sede centrale dell’UNESCO a Parigi. Come cambia la vostra performance a seconda del luogo? Influisce il contesto sulla vostra interpretazione?
Il contesto in cui ci esibiamo forse più che influire sulla nostra interpretazione dei brani ci dà del materiale emozionale ogni volta diverso con il quale possiamo scegliere il modo più efficace per comunicare con il pubblico. Ci sono contesti più intimi in cui ogni sguardo e ogni colore trovano automaticamente un maggiore spazio per essere assaporati e altri più ampi e scenografici in cui il gesto e l’intensità fanno la differenza per permetterci di arrivare sia alla prima che al’’ultima persona in sala. E poi, oltre al luogo e al palco, quello che ci dà veramente un input sempre diverso è anche il tipo di pubblico per cui siamo chiamati ad esibirci. Suonare per una platea di ragazzi nostri coetanei, per una diretta radio, in una sala all’estero o per un pubblico di persone esperte o appassionate di musica classica, cambia sicuramente l’approccio alla nostra esecuzione.
La musica del Trio David si intreccia anche con altre forme artistiche, come dimostrato dalla vostra partecipazione al Festivaletteratura. Come vi sentite quando dialogate con la letteratura o altre arti?
È capitato più volte di avere l’opportunità di suonare dialogando con altre forme d’arte. Avere questa possibilità è sempre incredibilmente stimolante: è come guardare attraverso un caleidoscopio, che riesce a mostrare ogni cosa da un diverso punto di vista. Questo processo oltre che arricchire l’artista crea nuovi piani di introspezione dell’opera su cui sta lavorando, rafforzando il legame con essa e rendendola sicuramente più viva e interessante per il pubblico.
Avete collaborato con artisti come il pianista Claudio Bonfiglio e il flautista Ginevra Petrucci. Come influenzano queste collaborazioni il vostro approccio alla musica e quali sfide e opportunità vi offrono?
Uno dei punti di forza del trio d’archi è sicuramente quello di poter diventare piuttosto facilmente un quartetto, con l’aggiunta di un altro strumento diverso da un arco. Mentre il quartetto d’archi, infatti, presuppone lo stesso intenso lavoro di coesione timbrica del trio, un quartetto col pianoforte o col flauto, ad esempio, può invece approfittare della solidità di un trio stabile per aggiungersi con meno fatica. Lavorare con altri musicisti ci ha dunque spronati ogni volta ad essere ancora più saldi e uniti come trio, in modo tale da agevolare appunto l’inserimento di un altro strumento nel gruppo. Esplorare diverse formazioni arricchisce sempre la nostra esperienza e ci aiuta a scoprire ogni volta punti di forza o punti deboli su cui poter migliorare. A volte, ad esempio, può risultare difficile ristabilire un’intonazione d’insieme con uno strumento a fiato oppure avere la stessa proiezione di suono con l’aggiunta di un pianoforte. Ma sviluppare la propria tecnica in maniera tale da riuscire a diventare musicisti versatili e pronti ad affrontare diverse situazioni pensiamo sia un obiettivo importante da perseguire.
Nella vostra formazione vi state perfezionando con Maestri di altissimo livello. Quanto è importante per voi il processo di apprendimento continuo e cosa cercate di assorbire dai grandi musicisti con cui vi confrontate?
Il confronto costante con musicisti di alto livello è fondamentale, permette al gruppo di sviluppare al massimo la propria potenzialità, attraverso nuovi stimoli e con lo sviluppo di esigenze sempre nuove e più complesse. Questa continua ricerca fa sì che rimanga sempre vivo il fuoco della creatività nonché la forza di crescere e di migliorare. Uno degli aspetti che stiamo cercando di assorbire maggiormente in questo momento è la capacità di dialogare liberamente attraverso i nostri strumenti. L’obiettivo finale, per il quale il musicista (fortunatamente) non ha una data di scadenza, è quello di leggere un’opera nel modo più profondo possibile, così da rapire l’attenzione di ogni singolo ascoltatore e condurlo passo dopo passo alla scoperta della composizione.
Il vostro repertorio include anche autori come Wolf-Ferrari e Ferdinand Ries, come scegliete il repertorio da portare in scena?
Proprio questi due autori che citate sono stati in realtà sottoposti alla nostra attenzione in occasione dell’incisione di due dischi con l’etichetta Brilliant Classics. Dunque, non li abbiamo scelti noi ma sono stati comunque una piacevole scoperta. Nel caso di Ermanno Wolf-Ferrari, infatti, da ormai due anni lo riproponiamo live nei nostri concerti. Nel caso di Ferdinand Ries, invece, abbiamo inciso i quartetti con il flauto; dunque, non c’è stata ancora occasione di riproporli dal vivo. Per il resto, è davvero divertente scegliere ogni volta cosa portare sul palco perché il repertorio per trio d’archi è incredibilmente vario, raramente eseguito e interessante. Ci sono pochi brani per questo organico che si conoscono ed è proprio per questo che diventa particolarmente coinvolgente andare a cercare le perle più nascoste di questo repertorio. Il nostro attuale “cavallo di battaglia” è ad esempio un trio per archi del compositore francese Jean Cras che, nonostante sia quasi sconosciuto, riscuote ogni volta molto successo tra gli ascoltatori. Il nostro obiettivo è dunque quello di dare spazio a compositori come lui che davvero meriterebbero una maggiore visibilità, contribuendo contemporaneamente a far conoscere la formazione del trio d’archi a più persone possibili.
C’è un sogno che non avete ancora realizzato come Trio, un palcoscenico o una collaborazione che desiderate particolarmente?
In questo momento uno dei sogni più grandi, più che una collaborazione o uno specifico palcoscenico, è quello di realizzare un CD con un tema specifico e con dei pezzi di repertorio scelti da noi, così da realizzare una fotografia di questo momento, delle nostre scelte musicali e delle sensazioni emotive che stiamo vivendo.
Grazie Trio David per il vostro tempo e complimenti per la vostra passione sul lavoro.
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