Oltre il confine della ragione: un viaggio nell’anima a brandelli di Danilo Cogi

Danilo Cogi non è uno scrittore che cerca di compiacere il lettore. Le sue parole sono affilate, tagliano in profondità, scavano nell’animo umano fino a mettere a nudo le ferite più intime. Con il suo ultimo libro, “L’anima a brandelli“, Cogi si addentra negli angoli più oscuri della mente, dove la luce della razionalità non può arrivare. Qui, ogni pagina è un grido, ogni frase è un frammento di dolore che prende vita, mentre l’autore ci conduce in un viaggio di scomposizione e ricostruzione dell’anima. La sua scrittura, viscerale e sincera, è un invito a lasciarsi andare, a mettere in discussione la propria percezione della realtà e a confrontarsi con il mistero e l’ignoto.

In questa intervista, esploriamo il mondo interiore di Danilo Cogi, i temi che permeano la sua opera e le riflessioni che emergono dal suo racconto crudo e potente. Le sue risposte, come la sua scrittura, non offrono soluzioni, ma aprono porte verso nuovi interrogativi. Ecco un dialogo che va oltre le convenzioni della letteratura e della vita stessa.

a cura di Antonio Capua


Danilo, il titolo del tuo libro, ”L’anima a brandelli”, è potente e quasi viscerale. Quando hai deciso di raccontare una storia così cruda e frammentata? Cosa ti ha portato a esplorare le parti più intime della tua anima?
Ho deciso il giorno in cui ho smesso di temere il mio riflesso nello specchio, quando ho capito che il vero terrore non è nell’ombra che ci segue, ma nel buio che portiamo dentro.

Nei tuoi scritti sembri voler sfidare chi cerca risposte razionali. Perché credi che la ragione non sia sufficiente per comprendere la profondità dell’esperienza umana?
La ragione è una lampada che illumina appena il bordo del precipizio, ma il cuore umano è l’abisso. La ragione rassicura, ma mente. Non basta a raccontare l’odore della paura, il sapore della colpa, il suono delle ossa che si spezzano sotto il peso del desiderio.

Scrivi per “chi si perde senza speranza” e per “chi abbraccia il mistero”. Qual è il valore, secondo te, di perdersi? Cosa può trovare una persona nel caos e nella confusione?
Perdersi è un atto di ribellione. Nel caos, una persona trova la propria nudità, quella verità che la civiltà ci insegna a vestire e mascherare. Nel perdersi, si scopre che il mondo non è un luogo ordinato, ma una creatura famelica e insondabile, e in quella creatura si ritrova un’eco di sé.

Il concetto di frammentazione, di un’anima a pezzi, è al centro del tuo libro. Pensi che sia possibile, o addirittura desiderabile, ricomporre questi frammenti o è meglio accettare il caos?
Ricomporre? Che illusione meschina! Un’anima a pezzi canta una melodia che un’anima intera non conosce. È nel caos che siamo veri, autentici. Tentare di ricomporre è solo un’agonia sterile. Meglio ballare sul pavimento di vetri rotti e lasciare che le ferite raccontino la storia.

Nel tuo libro descrivi un dialogo con i tuoi “brandelli” personali, come cicatrici, ricordi e rimorsi. Quanto è stato difficile mettere nero su bianco questi frammenti di te stesso? E come ti sei sentito nel farlo?
È stato come aprire una ferita ancora viva con le unghie, ma c’era una dolcezza crudele in quel dolore. Ogni parola scritta era una goccia di veleno estratta, un urlo silenzioso liberato. Mi sono sentito nudo, esposto, eppure vivo come mai prima.

C’è una bellezza oscura, quasi ipnotica, nel modo in cui descrivi il dolore e la frantumazione. Da dove proviene questa capacità di trasformare il dolore in arte?
Dal riconoscere che il dolore è l’unico maestro onesto. Quando lo abbracci, smette di essere solo una ferita e diventa un linguaggio, un’estetica. È il fascino dell’imperfezione, il sublime che si nasconde nelle crepe.

Hai scritto che “non c’è salvezza in questa storia”. Pensi che, nella vita, la salvezza sia un’illusione? O forse è solo qualcosa che non tutti possono raggiungere?
La salvezza è un miraggio che ci fa camminare nel deserto, un trucco per tenerci vivi. Ma la verità? Non esiste. Non per come la immaginiamo. È un’illusione necessaria, crudele, ma essenziale per giustificare l’assurdità di tutto questo

La tua scrittura sembra voler sfidare il lettore, spingendolo a guardare oltre le proprie certezze e confini mentali. Quale reazione speri di suscitare in chi si addentra nelle pagine del tuo libro?
Voglio che il lettore si senta a disagio, che si veda allo specchio e non riconosca ciò che vede. Voglio scuoterlo, strappargli le certezze, lasciarlo nudo davanti alla sua stessa umanità, sporca, contraddittoria, vera.

Spesso nelle tue parole si percepisce un senso di rassegnazione, ma anche una resistenza alla rovina totale. Credi che, nonostante tutto, ci sia una scintilla di speranza nell’accettare la propria frantumazione?
Sì, c’è speranza, ma non è quella luce rassicurante che cerchiamo. È una scintilla che brucia le dita quando la tocchi, una consapevolezza che ti sussurra: “Anche spezzato, esisti. E questo basta.”

Se dovessi riassumere il messaggio che vorresti trasmettere con “L’anima a brandelli! in una sola frase, quale sarebbe? E perché?
“Accetta di essere spezzato, perché solo negli interstizi delle rovine nasce qualcosa di autentico.” Perché l’integrità è una menzogna; la bellezza è nel caos.

Grazie Danilo per il tempo che ci hai dedicato
continua a seguirci su Che! Intervista

Per saperne di più visita
Instagram | X | Facebook | Il Teatro Della Follia | produzionidalbasso.com

Richiedi un’intervista esclusiva!

Copy link