Patricia Daniela Fodor, dal violino al palco, il talento che incanta

Patricia Daniela Fodor, soprano rumeno naturalizzato italiano, è una delle voci più promettenti nel panorama della musica lirica internazionale. Con una carriera che abbraccia la musica classica e il pop, la recitazione e la moda, Fodor ha debuttato giovanissima e ha calcato i palcoscenici più prestigiosi, tra cui il Teatro alla Scala e il Teatro Verdi di Trieste. Recentemente, si è distinta anche come social media manager di Operalife, magazine che registra oltre 22 milioni di visualizzazioni l’anno. In questa intervista, Patricia ci porta dietro le quinte della sua affascinante vita artistica, parlandoci delle sue passioni, delle sfide incontrate e della sua visione per il futuro.

a cura di Antonio Capua


Patricia, il tuo esordio al Teatro alla Scala è avvenuto a soli 16 anni. Cosa hai provato in quel momento, e come ha influenzato il tuo percorso artistico?
In quel momento ho provato una gioia e un’eccitazione infinita, ho sentito un’adrenalina tale da spingermi a voler studiare veramente e volerne fare un lavoro. Infatti, dopo la mia prima esperienza solistica in Scala ho preparato l’ammissione in Conservatorio e a 16 anni sono entrata nelle classi di canto del Verdi di Milano. L’esperienza in Scala mi ha fatto ancor di più capire che volevo che la musica fosse la mia fedele compagna di vita.

Dalla musica classica al pop, fino alla recitazione e alla moda: come riesci a conciliare queste diverse forme d’arte nella tua carriera?
Credo che l’arte si manifesti in diverse forme e che non ci debba essere rigidità o confini che delimitano l’arte. L’artista può essere una cosa sola o tante cose ma raramente si esprime in una modalità soltanto. Per me suonare in Tv, fare pop, lavorare nella moda e recitare sono tutte sfumature del mio essere, facce della stessa medaglia. La poliedricità dell’artista oggi più che in passato credo sia fondamentale. Non si guarda più soltanto al fare bene musica, è importante anche la consapevolezza del proprio corpo e di come usarlo in scena, il portamento, la ricerca del personaggio oltre alle note, particolarmente nel mondo dell’opera.

In che modo la tua formazione iniziale come violinista ha influenzato il tuo approccio al canto lirico?
L’essere violinista mi ha aiutato moltissimo. Lo studio del solfeggio e dell’armonia da strumentista è uno studio più approfondito, questo mi ha dato gli strumenti per ottenere risultati più veloci e consapevoli. Inoltre, il violino è uno strumento dove, come con il canto, si ricerca l’intonazione. Grazie a questo il mio orecchio è diventato attento e capace anche di registrare intervalli particolari e difficili. Inoltre, è stato per me un porto sicuro in molti momenti; ad esempio, nei periodi di convalescenza in cui non potevo cantare, il suonare il violino mi faceva sentire viva e connessa ugualmente alla musica; durante il periodo di covid in cui cantare era davvero limitato (a causa delle droplets) ho lavorato principalmente con il violino. Qualche mese fa è andato in scena con la Fondazione Teatro Comunale di Bologna una composizione di musica contemporanea del Maestro Guarnieri: Requiem per Marzabotto. Una pièce in cui, tra l’organico (solisti, coro, orchestra) e la scrittura impegnativa del brano, l’essere violinista e sapere il solfeggio è stato fondamentale per cantare.

Hai debuttato in ruoli importanti come Pamina e Musetta. Come ti prepari ad affrontare ruoli così carichi di emozione e di storia?
Per prima cosa leggo. Leggo il libretto, le fonti, da dove è stata tratta la storia ed eventuali variazioni nell’opera. Dopodiché cerco di costruire la psicologia del personaggio. Attraverso le tecniche di studio di Stanislavskij cerco le affinità tra me e il personaggio e laddove non ci sono ripesco dai miei ricordi per cercare di rivivere una data emozione. Si passa quindi alla lettura (solfeggio) dello spartito e quindi a suonarlo. Si perfeziona il canto e la tecnica con il Maestro di Canto e il lato musicale con il Maestro Collaboratore. Se ne ho la possibilità cerco di andare a vedere dal vivo l’opera per trarne ispirazione (solo a studio terminato però). Prima di debuttare Musetta, ad esempio, sono stata alla Scala a vedere la storica rappresentazione della Bohème di Zeffirelli.

Hai lavorato con registi e direttori d’orchestra di fama mondiale. C’è stata una collaborazione in particolare che ha cambiato la tua prospettiva artistica?
Ho cantato nel ruolo di Pamina nel “Die Zauberflöte” al Teatro Verdi di Trieste sotto la direzione di Beatrice Venezi. È stata la prima volta che un direttore d’orchestra donna mi dirigesse durante un’opera. Questo mi ha fatto riflettere. È bello come si stia andando in una direzione dove la musica classica lasci spazi dirigenziali anche a donne, cosa fino a qualche anno fa impensabile. Che finalmente si possa dimostrare che anche noi donne siamo all’altezza di fare cose “da uomo”. Questo è un tema, la lotta per i diritti delle donne, che abbiamo molto a cuore anche con Operalife, l’associazione culturale e Magazine di Opera per cui sono da 5 anni social media manager.

Oltre alla tua carriera lirica, sei attiva come social media manager di Operalife. Qual è la tua visione dell’opera nel mondo digitale e come credi che il pubblico moderno possa essere coinvolto in questa forma d’arte?
Sì, esatto, ho iniziato a collaborare con Operalife nel 2019. All’inizio è stata una scoperta anche per me, ho dovuto imparare da zero ad usare programmi di editing foto, video, programmi di grafica, di organizzazione del piano editoriale… insomma spesso l’artista non si rende conto realmente di quanto lavoro ci sia dietro ad un contenuto digitale. Però la qualità, il pensiero, la prospettiva portano i risultati. Avere una presenza forte sul web oggi è un passo in più che fa la differenza, l’opera è condivisa anche in streaming, la gente è sempre più interessata a conoscere la persona oltre all’artista. Avere una grande visibilità significa essere più noti, attrarre più pubblico, vendere più biglietti e perché no, poter richiedere cachet più alti. Lasciare che gli altri ci vedano per come siamo vuol dire coinvolgere un pubblico che si sentirà parte del processo e vedrà il risultato come uno sforzo un po’ anche suo. La fidelizzazione di un pubblico è una cosa che c’è sempre stata. In passato in teatro si portavano i pullman di persone a cui veniva regalato o il viaggio o il biglietto per fare la Claque e ricevere una maggior approvazione dal pubblico. Oggi esiste internet.

Dopo 10 anni di attività, Operalife ha deciso di mettere a disposizione per la prima volta al pubblico un servizio di comunicazione social per artisti del mondo dell’opera o della musica classica. Operalife Communication verrà lanciato il 1° marzo!

Hai studiato recitazione per cinema e teatro. Quanto conta per te la parte interpretativa nella tua performance come cantante lirica.
Conta molto. Il mio motto è: “la mia missione è portare gioia ed emozione attraverso la musica”. Passare questo senza “fare tuo un brano” è impossibile. Il lato interpretativo è quindi un passaggio obbligato per riuscire a fare da tramite. Inoltre, lo studio del teatro mi ha aiutato molto anche con la Dizione Italiana, infatti, spesso le parole a teatro non si capiscono non soltanto per un linguaggio dei testi antichi ma anche semplicemente perché vengono pronunciate male o con gli accenti sbagliati. In ogni caso alla fine di una performance l’unica cosa che resta non è il bel suono o le graziose movenze ma l’emozione. Quella e soltanto quella resta, l’interpretazione è fondamentale.

Nel 2024 hai interpretato Belinda in Dido and Aeneas. Quali sono le sfide principali di questo ruolo e come ti sei preparata per portarlo in scena?
Si, ho interpretato Belinda in Dido and Aeneas al Teatro Valli di Reggio-Emilia. La sfida principale è stata debuttare praticamente senza prove.

Infatti, nella stessa produzione avevo cantato Second Woman al Teatro Comunale di Bologna Nouveau e l’opera era andata in trasferta. Essendo una ripresa ed essendo che ero l’unica che cambiava ruolo, non erano state previste prove. Avevo infatti assistito al montaggio di tutti i movimenti in precedenza guardando la mia collega per cui la sfida è stata ricordarsi di tutte le cose da fare a distanza di più di un mese dall’ultima recita. Spesso quando ci sono due cast oppure c’è una sostituzione da fare la situazione è questa, bisogna avere massima attenzione e prontezza anche se non si fa, per poi però essere pronti a fare.

Guardando al tuo percorso, quali sono state le sfide più grandi che hai affrontato come artista donna in un settore competitivo come quello della musica classica?
Essere una donna non è semplice nel mondo della musica classica. Spesso si cerca la bellezza della figura ma poi quando la si incontra si tende a dar per scontato che “il bello non balla”. Ancora molti ruoli di potere vengono affidati a uomini che si circondano di altri uomini e il lato femminile è un po’ emarginato. L’orientamento sessuale nel mondo artistico è un fattore non esattamente irrisorio e l’essere donna diciamo che non aiuta. Parlando di aspetti positivi la cosa bella di essere una donna artista è che nel mondo dell’opera i personaggi femminili sono di una profondità e complessità disarmante. Le donne dell’opera sono le vere protagoniste del melodramma e su questo non si discute. Poter vestire i loro panni ti fa sentire fortunata di essere donna.

Ci hai anticipato che ti trasferirai a Vienna. Con una carriera che spazia tra Italia, Romania, Francia ed Austria, come le tue origini e il tuo legame con diverse culture influenzano la tua identità artistica?
Poter attingere a più culture è meraviglioso. Per me è come accostare le labbra ad una fonte d’acqua fresca che vorrei non si esaurisse mai, ma anzi che potessi continuare ad alimentare. Per questo motivo ho deciso di trasferirmi a Vienna. Amo l’Italia e le sue persone, i luoghi meravigliosi, il cibo… tornerò spesso di certo. Ho voluto però fare questo passo per studiare meglio il tedesco, per allargare la mente conoscendo un’altra cultura, insomma, per diventare un po’ più cittadina del mondo. Il parlare diverse lingue, sapersi districare in diverse circostanze e luoghi con maestria è importantissimo per un musicista. Il mio legame con diverse culture influenza sicuramente i miei gusti musicali, la scelta dei brani, la voglia di variare, la curiosità di scoprire e far scoprire agli altri ciò che magari, come può essere nel caso della musica vocale da camera rumena, val la pena di essere diffuso.

Grazie Patricia per il tempo che ci hai dedicato.
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