Quello che so di te di Nadia Terranova, Guanda Ed., 2025

Nadia Terranova, con il suo nuovo romanzo “Quello che so di te”, si conferma una delle voci interessanti della narrativa italiana contemporanea. Dopo il successo di “Gli anni al contrario” e “Addio fantasmi”, la scrittrice siciliana si lancia in un viaggio nell’intreccio complesso della memoria familiare, affrontando temi universali come la follia, l’identità e il potere della storia personale.


La protagonista, una giovane donna che si trova di fronte alla sua figlia appena nata, si confronta con una certezza dolorosa: “da ora non potrà mai più permettersi di impazzire”. La follia, infatti, non è solo un concetto astratto nella sua famiglia, ma ha un nome concreto, Venera. Una bisnonna misteriosa che, negli anni, ha assunto un ruolo fondamentale nei sogni della protagonista, ma di cui si sa ben poco. È proprio il mistero della vita di Venera a innescare il racconto, un’indagine che la protagonista intraprende ritornando a Messina, nella città d’origine, e tentando di ricostruire i frammenti di un passato segnato dall’ospedale psichiatrico Mandalari.

Il romanzo si sviluppa come un percorso di ricerca che porta la narratrice a scavare nel labirinto della “Mitologia Familiare”, tra realtà e menzogne, tra verità rivelate e silenzi taciuti. Ma la memoria non è solo un terreno incerto; è anche un campo di battaglia dove la narrazione si intreccia con la psichiatria, le storie di guerra e le leggende familiari. La scrittura della Terranova si muove in questo spazio ambiguo, mettendo in discussione la validità di ciò che è stato tramandato e interrogando il confine tra trauma e invenzione.

Il romanzo non si limita a raccontare la storia di una donna, ma esplora le contraddizioni di una famiglia e di una società che, dopo il conflitto, è segnata da cicatrici visibili e invisibili. Il padre della protagonista, un uomo forte e temuto, è un personaggio che si muove tra la figura del guerriero e quella del fuggitivo, a testimonianza di una generazione che ha avuto paura di tutto, ma che non ha mai smesso di sperare.
La madre, a sua volta, è una figura di resistenza, ma anche di assenza, e la protagonista si troverà a fare i conti con un vuoto che non è solo fisico, ma anche emozionale.

La “follia” non è solo il centro del dramma familiare, ma un concetto sfuggente che si riflette nei racconti, nelle percezioni e nelle ombre di un passato che si rifiuta di essere completamente svelato.
Il romanzo ci interroga sulla fragilità della memoria: che cosa restituire alla realtà e cosa lasciare alla finzione? Come possiamo conoscerci, se non conosciamo fino in fondo la storia che ci ha preceduti?

L’uso della lingua è uno dei punti di forza dell’autrice, che con uno stile raffinato e delicato riesce a evocare paesaggi interiori complessi, senza mai scivolare nel patetico o nel melodrammatico.

Un’opera coraggiosa e intensa che lascia il segno.

Per saperne di più visita: guanda.it/libri

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