Qualche giorno fa, a noi di Che Intervista!, ha scritto Veronica, inviandoci un’interessante storia.
Abbiamo deciso, data l’originalità, di condividerla con i lettori del nostro sito.
Con ogni probabilità vi ricorderete di quel programma televisivo, molto in voga negli anni ’80, intitolato Ai Confini della Realtà (The Twilight Zone). Questa serie tv era una raccolta di strane storie, alcune ispirate a leggende metropolitane o antichi racconti, altre più fantascientifiche e futuristiche.
Adesso vi racconto una storia basata su un fatto vero che mi capitato qualche anno fa. Curiosi?
Mi chiamo Veronica e vivo in Veneto e sono un’insegnate di Storia. Famiglia tradizionale, sposata, con due figli ed un gatto. Ma quello che sto per raccontarvi è un episodio che mi ha cambiato la vita.
Era un giorno d’inverno, uno di quelli in cui il cielo sembra una coperta grigia e l’aria è così fredda da penetrare nelle ossa. Avevo deciso di passare il fine settimana nella vecchia casa di famiglia, situata in un piccolo borgo montano. Non ci tornavo da anni, ma dopo la morte di mia nonna, sentivo il bisogno di ristabilire un legame con le mie radici.
La casa, con i suoi scricchiolii e il leggero odore di legno antico, sembrava nascondere segreti in ogni angolo. Decisi di esplorare la soffitta, un luogo che da bambina mi era sempre stato proibito. Armata di una torcia e tanta curiosità, salii le scale cigolanti e aprii la pesante botola.
L’aria era gelida e densa di polvere. Tra vecchi bauli e mobili coperti da lenzuola, qualcosa attirò la mia attenzione: una scatola di legno scuro, decorata con intarsi dorati. Sembrava fuori posto, quasi troppo nuova rispetto al resto degli oggetti. La aprii con cautela, e dentro trovai una vecchia macchina fotografica Polaroid e un pacchetto di fotografie ingiallite.
La curiosità era troppo forte. Presi la macchina fotografica e scattai una foto del panorama fuori dalla finestra della soffitta. La foto si sviluppò lentamente, ma ciò che vidi mi fece gelare il sangue. Nella foto, oltre al panorama, c’era una figura. Una donna vestita con abiti d’epoca, con un’espressione triste e occhi che sembravano guardarmi direttamente.
Sconcertata, guardai fuori dalla finestra. Nessuno. Il borgo era deserto, come sempre in inverno. Decisi di scattare un’altra foto, questa volta della soffitta stessa. La figura era ancora lì, più vicina, con una mano tesa verso di me.
Cercai di convincermi che fosse un difetto della macchina, un gioco di luci e ombre. Ma più scattavo foto, più la figura sembrava avvicinarsi, il suo volto ora chiaramente visibile, segnato da un dolore antico. Presi le foto e le disposi in fila, cercando di trovare un senso. Fu allora che notai un dettaglio agghiacciante: sullo sfondo, tra le ombre, c’era un oggetto che riconobbi subito. Una bambola.
Ricordai improvvisamente una storia che mia nonna mi raccontava sempre. Parlava di una bambola appartenuta ad una giovane donna scomparsa misteriosamente molti anni fa. La bambola era stata trovata tra le sue cose e, secondo la leggenda, conteneva l’anima inquieta della donna.
La bambola nella foto era identica a quella descritta dalla nonna. Decisi di cercarla tra le cose della soffitta. Rovistai freneticamente tra i vecchi bauli finché non la trovai. Era lì, perfettamente conservata, con quegli occhi di vetro azzurri che sembravano seguire ogni mio movimento.
La bambola era fredda al tatto e una strana sensazione di oppressione mi avvolse. Non sapevo cosa fare. La storia di mia nonna mi risuonava nella mente e mi chiesi se davvero avrei potuto liberare quell’anima tormentata.
Decisi di scendere in paese e parlare con il parroco, l’unica persona che poteva sapere qualcosa di più su quella leggenda. Quando gli mostrai la bambola e le foto, il suo volto impallidì. Mi raccontò che molte persone avevano visto quella figura nelle loro case, ma nessuno era riuscito a spiegare il fenomeno.
Con l’aiuto del parroco, organizzammo una cerimonia per placare lo spirito. La notte della cerimonia, la casa era avvolta da un silenzio innaturale. Mentre recitavamo le preghiere, sentii un freddo intenso e la bambola sembrò muoversi leggermente. Ma quando tutto finì, una calma improvvisa cadde sulla stanza.
Il giorno dopo, scattai un’ultima foto con la Polaroid. Questa volta, non c’era nessuna figura, nessuna presenza inquietante. Sentii un senso di pace e capii che, finalmente, l’anima della giovane donna aveva trovato riposo.
Quella casa, ora, non mi sembrava più così misteriosa. E ogni volta che ripenso a quell’episodio, mi ricordo che ci sono cose che vanno oltre la nostra comprensione, ai confini della realtà.