Nel suo romanzo, Ricondizionati (Edizioni Dialoghi, 2025), Daniele Mannini esplora il delicato equilibrio tra progresso tecnologico e libertà individuale, inserendosi nel dibattito contemporaneo sull’intelligenza artificiale e le sue implicazioni etiche. Psicologo e psicoterapeuta di professione, l’autore costruisce un thriller psicologico che interroga il lettore sulle conseguenze dell’ingegneria della memoria e sul rischio di una società dove il controllo diventa indistinguibile dalla cura.
L’autore immagina un futuro in cui la sofferenza esistenziale non viene più affrontata con farmaci o terapie tradizionali, ma con un’innovativa tecnologia capace di alterare i ricordi grazie a una sintesi proteica regolata dall’intelligenza artificiale. Il risultato? Un vero e proprio ricondizionamento mentale che modifica l’identità delle persone, trasformando i ricordi in strumenti di manipolazione. Se la memoria definisce chi siamo, chi diventiamo quando questa viene riscritta? È su questo interrogativo che si sviluppa la trama, intrecciando riflessioni filosofiche e un ritmo narrativo incalzante.
Il romanzo si inserisce nel filone della letteratura distopica con richiami a 1984 di George Orwell e Il mondo nuovo di Aldous Huxley, ma si distingue per l’approccio psicologico alla tematica. Mannini non si limita a raccontare un incubo tecnologico, bensì analizza le fragilità umane che potrebbero rendere una simile evoluzione non solo possibile, ma persino desiderabile. Il desiderio di sicurezza, la paura del dolore e la ricerca dell’ordine diventano così i motori di un sistema che, pur promettendo benessere, si trasforma in una gabbia invisibile.
Lo stile di Mannini è diretto e coinvolgente, capace di alternare riflessioni profonde a momenti di pura tensione narrativa. Il lettore viene trascinato in un mondo che appare inquietantemente vicino al nostro, dove il confine tra umano e artificiale si assottiglia fino a scomparire.
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