Veronica Raimo scava nell’infanzia con sguardo ironico e disturbante: un romanzo potente che esplora l’amore filiale come terreno minato.
Dopo il successo di “Niente di vero”, Veronica Raimo torna con Sabbie mobili. Onora il padre e la madre, un romanzo che conferma la sua cifra autoriale: una scrittura acuminata, ironica e profondamente umana. Al centro della narrazione, un bambino di nove anni alle prese con una madre fragile, eccentrica, a tratti inquietante, e con un mondo domestico scomposto, dominato da silenzi, rituali incomprensibili e presenze più oggettuali che umane.
La domanda “Che vuoi fare da grande?” si trasforma qui in un cortocircuito esistenziale, perché rivolta da una figura materna che incarna l’insicurezza e il paradosso, e che sembra oscillare tra l’amore assoluto e la minaccia di sparire per sempre. Il bambino osserva, ascolta, assorbe, cercando invano un ordine nel caos, fino alla scoperta della scuola – primo contatto con un universo regolato, ma non necessariamente più comprensibile.
Veronica Raimo riesce ancora una volta a sorprendere il lettore, costruendo una storia che sfiora il surreale senza mai perdere contatto con la realtà più concreta e dolorosa dell’infanzia. Lo fa attraverso uno stile che è marchio distintivo: tagliente ma mai cinico, intriso di un’ironia che non alleggerisce, ma scava. La sua è una narrazione che inquieta e commuove allo stesso tempo, dove le “sabbie mobili” del titolo non sono solo metafora, ma vero e proprio habitat emotivo.
Un romanzo che lascia un’eco lunga e stratificata, capace di accompagnarci ben oltre l’ultima pagina.
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