Sabrina Monno: cinema, femminilità e rapporti umani attraverso la lente del Female Gaze

Dal suo esordio come giovane regista pugliese, Sabrina Monno ha saputo portare sul grande schermo storie intense e attuali, affrontando temi come l’amore, la sessualità, la bifobia e la disabilità. Attraverso il suo lavoro sperimentale e visionario, Sabrina ha guadagnato riconoscimenti internazionali, continuando a esplorare il female gaze e le dinamiche relazionali con uno sguardo autentico e introspettivo. In questa intervista, ci racconta il suo percorso artistico e le sfide dietro la macchina da presa.


Sabrina, hai iniziato giovanissima a creare film, già nel 2011 hai presentato il tuo primo corto. Cosa ti ha spinto verso il mondo del cinema così presto e quali sono state le prime ispirazioni che hanno alimentato il tuo lavoro?
Sono sempre stata circondata dal cinema. Ho avuto la fortuna alle elementari di esser stata seguita da una maestra impavida e che non vedeva i bambini come “troppo piccoli per capire certe cose”. Così un giorno questa insegnante ci mostrò Roma, città Aperta di Roberto Rossellini e fu amore a prima vista. Da quel momento ho iniziato a mangiare un film dopo l’altro, anche grazie all’aiuto di mia madre e di mio nonno. Credo che il passaggio da spettatrice a sceneggiatrice/regista sia poi stato automatico. Volevo mostrare il mondo delle ragazze o, meglio, come le ragazze (e le donne) vedono e vivono il mondo.

Il tuo documentario “Ti amo…neanche io” esplora temi complessi come l’amore, l’affettività e la sessualità tra i giovani. Da dove nasce l’idea di questo progetto e cosa speravi di suscitare nei tuoi spettatori?
Questo piccolo documentario è nato per caso, grazie ad una chiacchierata con la mia coinquilina dell’epoca (Virginie Kubler, co-autrice del film). Ci siamo scontrate con il film D’amore si vive di Silvano Agosti e con il più noto Comizi d’Amore di Pasolini. Subito ci siamo chieste: chissà oggi che risposte avremmo a queste domande? Così abbiamo coinvolto amici di tutte le età, credenze, sessualità. In un certo senso l’obiettivo era restituire allo spettatore uno spaccato di come i giovani nel 2016 interpretavano e vivevano l’affettività.

Il concetto di “female gaze” è centrale nel tuo lavoro. Come definisci questo sguardo femminile nel cinema e come lo applichi nelle tue opere per raccontare la femminilità e i rapporti umani?
Il concetto di Female Gaze sta prendendo piede da qualche anno e sta diventando sempre più predominante (basti vedere il successo di film come Barbie o The Substance). Dire con esattezza cosa sia il female gaze è abbastanza difficile. Si potrebbe definire la percezione e la visione che la donna ha del mondo che la circonda e di cui tenta disperatamente di essere protagonista. Questo è quello che cerco di fare nelle mie produzioni. Le protagoniste non sono mai sessualizzate o oggettificate. Il loro corpo resta loro, gli atteggiamenti non sono artificiosi, drammatici o costruiti per attirare lo sguardo morboso di uno spettatore esterno. Le mie protagoniste sono donne che si scontrano quotidianamente con la vita di tutti i giorni. Una vita fatta di rapporti umani, precarietà, amicizia e sfide.

Nel 2023 hai vinto il premio per la Miglior Regia con “Prova Generale”, un corto incentrato sulla bifobia. Come hai affrontato questo tema delicato e quale messaggio speravi di trasmettere attraverso questo lavoro?
L’ho affrontato creando una sceneggiatura ed una regia assolutamente realistica. Niente orpelli scenici, niente luci soffuse. L’ho girato come se stessi girando un documentario, così da evitare la sessualizzazione delle due protagoniste. La bifobia è un fenomeno poco conosciuto. Si verifica quando si discrimina una persona perché bisessuale e la si definisce “confusa” o “che segue la moda”. Il fulcro del progetto è una crisi di coppia, coppia in cui una donna è lesbica e la sua compagna bisessuale. Ho affrontato il tema facendo parlare le due protagoniste separatamente. Ognuna di loro si confronta con un terzo personaggio che le aiuterà a comprendere il vero motivo alla base della loro lite.

Il tuo cortometraggio Chat Room si addentra in tematiche forti come quelle delle chat erotiche. Come ti sei preparata per un progetto così sperimentale e quali sfide hai incontrato nel rappresentare un tema così complesso?
Chat Room è un progetto a cui sono molto affezionata. Per un periodo ho persino sognato di farne una seconda versione, questa volta come lungometraggio. Per scrivere la sceneggiatura in modo realistico mi sono addentrata in queste chat. Dopo qualche giorno ho compreso che di erotico lì non c’è niente, al massimo vi si trova solitudine, frustrazione e insicurezza. Insomma, ci si scontra con una realtà confusa e poco lineare. Per tale motivo ho strutturato la regia allo stesso modo, spezzandola varie volte (anche con il montaggio sonoro).

Hai lavorato sia nel mondo del documentario che della finzione cinematografica. Quali differenze trovi tra questi due approcci e in quale ti senti più a tuo agio nel raccontare le tue storie?
Hanno entrambi degli elementi affascinanti. Il documentario ti permette di avere un approccio diretto con la tematica trattata, questo perché entri in contatto con i protagonisti e con i luoghi della vicenda. La fiction ti permette di strutturare temi e personaggi. Lì crei il tuo mondo e sei più libero di spaziare. Probabilmente non ho preferenze, perché (come per Prova Generale) tento di creare prodotti multimediali estremamente reali.

La collaborazione con la scrittrice Ilaria Parlanti è un aspetto centrale del tuo lavoro attuale. Come è nata questa sinergia e cosa puoi dirci del progetto sul tema della disabilità che state scrivendo insieme?
Non posso dare troppe informazioni in merito, posso solo comunicare che sarà un progetto seguito da tanti altri professionisti e che seguirà uno stile cinematografico ben preciso (quindi niente prodotti sperimentali). Preso lanceremo una campagna crowdfunding dove spiegheremo il tutto e i nostri sostenitori diverranno parte integrante del progetto!
Con Ilaria è nata sin da subito una grande sintonia. Ci siamo conosciute durante un’intervista su Twitch, poi aggiunte sui social e poi, piano piano, abbiamo iniziato a parlare e confrontarci sulla nostra idea di cinema. La nostra forza come duo artistico la troviamo nell’idea comune di un tipo di cinema che vorremmo portare avanti. Siamo entrambe molto motivate!

Nel corso della tua carriera hai ottenuto riconoscimenti internazionali. Qual è stato il momento che ti ha dato maggiore soddisfazione come regista e che ti ha fatto capire che stavi seguendo la giusta strada?
Il primo riconoscimento! Quell’estate del 2011 la porterò sempre nel cuore. Forse è stata l’unica volta in cui sono riuscita a godermi la serata di un festival (probabilmente perché non ne comprendevo l’importanza). Ricordo tutto perfettamente di quella serata e farò in modo di non perdere mai quelle memorie.

Come giovane regista italiana, quali sono le sfide più grandi che hai affrontato nel mondo del cinema e che consiglio daresti a chi vorrebbe intraprendere il tuo stesso percorso?
Le mie sfide sono le stesse della maggior parte degli esordienti (soprattutto se donne). Fortunatamente in Italia sta nascendo una scena indipendente importante, il cui obiettivo sarà proprio dar voce a chi è fuori dalla “grande distribuzione”. Il consiglio che darei è: abbiate pazienza. La maggior parte del tempo si piangono amare lacrime (le mie scorrono ancora), però ne vale la pena. Il modo migliore per costruire solide basi è dar vita a delle collaborazioni durature.

Ci sono tematiche o storie che non hai ancora affrontato e che ti piacerebbe esplorare nei tuoi prossimi lavori? Come immagini la tua evoluzione come regista nei prossimi anni?
Resto una osservatrice. Osservo e interpreto per poi mettere tutto su video. Probabilmente l’evoluzione che immagino risiederà nel riuscire a dirigere il mio primo lungometraggio. Le idee non mancano, ma come dicevo prima serve armarsi di pazienza. Sarebbe interessante dare spazio sullo schermo a personaggi femminili poco noti o dimenticati/ignorati dalla Storia.

Sabrina Monno ci invita a entrare nel suo mondo fatto di storie forti, personaggi complessi e uno sguardo unico che sa toccare corde profonde nell’animo umano. Un percorso in continua evoluzione, che non smette di sorprendere. Grazie Sabrina

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