Salvatore Annunziata, nato a Pompei nel 1981, è autore di diverse raccolte poetiche, tra cui “Mondo parallelo” e “Dello stesso amore” (Grauseditore). Annunziata ha ricevuto numerosi riconoscimenti, è stato tra i premiati al “Premio Alda Merini” e al “Don Luigi di Liegro“. Le sue opere, che spesso esplorano temi profondi come la vita, la morte e il significato dell’esistenza, sono state pubblicate in diverse antologie e su riviste letterarie. La sua ultima raccolta, “Altro tempo e qualche poesia intorno alla luce” edita da Italic Pequod, rappresenta un ulteriore passo nel suo percorso di ricerca, esplorando la luce come metafora di rinascita e guarigione dopo un momento di buio personale.
In questa intervista ci addentriamo nel cuore della sua poetica e nel suo approccio all’arte e alla vita.
a cura di Antonio Capua
Benvenuto Salvatore. La tua poesia sembra attraversare spesso momenti di buio per arrivare alla luce. Come è nato questo bisogno di esplorare la fragilità umana e come ha influito il tuo vissuto personale sulla tua scrittura?
Più che di bisogno di esplorare la fragilità umana direi che si tratta di una naturale introversione, di un rapporto stretto ed intenso con la mia interiorità, e questo mi appartiene da sempre; se a questo aggiungo una naturale attitudine alla scrittura in versi, notata già dai miei primi insegnanti di italiano, il resto è una conseguenza, almeno nel mio caso. Intendo dire che se il mio vissuto arriva nelle mie poesie, nella mia scrittura, non è una scelta fatta a tavolino, ma oserei dire che avviene per istinto naturale.
In “Altro tempo e qualche poesia intorno alla luce”, la luce appare come un simbolo di speranza e rinascita. Qual è il messaggio che speri di trasmettere attraverso queste immagini e qual è stato il processo creativo dietro questa raccolta?
La luce, nel senso comune, è già di suo metafora di rinascita e speranza. Nel libro, però, è intesa soprattutto come possibilità di vedere ancora e di nuovo.
Anche se può risultare retorico, basti pensare o fare attenzione alla nostra reazione quando in un ambiente in cui siamo viene a mancare la luce e poi ritorna; quando ritorna siamo presi da un senso di sollievo e, per un attimo, quasi di meraviglia, di nuovo. Ecco, in questo libro ho voluto soffermarmi e mettere l’accento su quell’istante in cui proviamo sollievo e siamo presi dalla meraviglia, soprattutto dopo un periodo buio, difficile.
Il libro ha avuto una gestazione durata qualche anno: all’inizio si trattava di testi intitolati semplicemente “Altro tempo”, poi dopo un ricovero in terapia intensiva ho scritto dei testi che sono andati a costituire le altre due sezioni del libro; da tutto questo è nata anche l’idea di intitolare la raccolta “Altro tempo e qualche poesia intorno alla luce”.
Il messaggio che voglio trasmettere, in riferimento alla mia esperienza personale, è che fin quando siamo vivi la vita non ha scampo se non nella vita stessa. Ci tengo, però, anche a sottolineare che il libro non ha uno lieto fine da “e si vive felici e contenti”, va a evidenziare lo sbocco alla fine di un tunnel.
Molte delle tue poesie riflettono una profonda riflessione religiosa, come si può notare dai riferimenti a Cristo o alle preghiere. Qual è il ruolo della spiritualità nella tua scrittura e nella tua vita?
“La vita è ricerca”: prendo in prestito questa affermazione di Freud, perché sono pienamente d’accordo. Ricerca del nostro posto nel mondo, ricerca di una persona che condivida la vita con noi, ricerca della felicità, della realizzazione del sé, dell’equilibrio, e potrei continuare all’infinito. Nel libro c’è anche questa ricerca attraverso la spiritualità, ma i riferimenti a Cristo e a Dio non vogliono mettere l’accento sul Cristianesimo o sul Cattolicesimo, questo ci tengo a specificarlo subito.
Cristo per me rappresenta quello che è stato indipendentemente dalla sua divinità o meno: una figura rivoluzionaria in tutti i sensi possibili. E il Dio in cui credo io e che cito nel libro è lontano dalle condanne o dalle “gentili concessioni” della chiesa cattolica. Guardandomi intorno, oggi, constato che siamo sempre lì pronti a chiederci perché Dio permetta tutto il male nel mondo, ignorando che in realtà, o meglio nella realtà che tutti ci troviamo di fronte, è l’uomo l’artefice del male. La guerra, le carestie, la povertà sono volute dall’uomo. In ogni caso la mia non è una fede di risposte e di messe della domenica mattina, ma è la fede di un uomo comune che interroga Dio e Cristo, e questo è molto evidente nel libro.
Hai pubblicato su riviste importanti. Qual è il tuo punto di vista sull’editoria contemporanea e su come si evolve il rapporto tra poesia e pubblico oggi?
È evidente: oggi vengono pubblicati molti libri, ma non tutti di qualità. E si trascura molto, invece, la lettura, che dovrebbe servire da bagaglio quantomeno per sapere e capire di cosa si parla quando si parla di letteratura e dei suoi vari generi. Anche se molti addetti ai lavori sostengono che la letteratura in realtà è morta, io resto invece positivo e mi reputo fortunato ad esserci in questo periodo storico perché, almeno per quanto riguarda la poesia, possiamo vantare molti punti di riferimento, basti pensare ai viventi Milo De Angelis, Valerio Magrelli, Aldo Nove, Eugenio Lucrezi, Gilda Policastro, Luigia Sorrentino, Vittorio Curci e potrei ancora continuare. Tutti questi poeti, differenti tra loro per stile e poetica, rappresentano per me il nucleo della poesia italiana, ed hanno talento e competenza da vendere.
Per quanto riguarda l’evoluzione del rapporto tra poesia e pubblico basta osservare cosa accade sui social: oggi anche i poeti affermati si sono muniti di pagine social e non potrebbe essere altrimenti. Cinque minuti in una libreria bastano per osservare che i lettori ormai sanno dell’uscita di un nuovo libro perché lo hanno appreso dalla rete, quindi ben vengano i social usati bene se servono ad accorciare le distanze tra un autore e i lettori.
Le tue poesie spesso parlano di persone ai margini della società, come i “drogati” o i “senza tetto”. Cosa ti spinge a dare voce a queste figure e quale importanza ha per te il concetto di empatia nella poesia?
I miei occhi guardano anche fuori. Dall’infanzia fino all’adolescenza ho vissuto ad Ercolano (NA) per poi trasferirmi a Pompei (NA). L’appartenere ad un ceto medio e vivere in quartieri mi ha messo sempre a contatto con persone che lottano per arrivare a fine mese e a volte neppure ci riescono. Ho assistito a casi di povertà e la vicinanza alle periferie mi ha fatto toccare con mano quanto è difficile, per alcune persone, anche solo sperare di potere avere una vita diversa.
Nascere in una periferia vuol dire anche, e troppo spesso, non avere nessuno che ti insegni a credere in te, a volerti bene, a chiedere aiuto, ed ho visto amici perdersi per questo.
Ecco, forse è il mio desiderio di riscattare queste persone a spingermi a parlare di loro nelle mie poesie, o forse scrivendone coltivo la mia illusione di saperle meno sole. In ogni caso sono molto sensibile verso questo argomento.
Oltre al tuo talento per la poesia, hai vissuto un’esperienza personale molto forte, come la miocardite, che ti ha portato a riflettere sulla vita in un momento di grande vulnerabilità. Come ha influenzato questa esperienza la tua visione del mondo e il tuo modo di scrivere?
Posso tranquillamente affermare che l’esperienza della miocardite (che mi ha messo in pericolo di vita) ha rivoluzionato la mia visione del mondo.
Essere in pericolo di vita mi ha fatto toccare con mano che il tempo finisce, che ci sarà un giorno in cui non sentirò la pioggia scendere, i miei occhi non saranno più i miei occhi. Tutto questo mi ha portato all’eliminazione del superfluo in tutti gli aspetti della mia vita. Io ho letto molti libri, ma è stata la paura della morte ad insegnarmi che non c’è nulla di più saggio che cercare, quantomeno cercare di essere felice, o almeno di vivere sereni.
Per quanto riguarda la scrittura ho notato che il linguaggio è diventato molto vicino a quello di uso comune, a quello parlato per intenderci, e ne sono contento. Vorrei approdare ad uno stile essenziale fatto di parole di uso comune, questo in contrapposizione alla nostra società attuale fatta di tante, troppe sovrastrutture, quasi tutte inutili.
Nel tuo testo “Quartiere” parli della strada dove sei nato e cresciuto. Qual è il ruolo della tua terra d’origine e della tua esperienza quotidiana nella costruzione della tua identità poetica?
Si sta rinforzando l’idea, in me, che nel mio caso uomo e poeta siano la stessa cosa. Questo vuol dire che il ruolo della mia terra di origine e del mio vissuto sono fondamentali per il poeta quanto lo sono per l’uomo. A questo va aggiunto che i miei punti di riferimento in letteratura sono stati (e sono) tre grandi poeti del Novecento: Ungaretti, Montale e Quasimodo, per i quali l’autobiografismo è stato uno degli elementi della loro concezione di poesia. Quindi tutto ciò, nella sua totalità, va a costruire la mia identità poetica, che resta comunque in continua evoluzione.
I tuoi versi sono spesso attraversati da una malinconia profonda, ma allo stesso tempo da una speranza che resiste. Come riesci a bilanciare questi due aspetti nelle tue poesie?
Non ho bisogno di bilanciarle, entrambe fanno parte della mia personalità. La mia malinconia, poi, è una malinconia sana e ne ho memoria da quando ho memoria di esistere. La verità, a mio avviso, è che ogni istante è l’ultimo, perché nessun istante ritorna. Oggi, poi, si vuole tutto solo per farlo vedere; meglio desiderare il necessario, e conservarne la memoria dell’esperienza.
Il mondo della poesia è in continua evoluzione, soprattutto con l’avvento delle nuove tecnologie e dei social media. Credi che i poeti di oggi abbiano nuove opportunità per raggiungere il pubblico o pensi che ci sia il rischio di perdere la profondità della parola scritta?
Sì, esistono nuove opportunità, e ho già accennato a questo: oggi i social, se usati bene, possono essere una grande risorsa anche per i poeti. Io stesso posso testimoniare che l’ultimo libro è stato acquistato anche da chi ne è venuto a conoscenza attraverso i social, quindi ben vengano se servono da tramite tra un autore e il suo probabile pubblico.
Per quanto riguarda la perdita della profondità della parola scritta non credo che si possa perdere quello che non c’è. Mi spiego: se una parola esprime qualcosa attraverso l’arte della poesia e della scrittura, quel qualcosa resta palese anche se la si legge in rete. Se qualcosa invece non arriva è perché forse manca all’origine e in quel caso la “colpa” non va attribuita ai social.
Come mi insegnò un caro amico perso da poco, il grande regista teatrale Armando Pugliese, uomo di teatro e di cultura, la poesia deve avere qualcosa che resiste e che resta, ed io ripeto che se non resiste e non resta non è perché si perde in chissà quale mare, forse non c’era già all’inizio.
Quali sono i tuoi progetti letterari? Ci sono nuove raccolte o tematiche che stai esplorando e che vorresti condividere con il tuo pubblico?
Il mio nuovo libro è uscito da sei mesi e per ora mi sto impegnando per farlo conoscere. Nuove raccolte? Sì, ci sono, ma devo ancora scegliere cosa pubblicare e lavorarci sopra. Per ora c’è “Altro tempo e qualche poesia intorno alla luce”, e spero continui ad arrivare sulle librerie dei lettori.
Concludo ringraziando chi lo ha già letto e Voi per avermi ospitato.
Grazie, Salvatore, per averci accompagnato nel tuo mondo poetico e per aver condiviso con noi le tue riflessioni più intime. Non vediamo l’ora di scoprire dove la tua luce ci porterà nelle prossime opere.
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