Sergio Martini, nato a Carrara nel 1985 e laureato in Giurisprudenza, è una delle nuove promesse della letteratura italiana. Con il suo secondo romanzo, Ritorno a Sukut, edito da Felici Editore, Martini continua a stupire il pubblico dopo il successo della sua opera prima Vascelli di carta. Ritorno a Sukut è un romanzo profondo e visionario, che esplora i temi della libertà, dell’ambizione e delle illusioni che accompagnano la vita umana. In questa intervista, Sergio Martini ci racconta il suo percorso di scrittore, le sue ispirazioni e i temi principali che ha affrontato in questo nuovo libro, già accolto con entusiasmo dagli addetti ai lavori.
Benvenuto, Sergio! Grazie per essere qui con noi. Vorrei partire da Ritorno a Sukut, il tuo secondo romanzo. Come è nata l’idea di scrivere questa storia e cosa rappresenta per te Sukut?
Grazie a voi! È un onore parlare con voi. L’idea alla base del mio secondo romanzo, Ritorno a Sukut, nacque quando mi fu chiesto di redigere un racconto breve che descrivesse la vita coniugale di una coppia infelice. Quello che ne scaturì fu un testo che avvertivo forte e non autoconclusivo. Avvertivo che da esso sarebbero potuti aprirsi svariati approfondimenti e così scelsi di non relegarlo a semplice racconto ma svilupparlo come un qualcosa di più strutturato. Divenne così la base perfetta per rendere la quotidianità ammorbante del protagonista; quella che ne avrebbe poi motivato la fuga. Sukut, per questo motivo, è per me la rappresentazione di tutte le libertà private, limitate, ingabbiate, il capolinea di ogni rivoluzione.
Nel romanzo, il protagonista si ritrova a riprendere in mano i sogni della sua gioventù attraverso un viaggio simbolico e reale. C’è un elemento autobiografico in questa storia o è frutto di pura immaginazione?
Volente o nolente, ogni scrittore riversa qualcosa di sé in ciò che scrive. Ritorno a Sukut non fa eccezione: quando nacque la primordiale bozza del romanzo stavo attraversando un periodo di passaggio, molte mie certezze erano venute meno e il futuro mi appariva come assorbito in una coltre d’ombra. In quei momenti è facile mettere in discussione la propria vita e tornare nostalgicamente all’epoca dei sogni, delle ambizioni sopite. Si pensa a drastici stravolgimenti per fuggire dalla realtà che ci sta soffocando. Così feci, saltando su treni in partenza che non erano i miei e così farà il protagonista…
Il personaggio del Kesa è avvolto da un alone di mistero, tra liberatore e dittatore. Come hai costruito questa figura così ambigua e cosa rappresenta all’interno della narrazione?
Il Kesa è di fatto la rappresentazione di ciò che il protagonista avrebbe voluto essere. L’impersonificazione del suo più grande rimpianto. La sua ambiguità è implicita nella sua figura e allo stesso tempo enfatizzata dalla visione che dello stesso si è fatto il protagonista. Ho scelto infatti di far coincidere la voce narrante nella persona del protagonista e pertanto la descrizione degli eventi è influenzata dai suoi sentimenti. Nel caso specifico, questi incontra il Kesa intriso da un mix di sensazioni contrastanti, tra ammirazione e livore, tentando di coglierne i reali intenti. È veramente un liberatore o solo l’ennesimo despota?
Il tuo primo romanzo, Vascelli di carta, ha riscosso un grande successo nei premi letterari. Come è stato passare dalla tua opera d’esordio a Ritorno a Sukut? Ci sono state pressioni o aspettative maggiori nel pubblicare il secondo libro?
No, in realtà, i buoni feedback ricevuti con Vascelli di carta mi hanno fornito la consapevolezza necessaria per affrontare la stesura di un progetto complesso quale Ritorno a Sukut. L’esordio è come un tuffo nel vuoto. Diamo in pasto al mondo la nostra opera, con grandi aspettative e al contempo, la più frequente delle paure: quella di fallire. Per la prima volta alla mercé del mondo, in un tribunale che non dà diritto di replica. Ma poi arrivano i primi commenti, le prime recensioni positive a consolidare la fiducia nel proprio lavoro. I primi premi (la vittoria del Premio Internazionale Città di Pontremoli e Gli In-editi nel 2019) e i risultati di vendita incoraggianti. Grazie a tutto ciò, i timori reverenziali verso questo universo, quello letterario, che ho amato in tutte le sue forme, fanno un po’ meno paura e rappresentano lo stimolo necessario per continuare a scrivere.
Uno dei temi principali di Ritorno a Sukut è la ricerca della libertà, ma anche l’ambiguità del concetto stesso di libertà. Come vedi questo tema nel contesto attuale e quanto ti ha influenzato nella scrittura?
Oggi più che mai sento il tema della libertà molto attuale. Nel romanzo la vita viene paragonata alla scacchiera del gioco degli scacchi dove ad ogni pedina è assegnata una specifica mossa e può essere spostata solo su precisi riquadri. Così l’uomo, che spesso non è libero di determinare la propria condizione e si vede costretto ad accettare il ruolo che la società ha ritagliato per lui. Nel romanzo ricorre la frase: “Il pezzo che ha dato matto al re ha posto fine alla partita, ma non è diventato re e mai lo diventerà.” Ciò significa che oggi più che mai risulta difficile cambiare la propria condizione e questo, spesso, è da ricondursi alla nostra responsabilità: siamo infatti meno inclini al sacrificio, preferiamo una comoda monotonia di cui lamentarsi a dispetto di sfide rischiose. Noi abbiamo il dovere di far valere i propri diretti, le libertà acquisite con secoli di lotte. Io vedo la libertà come una pianta che necessita costantemente di acqua per non seccare.
Nel libro, ci sono molte riflessioni profonde, come “La consapevolezza è il diserbante di ogni intento”. Quanto è importante per te che il lettore si confronti con domande esistenziali durante la lettura?
È la cosa più importante ed è il motivo per cui non ho mai citato il nome del protagonista o fornito elementi estetici dello stesso. Vorrei che ogni lettore si immedesimasse con lui e percorresse attraverso la lettura il suo medesimo tragitto affrontando le tematiche esistenziali che lo stesso dovrà affrontare, fermata per fermata, fino a Sukut.
La tua scrittura è ricca di dettagli evocativi, che creano un’atmosfera quasi onirica. Come riesci a bilanciare l’aspetto visionario del racconto con la narrazione della realtà del protagonista?
Non è facile. Spesso ci sono argomenti che richiedono un approccio più diretto, uno stile più asciutto e una scrittura scarna di orpelli stilistici. Determinati argomenti necessitano di una specifica tensione narrativa senza la quale si rischierebbe di banalizzarli. Il giusto compromesso sta nel bilanciare i vari approcci stilistici senza abusare dell’uno o dell’altro.
Come sosteneva lo psicologo canadese Daniel Berlyne l’interesse si basa sul bilanciamento di elementi rassicuranti e componenti inaspettate che stimolano curiosità e sorpresa.
Ritorno a Sukut parla anche del peso del passato e dell’impossibilità di fuggirne. In che modo questo tema ti tocca personalmente, e quanto è importante nel tuo approccio alla vita e alla scrittura?
La resistenza della casa è data dalla salute delle sue fondamenta. Così il nostro presente è il risultato delle nostre esperienze. Ci sono giorni in cui il peso del passato ci risulta insostenibile. Un tempo mi lasciavo sopraffare mentre adesso, grazie alla scrittura, provo a convertire quelle forti emozioni in occasioni di riflessione che possono tradursi in scritti utili alla mia produzione.
Nonostante tu non sia uno scrittore a tempo pieno, molti ti considerano già una promessa della letteratura. Come concili la tua carriera principale con la scrittura e quali sono i tuoi obiettivi futuri?
Utilizzando gli strumenti della matematica potrei rispondere banalmente che il tempo dedicato alla scrittura è il risultato di 24 meno il tempo per famiglia e lavoro -quindi poco-. Ma, benché il poco tempo allunghi a dismisura la gestazione di ogni romanzo, questo fattore presenta anche dei vantaggi: mi permette infatti di estraniarmi dal romanzo nei momenti in cui rischierei di esserne troppo coinvolto emotivamente, un rischio ahimè molto frequente. Tra gli obiettivi futuri mi piacerebbe allungare il giorno di qualche ora. Un obiettivo un po’ pretenzioso lo so.
Infine, cosa speri che i lettori portino con sé dopo aver letto Ritorno a Sukut? Qual è il messaggio più importante che vorresti trasmettere attraverso questa storia?
Di non abbandonare il proprio diario di bambino. Cercarlo, ovunque esso sia, spolverarlo e riprendere a scrivere dall’ultima pagina dove lo si ha lasciato.
Grazie Sergio e complimenti per la passione che metti nei tuoi progetti
Continua a seguire Che! Intervista