Sergio Vitale: l’anima di un baritono tra i palchi internazionali e l’introspezione artistica

Sergio Vitale è uno dei baritoni più affermati della scena lirica contemporanea. La sua carriera, segnata da interpretazioni iconiche e collaborazioni con figure di rilievo come Riccardo Muti e Michele Mariotti, riflette una profonda passione per il teatro d’opera. Dal debutto come De Siriex nella “Fedora di Umbero Giordano” al Metropolitan di New York fino ai ruoli complessi in opere come Gianni Schicchi ed Falstaff, Vitale si distingue per la capacità di immergersi pienamente nei suoi personaggi.


Sergio, hai studiato con grandi maestri come Renata Scotto e Renato Bruson. Quanto è stato importante per te avere queste figure di riferimento nel tuo percorso artistico e come hanno contribuito a formare il tuo approccio personale al canto?
Stiamo parlando di due straordinari artisti che hanno segnato la storia della lirica. Ero molto giovane e sicuramente acerbo, già solo avere la possibilità di confrontarmi con loro era per me una sfida che non volevo fallire. Ho cercato di apprendere il più possibile anche quello che non capivo ma che oggi, grazie al tempo e all’esperienza, inizio a comprendere ed è come se continuassero ad insegnarmi giorno dopo giorno. Di sicuro sono entrambi per me un punto saldo della mia evoluzione da allievo a professionista perché in primis sono stati loro a credere in me e a trattarmi come tale.

    Il tuo debutto come “Figaro ne Il Barbiere di Siviglia” è stato un momento decisivo nella tua carriera. Come ti sei preparato interiormente per affrontare un ruolo così emblematico su un palco come quello del Teatro di San Carlo di Napoli.
    C’è da dire che quello fu il mio debutto al Massimo di Napoli, Teatro che ho frequentato da ragazzo come spettatore. 
    Per me poter calpestare quel palcoscenico ancora oggi è un privilegio ed un immenso onore. 
    Nello specifico fú, come diciamo nel gergo tecnico, un Jump-in cioè fui chiamato per sostituire un collega malato che non riusci a finire la prodizione. 
    Ne conseguiva che sarei dovuto andare in scena senza mai aver provato né la regia né le parti musicali col Maestro. Non ebbi neanche io tempo di rendermene conto che ero già in recita ma ricordo anche, poiché avevo già cantato il ruolo di 
    Figaro, che mi sentivo pronto. Non nascondo che però un secondo prima che si aprisse il sipario iniziai a realizzare di aver fatto un azzardo. 

    Anche questo tipo di esperienze è fondamentale, ti tempra e ti mettere in gioco fuori dall’ordinario. Per fortuna, da quel momento, sono tornato tante volte a Napoli e spero di tornarci sempre. 

    Hai vinto numerosi premi, tra cui il Primo Premio al Concorso “Comunità Europea” di Spoleto. In che modo questi riconoscimenti hanno cambiato la tua percezione di te stesso come artista e come persona?
    I Concorsi di Canto sono una tappa fondamentale per testare la propria autostima. Non basta imparare a cantare dal proprio maestro, ci si deve mettere in gioco. La competizione con altri cantanti ti da lo stimolo a migliorarti o la consapevolezza di capire che non sei tagliato per questo mestiere.

    Il personaggio di Falstaff, che hai recentemente interpretato, è complesso e ricco di sfumature. Come ti avvicini psicologicamente a ruoli così profondi e ambivalenti?
    Studiare un ruolo come Falstaff richiede diversi livelli di studio. Oltre ad essere vocalmente difficile lo è soprattutto al livello musicale tenendo conto che l’opera Falstaff è un crocivia tra il belcanto e il verismo. Ciò significa che non basta più essere padroni della tecnica vocale ma si deve restituire al personaggio quella verità che rende teatrale la musica.
    La scelta musicale quindi non è più solo appartenente ad un gusto ma ad una necessita scenica. Anche la scelta di una determinata sonorità rispetto ad un’altra serve a valorizzare la realtà come ad esempio l’uso del triangolo nella scena del duetto Falstaff/Ford per indicare il tintinnio delle monete del sacco che Ford agita sotto il naso di Falstaff. 
    A livello vocale quindi c’è da confessare una mia mancanza: essendo Falstaff un ruolo completo, un uomo di vecchiotto, pieno di esperienze ed emozioni vissute, tanta verità, purtroppo, la si apprende anche con la vita stessa e quindi con l’esperienza. Ma allo stesso modo essendo il teatro un luogo magico dove tutto si trasforma, cerco di aggiungere sempre qualcosa ogni volta che reinterpreto Sir John, a volte prendendo spunto da esperienze nuove vissute in prima persona e a volte rubandole agli altri. 
    Questo mi mette nella posizione di dover sempre studiare ed a volte aggiungere o togliere. Come del resto si fa con tutti i ruoli.

    Hai lavorato con figure come Riccardo Muti e Michele Mariotti, due personalità forti e distintive. Cosa hai appreso da queste collaborazioni e come queste esperienze hanno influenzato la tua arte?
    Quando hai a che fare con direttori di quel calibro hai la possibiltà di apprendere ed imparare il rispetto per la partitura, non solo quella della linea melodica della tua parte ma la pienezza della composizione. Ogni finezza viene valorizzata e durante le prove è come assistere ad una lezione di musica. Si accende in te un meccanismo di ascolto e di concentrazione che ti fa realizzare l’importanza di fare le cose sempre meglio.

    Esibirti in luoghi come il Metropolitan di New York o la Deutsche Oper di Berlino ti ha sicuramente segnato. Cosa provi quando porti la tua voce su palcoscenici di così grande prestigio e come riesci a rimanere fedele alla tua identità artistica in contesti internazionali?
    Personalmente mi salva la maschera del personaggio, quando entro in scena non sono più io. Non è importante dove sono. È piuttosto il primo giorno di prova in palcoscenico che mi fa vivere emozioni esaltanti. 

    La transizione dalla scena alla regia, come con Il segreto di Susanna al Teatro Carlo Felice, ha richiesto una nuova prospettiva. Cosa hai scoperto di te stesso come artista dietro le quinte, e in che modo questa esperienza ha arricchito la tua comprensione dell’opera?
    Un pò per gioco un pò per necessità ho imparato a studiare le opere immaginando una mia regia. Mi ha sempre affascinato la messa in scena dalla creazione di una scenografia alla realizzazione dei vestiti e la capacita di rendere un’idea, realtà. Ho scoperto la mia versatilità e l’amore per ogni minimo particolare. Amo essere rapito dal teatro e nutro grande rispetto per ogni maestranza. Amo immaginare lo spettacolo come gioco di squadra ed ho scoperto di essere un buon capocantiere. 

    Hai interpretato ruoli in opere come La Bohème e La Traviata in vari teatri italiani. Come costruisci un legame emotivo con il pubblico, soprattutto nei ruoli che richiedono una particolare intensità drammatica?
    Chi viene a vedere un’opera, solitamente, lo fa per appassionarsi e creare un legame con la trama che lo aiuti a vivere quelle emozioni in prima persona. Io cerco sempre di restituire la verità delle emozioni che il personaggio vive nel testo e nelle varie interpretazioni sia registiche che musicali.

    Il tuo repertorio è vasto e ricco di opere complesse. C’è un ruolo che ti ha sfidato particolarmente a livello emotivo e che ha richiesto una profonda introspezione da parte tua?
    Senza alcun dubbio Rigoletto. L’ho debuttato due mesi dopo essere diventato padre.
    Interpretare un personaggio cosi complesso mi ha messo alla prova a 360 gradi e ne porto anche oggi le conseguenze.

    Quali sono le sfide che senti di dover ancora affrontare come artista? Esiste un ruolo o un progetto che percepisci come parte della tua crescita continua, anche a livello personale?
    Il ruolo che sogno di fare è Mamma Agata nella versione in napoletano dell’opera Convenienze ed inconvenienze teatrali di G. Donizetti e poiché parlo di un sogno, sognerei di farlo al Teatro San Carlo con la mia regia. Come si dice, potendo sognare, sogna in grande. Ma in realtà personalmente sono soddisfatto della mia carriera anche se avrei potuto fare di più e potrei, volendo, fissarmi nuovi obiettivi, non bramo sogni di gloria. La nascita di mia figlia mi ha fatto realizzare che vivere la vita è più importante di ambizioni lavorative di un lavoro che spesso ti fa stare mesi lontano dagli affetti e ti impegna anche nei giorni di riposo sia fisicamente che mentalmente. Ho però un progetto a cui sto dedicando tempo e passione insieme all’Orchestra Filarmonica di Benevento per la realizzazione di un polo di riferimento per giovani artisti e musicisti, un concorso lirico finalizzato alla messa in scena di un’opera dedicata a giovani talenti. Già l’anno scorso abbiamo realizzato il Barbiere di Siviglia con grande successo. Purtroppo la cultura un Italia non è un settore politicamente interessante e trovare investitori è difficile ma noi, fino a che ne avremmo la passione, continueremo a sognare. 

    Grazie Sergio del tuo tempo e complimenti per tutto!
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