Attrice, regista, insegnante. Simona è una di quelle artiste che vivono il teatro come una necessità dell’anima. Formata all’Accademia Internazionale di Teatro, ha attraversato palcoscenici e set, scoprendo la regia come rivelazione e l’insegnamento come missione. In questa intervista si racconta con passione e sincerità: il legame con il corpo, la scoperta della macchina da presa, l’amore per la commedia intelligente, l’energia dei giovani attori e il coraggio di scrivere in dialetto per parlare di umanità.
Un viaggio intenso, dove ogni gesto ha il peso della verità e ogni parola è un atto d’amore verso il pubblico.
Introduzione a cura della redazione
Intervista a cura di Noemi Aloisi
Benvenuta su Che! Intervista, Simona. Sei un’attrice ed una regista, ti sei diplomata all’Accademia Internazionale di Teatro dove hai affinato diverse tecniche. Raccontaci come ti ha arricchito questo percorso formativo.
L’esperienza all’Accademia Internazionale di Teatro è stata per me profondamente formativa e trasformativa. Uno degli aspetti più significativi è stato l’approfondimento del metodo Lecoq, un approccio che pone il corpo al centro del processo creativo. Questo metodo mi ha insegnato che ogni personaggio può e deve nascere da una consapevolezza fisica profonda: il corpo diventa la chiave d’accesso all’anima del ruolo, al suo ritmo, al suo respiro, alla sua verità. Ma ciò che più mi ha arricchita, e forse anche sorpresa, è stato l’incontro con la regia. Inizialmente mi ero iscritta in Accademia con l’intenzione di diventare attrice, convinta che fosse unicamente quella la mia strada. Invece, lungo il percorso, ho scoperto un amore inaspettato e travolgente per la regia. Questo nuovo sguardo mi ha aperto orizzonti che non pensavo nemmeno di voler esplorare. Ho scoperto un lato creativo che non conoscevo: il piacere di costruire visioni, di dirigere, di immaginare l’opera nel suo insieme. In un certo senso, è stata proprio la regia a completare il mio percorso artistico, aggiungendo una nuova dimensione al mio modo di stare in scena e di pensare il teatro.
Seguendo alcune masterclass hai avuto modo di lavorare davanti alla macchina da presa cosa che non accade con il teatro. Ti trovi anche in questo contesto?
Il lavoro davanti alla macchina da presa è stato, inizialmente, qualcosa da cui quasi rifuggivo. Venendo da una formazione profondamente teatrale, ho sempre guardato con un certo distacco – forse anche un po’ di snobismo – tutto ciò che riguardava la televisione o il cinema. Amavo visceralmente il teatro, con la sua presenza viva, fisica, quel rapporto diretto e pulsante con il pubblico. Pensavo che nessun altro mezzo potesse davvero restituire la stessa intensità. Poi, come spesso accade, mi sono trovata a mettermi in gioco, quasi per caso, e lì è avvenuta la sorpresa. Davanti alla macchina da presa ho scoperto un linguaggio diverso, intimo, potente. Un luogo magico, dove mi sono accorta di sentirmi incredibilmente a mio agio. Certo, la recitazione teatrale e quella cinematografica sono due mondi molto diversi. Ma condividono un fondamento essenziale: la verità. È quella che guida entrambe. La differenza principale sta nel mezzo: a teatro bisogna amplificare, arrivare fino all’ultima fila; mentre in macchina da presa è necessario un lavoro di sottrazione, di finezza, perché l’obiettivo coglie ogni sfumatura, ogni minimo movimento dell’anima. Questa consapevolezza mi ha permesso di apprezzare profondamente anche il lavoro sul set. Ho imparato ad amarlo. C’è una magia sottile, silenziosa, ma potentissima anche lì. E oggi posso dire che quel mondo che un tempo guardavo con distanza, ora è una parte essenziale del mio percorso artistico.
Che genere di spettacoli teatrali preferisci dirigere?
In realtà non credo di avere una preferenza netta per un genere teatrale specifico quando si tratta di dirigere. Mi piace spaziare, lasciarmi incuriosire dai testi, dalle atmosfere, dai personaggi. Se c’è una cosa che so per certo, però, è che tendo ad allontanarmi dal teatro sperimentale, perché io sono una persona molto pragmatica, concreta, e ho bisogno di una struttura, di un filo narrativo chiaro che mi permetta di costruire e comunicare in modo diretto con il pubblico. Amo profondamente la commedia, la farsa, quel tipo di teatro che riesce a far ridere con intelligenza, ritmo e verità. Ma allo stesso tempo mi affascinano moltissimo anche quei testi che contengono una dimensione poetica, un sottotesto emotivo e delicato che posso far emergere attraverso la regia. Mi piace lavorare sul contrasto tra leggerezza e profondità, tra ironia e malinconia. Quello che cerco, in fondo, è sempre un linguaggio che arrivi, che tocchi, che lasci qualcosa.
Per quanto riguarda l’attività di attrice invece, cosa ti affascina? Essendo anche una regista preferisci essere diretta o dirigere?
Anche nel mio lavoro da attrice, come in quello da regista, mi sento fortemente attratta da tutto ciò che ha una base concreta, solida. Ho bisogno di affondare le mani in qualcosa che abbia struttura, verità, una direzione chiara. Amo i personaggi ben costruiti, le dinamiche forti, le situazioni che permettono un lavoro profondo sul piano emotivo e fisico. Essendo anche regista, potrei pensare di avere un certo vantaggio sul palco, ma in realtà no: quando sono in scena preferisco di gran lunga essere diretta. Le poche volte in cui ho dovuto dirigermi da sola sono state piuttosto faticose. C’è sempre il rischio che, occupandoti della visione d’insieme, il tuo personaggio sia l’ultimo ad arrivare davvero a destinazione. È difficile avere quella lucidità esterna necessaria a capire esattamente cosa stai restituendo al pubblico.
Tra le tue passioni c’è anche quella dell’insegnamento infatti cerchi di trasmettere la tua passione ai ragazzi. Cosa speri di insegnargli?
Quando insegno teatro, ovviamente dedico molta attenzione agli aspetti tecnici: la voce, la respirazione, la gestione dello spazio, la consapevolezza del corpo… Tutto ciò che contribuisce a formare un attore solido, consapevole dei propri strumenti. Ma al di là della tecnica, ciò che davvero cerco di trasmettere è l’amore per il teatro. Perché se nasce e cresce quell’amore, tutto il resto può essere imparato. Credo fortemente che se si ama il palcoscenico, se si ama profondamente il compagno di scena — inteso come partner creativo, come presenza viva da ascoltare e sostenere — allora il percorso formativo ha fondamenta vere. Senza questo tipo di amore, di dedizione, penso che fare questo mestiere diventi sterile, vuoto. In fondo, ciò che desidero è accendere in loro una scintilla. La tecnica la si può affinare con il tempo, ma la passione… quella o c’è, o va coltivata fin da subito, con cura e verità.
Ti occupi di corsi di dizione, i più giovani riescono a seguire questa disciplina con facilità?
Mi occupo anche di corsi di dizione, ed è un ambito che trovo davvero stimolante. Quello che ho notato è che, sorprendentemente, sono proprio i più giovani ad avvicinarsi con maggiore facilità a questa disciplina. Hanno una mente fresca, ricettiva, ancora abituata a studiare, a stare sui libri, a memorizzare e applicare con entusiasmo. Gli adulti, invece, spesso fanno un po’ più di fatica — non per mancanza di volontà, ma semplicemente perché il tempo a disposizione è minore e le priorità diverse. Però devo dire che, in entrambi i casi, quando c’è motivazione, i progressi arrivano.
Con la compagnia bilingue Extrateatro sei in scena con Bella & Dr. Beast. Di cosa si tratta?
È stata un’esperienza davvero divertente! Bella e Dr. Beast è stato il mio primo spettacolo bilingue e anche il mio primo vero approccio con il bilinguismo in scena. Ammetto che non conosco benissimo l’inglese, quindi è stato uno stimolo in più per mettermi alla prova e imparare. Lo spettacolo era pieno di energia, con canzoni e coreografie coinvolgenti, e la cosa più bella è stata vedere i bambini partecipare, cantare e ballare con noi in teatro. Un’esperienza ricca, allegra e decisamente stimolante sotto tanti punti di vista.
“Caro Mimmuzzu mia…”, è un’opera in dialetto brindisino, scritta e diretta da te. Raccontaci come è nata, e che tematiche vengono affrontate.
“Caro Mimmuzzu mia…” è un’opera che nasce dalla mia penna nel 2019, inizialmente come un piccolo corto teatrale scritto per il concorso Premio Lydia Biondi, dove è arrivato in finale. Da lì ho capito che il testo funzionava, nonostante fosse in dialetto brindisino — inizialmente temevo non venisse compreso, ma il pubblico ha risposto benissimo, e così ho deciso di continuare a lavorarci. Nel 2022, poi, è diventato una performance di 30 minuti, fino ad arrivare alla sua forma completa con il debutto previsto per gennaio 2025. Modugno è un po’ il filo conduttore di tutto. Alcuni suoi brani hanno ispirato direttamente la trama, diventando il cuore narrativo dello spettacolo Il tema centrale è il coraggio, raccontato attraverso piccole storie. Solo di recente ho capito quanto questa parola sia diventata fondamentale per me, forse perché oggi faccio fatica a ritrovare fiducia nell’umanità, trovando tutti estremamente vili. Scrivere, per me, è stato anche un modo per rielaborare tutto questo.
Come autrice oltre a scrivere testi teatrali ti sei occupata anche di altro o comunque ti piacerebbe?
Non mi definisco un’autrice. “Caro Mimmuzzu mia…” è il mio primo vero testo, anche se in passato mi ero già cimentata con il riadattamento di “La Sveglia – Storie di ordinaria sopravvivenza familiare”, un lavoro che affronta il tema della disparità della donna nel mondo del lavoro, partendo dal quotidiano. Al momento non ho nuovi progetti di scrittura, mi concentrerò su altre produzioni teatrali, ma non come autrice.
Al momento ci sono nuovi progetti su cui sei concentrata che ci vuoi anticipare?
Al momento non ho ancora le idee del tutto chiare sui progetti dell’anno prossimo, ma sicuramente ci saranno nuovi lavori in collaborazione con le Produzioni Teatro Kopó . Si tratta della compagnia di produzione legata al Teatro Kopó, un piccolo teatro off nella periferia di Roma che gestisco insieme a mia sorella dal 2013. È il cuore pulsante di tutto il mio lavoro: ogni mia produzione nasce lì, e continua a essere la colonna portante del mio percorso artistico.
Grazie Simona! Complimenti per la tua carriera!
Per saperne di più visita:
Facebook | Instagram