Stefano Profazi è un chitarrista eclettico e versatile che ha saputo muoversi con eleganza e maestria tra i mondi della musica classica e jazz. Dopo gli studi presso il Conservatorio di Santa Cecilia e importanti collaborazioni con artisti del calibro di Anna Oxa, Diodato e i Dirotta su Cuba, Stefano ha sviluppato un sound unico che abbraccia generi come l’acid jazz, il jazz fusion e l’elettro jazz. In questa intervista, esploriamo il suo viaggio musicale, le sue influenze e la sua continua ricerca sonora.
a cura di Antonio Capua
Stefano, hai studiato chitarra classica al Conservatorio di Santa Cecilia, ma ti sei poi orientato verso il jazz fusion e l’acid jazz. Come è avvenuta questa transizione e cosa ti ha attratto verso questi generi?
È avvenuta in maniera naturale, sentendo anche in altri generi musicali delle sonorità nelle quali mi riconoscevo e soprattutto mi ha attratto la curiosità nel conoscere e studiare dei linguaggi differenti.
Hai partecipato a seminari con leggende come Tommy Emmanuel e Allan Holdsworth. Qual è la lezione più importante che hai appreso da questi grandi maestri e come ha influenzato il tuo modo di suonare e comporre?
Di sicuro la prima cosa che ho appreso è avere un’attitudine da eterno studente, mettendosi sempre alla continua ricerca di sonorità e di idee e questa cosa cerco di riproporla anche nei lavori che mi vengono commissionati.
Nel tuo lavoro hai collaborato con artisti di generi molto diversi, dai Dirotta su Cuba a Gianmarco Carroccia, passando per Anna Oxa e Noemi. Come riesci a mantenere la tua identità musicale pur adattandoti a contesti così vari?
Come ho già detto nelle risposte precedenti, sapersi confrontare con generi musicali diversi è un po’ come saper parlare lingue diverse, di conseguenza riesci a capire e cerchi di contestualizzarti (attingendo soprattutto al tuo bagaglio cultural-musicale che poi alla fine sono gli ascolti di musica diversa che ho fatto nel corso degli anni)
L’acid jazz e il jazz fusion sono generi noti per la loro complessità e sperimentazione. Cosa ti affascina di più nel lavorare in questi generi e come trovi l’equilibrio tra virtuosismo e espressività emotiva?
Per quanto possano esseri considerati generi di nicchia o da “addetti ai lavori”, cerco sempre di trovare un canale di espressione e comunicativo, partendo innanzitutto dalla ricerca del timbro giusto (come scegliere una chitarra idonea), già questo è un punto di partenza che ti mette in condizione di poter esprimere delle cose piuttosto che altre.
La tua carriera ti ha portato sia in studio per la registrazione di colonne sonore, che sul palco in esibizioni live. Qual è il contesto in cui ti senti più a tuo agio e come cambia il tuo approccio musicale in queste due situazioni?
Di sicuro la mia “confort zone” è sul palco perché mi reputo un musicista istintivo (e spesso nei contesti live viene richiesta questa cosa).
Lavorare in studio è altrettanto affascinante ma oltre all’istinto, conta anche saper prevedere se un’idea che proponi (o che ti viene proposta) sia funzionale all’arrangiamento del brano in questione.
Il jazz è spesso considerato un genere che richiede molta libertà creativa e improvvisazione. Quanto è importante per te l’improvvisazione e come prepari la tua mente e le tue mani per un’esecuzione spontanea?
L’improvvisazione è fondamentale perché significa essere sé stessi senza filtri, non preparo la mia mente, semplicemente ascolto l’arrangiamento e/o il mood che si crea durante il mio solo, da li mi faccio anche coinvolgere e seguire il “flow”
Collaborare con musicisti come Jimmy Haslip dei Yellowjackets o Jeff Lorber è un traguardo importante. Come sono nate queste collaborazioni e cosa hai imparato lavorando con figure così influenti nel panorama jazz internazionale?
Queste collaborazioni sono nate grazie ad un noto produttore romano famoso al livello internazionale, Papik. Mi ha chiamato per lavorare in studio nella registrazione di alcune chitarre per le sue produzioni e quando ti rendi conto che il tuo suono è affiancato (o a sostegno) di altri musicisti di calibro internazionale come quelli che hai citato nella domanda, ti fanno mettere nella condizione di ascoltare con un orecchio più attento, cercando di cogliere sfumature di playing….alla fine stiamo parlando di musicisti che sono dei caposcuola che ho ascoltato tante volte nei loro dischi e nei dischi di altri colleghi.
La tua passione per generi come l’elettro jazz indica una propensione alla fusione di sonorità tradizionali con quelle moderne. Come vedi l’evoluzione del jazz nell’era digitale e quale ruolo pensi possa avere la tecnologia nella tua musica?
Nella musica ci sono sempre stati questi esperimenti e nel campo del jazz ci sono dei nomi che hanno sempre cercato questo connubio e di stare al passo con i tempi….da Miles Davis, Herbie Hankock, Pat Metheney, Chick Corea, Allan Holdsworth, Michael Brecker….e tanti altri.
Adesso ci sono chitarristi come Plini e Tim Hanson che hanno ulteriormente sperimentato connubi anche con generi musicali attuali come la tanto discussa Trap.
Credo che il segreto sia non avere pregiudizi su determinate sonorità che stanno andando adesso di moda e cercare di vedere il bicchiere mezzo pieno.
Nel tuo percorso artistico hai esplorato diversi stili musicali, dalle sonorità acustiche a quelle più elettroniche. C’è uno stile o un genere che ancora non hai sperimentato e che ti piacerebbe esplorare in futuro?
Ce ne sono diversi di stili/generi musicali che non ho affrontato per il semplice fatto che non mi ci riconosco musicalmente e non riuscirei a dare un contributo efficace….però mai dire mai!
Guardando indietro alla tua carriera, quale pensi sia stato il momento più significativo della tua evoluzione come musicista e quali sono i prossimi obiettivi che ti sei prefissato?
Ogni collaborazione (sia con dei musicisti, sia con degli artisti) che ho avuto è stata formativa, ultimamente ho avuto occasione anche di suonare assieme a Judith Hill (musicista americana che ha collaborato anche con Michael Jackson e Prince) ed è stata un’esperienza stupenda. Adesso suono con i Dirotta Su Cuba da 3 anni ed è una band che ho sempre amato (i loro brani sono parte della mia formazione nell’ambito funk/acid jazz) ed ora ritrovarmi ad essere il chitarrista di una band così iconica, è un privilegio e lavorare accanto ad un artista come Simona Bencini è veramente un onore, oltre al fatto che è un’artista eccezionale.
Il mio prossimo obbiettivo è quello di realizzare un album a mio nome, sicuramente verrà fuori un disco con molteplici sonorità che rappresenteranno un po’ il mio modo di vedere la musica.
Grazie Stefano e complimenti per il tuo lavoro
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