Tre ragazzi, un disco manifesto e la forza di chi sogna con i piedi per terra
Con “Fucking Dream”, disponibile dal 9 maggio 2025, i The Kollege lanciano un messaggio diretto, ruvido e necessario: svegliarsi dal sogno collettivo di apparenze e ipocrisie, e scegliere consapevolezza, amore e ribellione. Il brano anticipa “Sensibility”, il loro atteso album d’esordio, in uscita il 16 maggio. Con un sound che unisce rock, funk, pop e una grinta da palcoscenico di strada, Alessandro, Lorenzo e Paolo – giovanissimi ma già maturi nella visione – raccontano un mondo che cercano di cambiare, partendo da sé stessi.
a cura della redazione
Ciao ragazzi, benvenuti su Che! Intervista. Partiamo da “Fucking Dream”: che cosa rappresenta per voi questo brano e qual è il suo legame con il concept dell’album in arrivo?
Ciao! Grazie mille! Allora, il concept alla base di questo brano nasce dall’esigenza di “risvegliare” chi vive intrappolato in una realtà illusoria, in un “fucking dream” fatto di corruzione, apparenza e culto del denaro. Un sogno finto, ma talmente radicato da diventare una vera e propria dipendenza per chi vi è dentro. Noi, dall’altra parte, scegliamo di combattere questo stato di ignoranza. Lo facciamo attraverso la musica, la consapevolezza, la voglia di migliorarci come persone e l’unione con chi condivide questo percorso. Il brano invita ad aprire gli occhi e a rifiutare l’andamento di una società che si nutre di ignoranza e finzione. Nel testo si afferma: “L’amore sarà la loro più grande paura perché odio sto fottuto sogno”. Una frase che racchiude l’essenza della nostra lotta: contrastiamo l’odio e l’indifferenza con l’amore, con la positività e con la sensibilità, le armi più potenti e destabilizzanti per chi preferisce vivere nell’ombra del cambiamento, dove è più facile non porsi domande e vivere senza pensieri. Qui troviamo il legame con l’album “Sensibility”, tutti i pezzi si concentrano proprio su questi concetti che vorremmo siano più chiari possibili. Questo brano è un invito a scegliere la realtà, a guardarsi dentro e a non avere paura di diventare migliori.
“L’amore sarà la loro più grande paura”: questa frase colpisce e sintetizza bene la vostra visione. Cosa intendete quando dite che amore e sensibilità sono armi di rivoluzione?
Perché essere sensibili significa non accettare ingiustizie e aiutare, nelle proprie possibilità, chi ha difficoltà e chi soffre. Se tutti fossimo più sensibili crediamo che molte cose non accadrebbero. Sappiamo anche che ci vuole coraggio ad amare e ad essere sensibili, per questo l’album diventa anche una sorta di aiuto a trovare quel coraggio e a sentirsi meno soli. Sono armi di rivoluzione perché le rivoluzioni nascono dalle sofferenze; tutti soffriamo, ma non direttamente, crediamo di essere completamente liberi e quindi facciamo fatica a spingerci oltre. Per fare la rivoluzione dobbiamo soffrire per chi soffre davvero, in modo diretto. A quel punto andare a votare, protestare o scendere in piazza per lottare diventa una necessità.
Il vostro videoclip ha un’estetica urban forte e autentica, girato nella zona H di Alba. Che ruolo ha lo spazio urbano nella vostra musica e nel vostro immaginario?
Lo spazio urban che abbiamo scelto per il videoclip è semplicemente per rappresentare anche con l’immagine il sound del pezzo. Lo spazio urbano in generale nella nostra musica è importante perché è la cornice del quadro su cui rappresentiamo e condanniamo questa vita veloce, poco emotiva e frenetica. Oltre a questo, la città ha delle immagini forti e poetiche che più volte si possono trovare nei testi dell’album.
L’album “Sensibility” è un inno alla libertà emotiva e al vivere senza filtri. Cosa significa per voi “vivere con sensibilità” in un mondo che spesso premia l’indifferenza?
Per noi significa essere vegani, comprare usato o made in Italy, andare a votare, scendere in piazza e fare musica. Queste non sono scelte, sono necessità: sapere e vedere cosa c’è dietro a quello che mangio o vesto, per esempio, non ci fa dormire la notte e quindi non riusciamo ad essere indifferenti. Questo non significa che per noi ora tutti dovrebbero fare così, perché non è facile e perché non si cambia da un giorno all’altro il proprio stile di vita. Quello che cerchiamo di dire è di coltivare la propria sensibilità, come farlo? Fate arte: danzate, scrivete, disegnate, suonate, sognate… “Quando non riesco a fare arte?” Osservatela, l’arte è ovunque, anche in un paesaggio, anche in un volto. L’indifferenza nasce proprio per carenza di questo e per la velocità con cui tutto viaggia, anche per questo fare un album da 50 minuti diventa una sfida a questo correre urbano dei pensieri.
Il vostro percorso nasce in strada, tra festival e viaggi in famiglia. Quanto ha influenzato questo background la vostra visione artistica e la vostra attitudine live?
Ha influenzato tutto, prima di tutto perché anche piccoli traguardi ora ce li godiamo moltissimo, traguardi che per altri forse nemmeno verrebbero considerati tali; per esempio per noi essere attualmente a 300 ascoltatori mensili ci rende molto felici. Ci ha fatto capire che la musica, ma in generale l’arte, arricchisce davvero, non solo le città (perché un artista di strada rende poetiche le piazze), ma le persone, soprattutto quando riesci ad arrivare nel loro cuore, e questo i nostri genitori con la strada ce lo hanno insegnato, e basta davvero poco: un sorriso vero e metterci amore nel suonare. Tutto ciò ha influenzato molto anche la nostra vita, la nostra adolescenza l’abbiamo passata così, queste cose qui ci hanno cresciuto. Per quanto riguarda l’attitudine che abbiamo per un live ha fatto tutto la strada: energia a mille davanti a una persona anche, per poter fermare le altre che non sono lì per ascoltarti; il rispetto per il pubblico, per esempio esibirsi sempre sobri e in perfette condizioni; dare il massimo; saper gestire ogni tipo di situazione; capire il momento e agire in base a quest’ultimo; coinvolgere il più possibile il pubblico, e l’elenco potrebbe ancora andare avanti ma principalmente è questo che influenza i nostri live.
In soli tre anni siete passati dall’idea di band alla pubblicazione di un disco. Com’è stato il percorso creativo di “Sensibility” e come avete affrontato la produzione delle 12 tracce?
Una nostra canzone prende forma quando sentiamo l’esigenza di crearla. Di solito, è uno di noi tre a proporre un riff di chitarra, un testo, una linea di basso o un groove, e poi ci lavoriamo insieme. Il percorso creativo è sempre spontaneo e naturale, senza forzature. Per questo album in particolare, abbiamo trovato l’ispirazione in una baita di montagna, dove ci siamo isolati per cinque giorni per suonare e scrivere qualcosa di speciale. Chi aveva un’idea prendeva l’iniziativa e gli altri si univano con il loro contributo, seguendo l’ispirazione del momento. Al ritorno a casa avevamo l’album pronto.
I titoli delle canzoni sono diretti, provocatori, a volte duri. Come bilanciate la rabbia e la speranza nei vostri testi e nelle vostre sonorità?
La rabbia è presente perché quando leggiamo di morte, femminicidi, violenze, indifferenza ecc. questo proviamo. Che non è da confondere con l’odio, l’odio è qualcosa che non sappiamo. La rabbia si bilancia con la speranza perché rispondere solo con la rabbia non risolve nulla. È una rabbia sana, non aggressiva, soprattutto nelle sonorità di alcuni pezzi, che inevitabilmente anche per il genere che facciamo sono più dure. Nei testi questa rabbia c’è perché è un racconto a 360 gradi di quello che proviamo, e questo è un fattore oltre che la speranza.
Siete tutti polistrumentisti, giovanissimi e figli d’arte: quanto conta per voi l’eredità musicale familiare, e quanto desiderate invece rompere con certi modelli?
Conta moltissimo, non saremmo chi siamo se fin da piccoli i nostri genitori non ci fossero stati vicini nello studio dello strumento. L’eredità è quella della musica balcanica, che è una figata, una musica molto difficile che a livello musicale può dare moltissimo, e della musica popolare, che è una continua denuncia sociale o politica. Noi facciamo tesoro di questo e non c’è nessun modello che vorremmo rompere: anche se non facciamo le stesse cose o le facciamo in modo diverso, ce le teniamo molto strette e cerchiamo sempre di imparare qualcosa di nuovo.
Il vostro messaggio punta dritto al cuore di chi non si arrende. A chi si rivolge Sensibility? Chi sono le persone che immaginate mentre suonate?
A questa domanda la risposta la potete trovare in una traccia: Mary. Mary è una prostituta, simboleggia chi in questa società è considerato uno “scarto”, chi in questa società non si sente mai a suo agio a causa di una morale altrui. Mary vive, ama, piange, odia e sorride, come tutti. Si rivolge a queste persone, quindi a tutti, compresi noi stessi. Siamo tutti Mary, siamo tutti vittime. Mentre suoniamo dal vivo non ci serve immaginare, quello che vorremmo immaginare ce l’abbiamo davanti, cioè persone, amici, che sorridono o si emozionano per una tua canzone. Questo è bellissimo perché non vediamo più vittime e non ci sentiamo più vittime, ma ci sentiamo semplicemente felici, ingenui come bambini.
Avete un calendario fitto di live tra maggio e giugno. Cosa possiamo aspettarci dai vostri concerti e come vivete il rapporto con il pubblico dal vivo?
In parte ho risposto alla scorsa domanda, ma quello che ci si può aspettare dai nostri live è tanta energia, passione e coinvolgimento. Nasciamo come artisti di strada, la nostra attitudine è sempre quella: cioè di dare il massimo per fermare le persone che non sono lì per noi, per convincerle a rimanere e quindi coinvolgerle, fare numeri ed emozionare. I nostri live non cambiano tanto da quelli della strada, ciò che cambia è l’impianto e la possibilità di fare pezzi non solo acustici. Molti a fine concerto ci dicono: “ma ora come spiego a mio papà/fratello/amico cosa ho visto e cosa ho sentito, è stata un’esperienza inspiegabile”. In base ai feedback del pubblico diciamo sempre che un nostro live si può solo vivere, non si può spiegare. Questo ci riempie il cuore perché anche per noi è lo stesso.
Grazie ragazzi e complimenti per la vostra carriera artistica!
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