Dalla penna appassionata e autentica di Debora Scalzo, arriva “Breve ma Intenso”, l’ottavo romanzo della scrittrice e regista siciliana, il primo in assoluto dedicato all’Arma dei Carabinieri. Un’opera di fantasia, ma profondamente rispettosa e ispirata alla realtà di chi ogni giorno veste una divisa e affronta il peso delle proprie scelte.
Attraverso la storia di Salvatore e Debora, anime distanti ma affini, la Scalzo firma un romanzo potente e commovente, dove la passione sfida le regole e l’amore diventa terreno di battaglia interiore. Ambientato tra le atmosfere barocche di Catania, il romanticismo di Parigi e l’anima frenetica di New York, “Breve ma Intenso” esplora l’incontro tra la fragilità e il coraggio, tra l’ordine e il caos dei sentimenti.
a cura della redazione
Benvenuta su Che! Intervista Debora, e grazie per essere con noi. “Breve ma Intenso” è un titolo che già da solo evoca emozioni forti. Cosa ti ha spinta a scrivere questa storia e perché proprio ora?
Grazie a voi, è un onore. “Breve ma Intenso” nasce da un’urgenza emotiva, una di quelle che ti prende allo stomaco e non ti lascia in pace finché non la trasformi in parole. È una storia che si è scritta da sola, dentro di me, in silenzio, per tanto tempo. Avevo bisogno di raccontare la verità dei sentimenti, anche quando sono scomodi, anche quando esplodono dove non dovrebbero.
Ho scelto di scriverla ora perché sento che viviamo in un’epoca che ha bisogno di autenticità. Di racconti che non addolciscono l’amore, ma che lo mostrano in tutta la sua complessità. Salvatore e Debora non si incontrano per caso. Sono il simbolo di due mondi che collidono, si sfiorano, si cercano. E nel mezzo c’è la vita, con tutto il suo peso e la sua bellezza.
In questo romanzo entri per la prima volta nell’universo dell’Arma dei Carabinieri. Com’è stato per te, da artista e donna, raccontare un mondo così strutturato, profondo e carico di responsabilità?
È stato un atto di rispetto. E anche un atto d’amore. Entrare nel mondo dell’Arma dei Carabinieri non è stato solo documentarsi o osservare: è stato ascoltare. Ascoltare le storie, gli sguardi, i silenzi. Le fragilità dietro la forza, il peso della divisa che non si toglie nemmeno quando si torna a casa.
Come donna e artista, mi sono avvicinata con umiltà e con un senso di responsabilità enorme. Volevo rendere omaggio a chi sceglie ogni giorno il dovere, ma senza dimenticare che sotto l’uniforme batte un cuore. “Breve ma Intenso” è il mio modo per dire: vi vedo, vi sento, vi rispetto.
Salvatore e Debora sono due personaggi intensi, pieni di contraddizioni e di desideri trattenuti. Quanto c’è di te in entrambi? E quanto invece proviene dall’osservazione della realtà?
In entrambi c’è moltissimo di me. Forse perché in fondo siamo tutti un po’ Salvatore e un po’ Debora.
Debora porta con sé la mia parte più autentica: la passione viscerale, la fame di verità, il coraggio di amare anche quando fa paura. Salvatore invece incarna quella parte che ho spesso incontrato nella vita: uomini forti, spaccati tra ciò che sentono e ciò che devono essere. Certo, c’è anche molta osservazione del reale. Ho ascoltato storie vere, ho respirato la distanza che a volte esiste tra il cuore e il dovere. Ma il bello della scrittura è proprio questo: partire dalla realtà e trasformarla in emozione. Salvatore e Debora sono vivi, perché nascono da verità che conosco profondamente mie e altrui.
Hai detto che questo romanzo è un omaggio sentito all’Arma. Qual è stato il tuo approccio nella costruzione del personaggio di Salvatore, Colonnello tanto potente quanto emotivamente bloccato
Ho costruito Salvatore camminando su una linea sottile: quella che separa l’uomo dal ruolo, il cuore dal comando. Non volevo un eroe perfetto, né un personaggio stereotipato. Volevo un uomo vero. Un Colonnello che conosce il peso delle medaglie ma che ha dimenticato il suono del proprio cuore.
Mi sono lasciata guidare dalle storie di vita reale: testimonianze forti, silenzi carichi di significato, sguardi che dicevano più delle parole.
Salvatore è potente, sì, ma è prigioniero del suo stesso rigore. E proprio in quella prigione, nel suo conflitto interno, risiede tutta la sua umanità. È lì che ho trovato l’amore per il personaggio e forse anche un po’ di compassione.
Il rapporto tra Debora e Salvatore è fatto di distanze, tensioni, e una passione che sfida ogni logica. Come hai lavorato sul delicato equilibrio tra sentimento e dovere?
Ho lasciato che fossero loro a parlarmi.
Non ho mai imposto una direzione alla loro storia: li ho osservati, li ho ascoltati. L’equilibrio tra sentimento e dovere è un campo di battaglia interiore.
Debora è fuoco, Salvatore è controllo. Ma entrambi sanno cosa vuol dire rinunciare. La tensione che li unisce è fatta di “non detti”, di scelte taciute, di sguardi che gridano ciò che le parole non osano. Scrivere il loro amore è stato come danzare sul filo del rasoio: un amore che non cerca il lieto fine, ma il vero. E a volte, la verità è più intensa di qualsiasi finale romantico.
Il libro è ambientato in luoghi iconici e molto diversi tra loro: Catania, Parma, Milano, Parigi, New York. Quanto contano per te gli spazi nella costruzione narrativa ed emotiva della storia?
Gli spazi sono personaggi. Hanno un’anima, una voce, una memoria.
Catania è la terra delle radici, della passione, delle contraddizioni. Parma è il passato che bussa con educazione ma con forza. Milano è la vita quotidiana, il presente che corre. Parigi è il sogno, la bellezza sospesa. New York è la rinascita. Ogni città che ho scelto accompagna un momento emotivo preciso. Non sono solo fondali: sono stanze interiori dell’anima dei protagonisti. Per me, scrivere significa anche far viaggiare il lettore, non solo tra le pagine, ma dentro sé stesso. E i luoghi aiutano a farlo, a volte più delle parole.
Simone Montedoro firma la prefazione del romanzo, un attore amato e profondamente legato al ruolo di Capitano Tommasi. Cosa ha significato per te questa collaborazione?
Un dono prezioso. Simone non è solo un grande attore: è un uomo di cuore, profondo, generoso. La sua prefazione è un abbraccio silenzioso a tutto il senso del romanzo.
Ci lega il rispetto per l’Arma, l’amore per le storie vere, l’umanità che va oltre i ruoli. Averlo accanto in questo progetto ha dato ancora più forza al messaggio del libro. È come se con la sua voce, quella che tanti italiani hanno amato nel Capitano Tommasi, avesse voluto dire: “Dietro la divisa c’è vita, c’è amore, c’è verità”.
Parli spesso del bisogno di raccontare l’anima dietro la divisa. Pensi che oggi, più che mai, ci sia l’urgenza di umanizzare le figure istituzionali, anche nella narrativa?
Assolutamente sì.
Viviamo in un’epoca di distanza emotiva, in cui spesso le istituzioni sembrano lontane, fredde. Ma dietro ogni uniforme c’è un cuore che batte, una storia che merita di essere raccontata.
La narrativa può e deve fare questo: aprire spiragli, creare empatia, abbattere muri. Umanizzare non significa sminuire, anzi. È restituire dignità. È ricordare che la vera forza sta nell’essere vulnerabili. Ed è proprio lì che nascono le storie che ci cambiano.
Dopo il successo del docufilm “Paolo Vive” e in vista del tuo prossimo progetto cinematografico “Oltre la Divisa”, ti senti più scrittrice o regista? O sono due anime che convivono senza confini?
Sono un’anima inquieta e creativa. Non riesco a separare la scrittrice dalla regista: convivono, si cercano, si completano e si salvano. Quando scrivo, vedo le scene come in un film. Quando dirigo, sento le parole dei personaggi come se le avessi scritte nel cuore. Paolo Vive mi ha cambiata. Oltre la Divisa sarà un’altra sfida potente. Io non scelgo tra penna e cinepresa. Scelgo la verità. E ogni mezzo che ho per raccontarla è benedetto.
“Breve ma Intenso” uscirà in libreria il 6 luglio, proprio nella Giornata Mondiale del Bacio. Cosa ti auguri che questo romanzo lasci al cuore di chi lo leggerà?
Mi auguro che lasci una scossa. Un battito in più. Vorrei che chi lo legge sentisse che l’amore non è sempre facile, non è sempre giusto ma è sempre vero. Vorrei che restasse addosso il profumo di un’emozione intensa, come un bacio rubato che non si dimentica.
E soprattutto, che ogni lettore senta che in queste pagine c’è un pezzo di vita la mia, forse anche la sua. Perché alla fine, tutti meritiamo un amore che ci sconvolge. Anche solo per un attimo. Anche se è breve. Ma che sia intenso.
Grazie Debora per questa interessante intervista e complimenti davvero per tutto!

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