Donata Carelli, nata e cresciuta nella suggestiva terra di Sabaudia, ai piedi del Monte Circeo, incarna l’equilibrio tra storia e mito. Laureata in Lettere classiche con un dottorato internazionale in Studi Umanistici, Carelli ha costruito una carriera che si snoda tra insegnamento, giornalismo e scrittura creativa. Autrice di testi teatrali, saggi e film, è stata premiata per i suoi documentari e ha insegnato in università in Italia, Grecia e Stati Uniti. In questa intervista esploreremo il suo percorso artistico e intellettuale, con un viaggio attraverso la sua ispirazione e il suo rapporto con la scrittura.
a cura di Antonio Capua
Ph Simone Calderan
Benvenuta Donata, sei nata in una terra mitica come Sabaudia, all’ombra del Circeo. In che modo il legame con questo territorio ha influenzato la tua scrittura e il tuo percorso artistico?
Quando, specialmente all’estero, dico che sono nata con l’ostetrica dentro casa, fa sempre un certo effetto, ancor di più se aggiungo che la mia città ha solo 90 anni e che prima c’era solo la palude. Io l’ho definita “Una giovane città, con la pelle bianca di marmo e gli occhi azzurro mare”. Questa fondazione così recente però si accompagna ad un passato che affonda le sue radici nel mito. il monte Circeo infatti ha un profilo che ricorda quello di un viso, per molti il profilo di Circe che attende il ritorno di Ulisse. Una terra così, baciata da una natura incredibile, di pianura, collina, mare, lago, isole non poteva non imprimere il suo fascino sull’immaginazione di chi è nata e per lo più vissuta qui. Ad oggi, in tutti i miei scritti, l’orizzonte pontino segna anche la nascita delle mie storie.
Il tuo amore per le Lettere classiche e il successivo dottorato tra Italia e Grecia evocano un forte richiamo alla cultura antica. Come hai integrato gli studi classici nella tua carriera di scrittrice e sceneggiatrice?
Hai lavorato come autrice di testi teatrali, saggi e film. C’è un filo conduttore che collega questi diversi generi di scrittura? Qual è l’aspetto che ti affascina di più di ciascuna di queste forme espressive?
Gli studi classici, e in particolare l’amore per la lirica greca, nutrito all’università, hanno fornito un imprinting molto profondo che affiora qua e là, come sottolineato dalla giornalista Maria Latella. Il mio primo testo teatrale, “Bab Arabìe. La porta della Primavera” è un (παρακλαυσίθυρον) paraklausithyron, ovvero un lamento davanti a una porta chiusa, un motivo della poesia elegiaca di argomento amoroso greco e latino che lasciò il segno durante una lezione al liceo classico della professoressa Di Natale quand’ero sui banchi. Il mio testo, “Bab Arabìe. La porta della Primavera” affrontava le divergenze e le miracolose, segrete assonanze tra culture diverse dopo la guerra nel golfo. Quel testo vinse la XXX Edizione del Premio Fondi La Pastora, un premio che ancora mi inorgoglisce solo al ricordo poiché venne attribuito da una giuria popolare proveniente da tutta Italia. Poi nel 2008 il mio viaggio negli Stati Uniti per studiare i meccanismi drammaturgici degli autori americani e il professor Bauer da quale argomento iniziò il suo percorso? Da Aristotele, e ricordo che sentii un senso di orgoglio per la nostra Cultura mediterranea. Quel senso di orgoglio l’ho riprovato anni dopo, insegnando Letteratura agli studenti dell’Università Aristotele di Salonicco dove effettuavo il mio PhD. Avvertii il loro amore per la nostra Letteratura che era pari al mio per i loro inimitabili e struggenti lirici greci. Questo Mediterraneo è davvero la nostra culla.
Nel corso della tua carriera hai vinto premi per film e documentari. Qual è stato il progetto cinematografico che ti ha messo più alla prova, e perché?
Nel 2016 è uscito il mio primo film come cosceneggiatrice, “Due euro l’ora” del regista Andrea D’Ambrosio. E’ stato un lavoro appassionante, sulle tracce di due donne che persero la vita in Campania nel rogo nato in un materassificio privo di qualsiasi norma di sicurezza. La scrittura fu un processo lento, così la lavorazione ma il risultato fu quello di un prodotto certamente indipendente e low budget ma con una sua poesia intrinseca. Anni dopo scrissi un’altra storia, sempre ispirata all’attualità, ma, come talvolta accade purtroppo, il percorso del film si perse nei meandri di una burocrazia poco virtuosa che tagliò le ali ad un progetto che era piaciuto molto anche in Rai. Ecco, quello è stato un momento davvero difficile, in cui per un attimo pensai di non scrivere più. Ma è stato solo un attimo perché scrivere è, per me, in primis una esigenza profonda e insopprimibile.
Hai insegnato scrittura creativa e filmica in università in diverse parti del mondo, tra cui Italia, Grecia e Stati Uniti. Come queste esperienze internazionali hanno arricchito il tuo modo di raccontare storie?
Non so se abbiano arricchito il mio immaginario più le università all’estero nelle quali sono stata o i viaggi compiuti in diverse parti del mondo. Il viaggio è stato ed è il più importante ‘aggiornamento’ nella formazione di chi scrive. Ritengo viaggiare un percorso di formazione che non ha pari. Un ricordo divertente: alla NUCT, la Nuova Università del Cinema e della Televisione che frequentai a Roma, il nostro grande Maestro di Sceneggiatura, Ugo Pirro, nella fase conoscitiva, chiese a ognuno di noi i nostri titoli. Tutti, ovviamente, elencammo le nostre ‘coccarde’ al petto: lauree, master ecc. A quel punto lui ci guardò fisso e ci chiese, puntando il dito: “Tu, dimmi in che regione si trova Vercelli, tu Alessandria, tu Otranto, tu Campobasso ecc”. Seminò il panico tra tutti noi. Sorrise e ci disse: per scrivere, prima dei titoli, conta la conoscenza della strada, dei luoghi, della vita!”. Ecco, fu una bella lezione.
Il confine tra giornalismo e scrittura creativa a volte è sottile. Come bilanci l’approccio oggettivo del giornalista con la libertà narrativa della scrittrice?
Di getto mi sento di dire che il punto di contatto tra la scrittura giornalistica e quella più libera di chi scrive immaginando storie, sia l’etica e il senso di responsabilità che non deve mai venir meno nell’uno e nell’altro campo. Quando creo i miei personaggi, sento di dover rispondere ad un senso etico. Il che non vuol dire non poter scendere i gradini dell’abiezione umana nella descrizione di un personaggio dai risvolti malvagi, ma deve pur essere sotteso all’ossatura del messaggio complessivo, un senso etico che, penso, mi derivi anche dal mio ruolo di docente a scuola. Scrivere, come insegnare, necessita di un profondo senso di responsabilità.
La tua terra è intrisa di miti e leggende, dalla maga Circe alle vicende dell’antica Roma. C’è una figura mitologica o storica che senti particolarmente vicina e che ha ispirato la tua produzione artistica?
Come già detto inizialmente, vivere con la guardia costante del profilo di Circe non poteva non condizionare l’immaginario. Sono figlia di mio padre, Rodolfo, che è poeta (vincitore del Premio Viareggio opera prima) e che mi ha sempre raccontato di Circe e Ulisse che danno anche il titolo a una sua raccolta, “Circe e Ulisse, il compasso”. A Circe ho dedicato una piece teatrale, al momento ancora inedita, che dà una versione diversa e molto contemporanea dell’amore infelice che la donna provò per l’eroe inquieto.
Sei una donna che vive di parole: insegnante, giornalista, scrittrice. In che modo i tuoi studenti, attraverso il tuo ruolo di insegnante, influenzano il tuo modo di vedere e raccontare il mondo?
I miei studenti hanno influenzato e tutt’ora indirizzano in qualche modo quello che scrivo. Da scrittrice, essere un’insegnante offre un osservatorio privilegiato sul mondo. Da loro cerco sempre di apprendere e di aggiornare il senso del ritmo della storia, che varia al loro variare e gli occhi aperti sul contemporaneo che, spesso, ha urgenze molto diverse da quelle che noi percepiamo, ma non per questo meno di peso. Se scrivessi senza entrare quotidianamente in un’aula, sono certa che la scrittura ne risentirebbe. Devo molto ai miei ragazzi e alle mie ragazze.
La scrittura è spesso un percorso solitario, ma nel cinema è un processo collaborativo. Qual è per te la parte più stimolante del lavorare in team su un progetto cinematografico?
Si, è vero, la scrittura è spesso un percorso solitario che dura nel tempo, specie nella fase di ideazione, quando la storia ruota tutta attorno a un’immagine che va messa a fuoco. Personalmente, in questa prima fase di ideazione preferisco il percorso solitario, è come aggirarsi in una camera oscura o in un vero e proprio percorso di gestazione. Invece, in sceneggiatura, quando si procede proprio alla scrittura delle battute, dei toni, dello sviluppo corale della storia, trovo estremamente stimolante scrivere con un’altra o anche con più persone, soprattutto se caratterialmente diverse da me poiché questo ‘conflitto’, questa diversità nutre la storia conferendole più dimensioni e più colore.
Guardando al futuro, ci sono progetti, film o libri che stai scrivendo e che ti entusiasmano particolarmente e di cui vorresti parlarci?
Guardando al futuro, mi accorgo intanto che il viaggio di “Io madre mai” non solo non si è esaurito ma sembra giovarsi del tempo grazie al tam tam tra lettori e lettrici che sui social si confrontano e talvolta si scontrano sul loro modo personale e unico di intendere la propria realizzazione. “Io madre mai” fa proprio questo: sin dal titolo che, mi ha detto una lettrice, pare ‘venirti a cercare’ dallo scaffale, è in grado di aprire un dibattito su più fronti di cui la maternità è solo uno dei tanti strettamente connessi al nostro modo di vederci ‘pienamente realizzati/e’, al nostro modo di immaginare la nostra personale, unica, non negoziabile felicità. Ancora oggi ricevo quotidianamente messaggi da persone che non conosco e che, avendo letto il libro, hanno bisogno di manifestare il loro pensiero, i loro dubbi, le fragilità e le conquiste. Nel futuro più vicino, sto terminando la stesura del mio prossimo romanzo dal titolo “Cambierà”, una storia stavolta tutta di finzione, con un inizio drammatico che poi sfuma in una commedia capace -mi auguro- di far sorridere, pensare, emozionare, riflettere. Anche qui c’è il mare ma anche l’Europa. I protagonisti sono due uomini, uno giovane, un po’ sventato ma tenace e innamorato della vita, l’altro un uomo ormai di esperienza, affermato ma in un momento complicato della sua carriera. In uno dei due, le lettrici che hanno amato “Io madre mai”, ritroveranno traccia di Panama…Non dico altro. Grazie a voi!
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