Salima Balzerani, un’artista poliedrica nata a Rieti nel 1970, ha dedicato la sua vita all’arte della recitazione e del teatro. Con una carriera che abbraccia diverse esperienze, dalla scena romana all’insegnamento, Salima ci offre uno sguardo profondo sul suo percorso artistico e personale.
Benvenuta Salima, hai iniziato la tua carriera teatrale a soli 15 anni. Cosa ti ha spinto a intraprendere questo percorso e qual è il ricordo più vivo di quel primo spettacolo?
Frequentavo il Liceo Classico quando un giorno entrò in classe un uomo che si presentò come direttore di una compagnia invitando chi fosse interessatə a partecipare ai loro incontri. Andai, e cominciò così la mia avventura nel teatro.
Della mia prima volta “sui legni” ricordo ancora, o meglio ho viva ancora la sensazione: quella di essere a casa. Ed ancora oggi è così: a teatro, sul palcoscenico, io mi sento a casa.
Hai studiato e lavorato in diverse città europee. Come ha influenzato la tua formazione artistica il tuo tempo a Roma, Parigi e Bali? Quali differenze hai riscontrato nei vari contesti teatrali?
Roma mi ha subito accolta offrendomi, appena giunta, un’opportunità davvero speciale: Giuliano Vasilicò, Rossella Or, Mario Prosperi, Il Politecnico . A Parigi ho trovato i maestri di cui ero alla ricerca: Ludwig Flazsen e Zigmund Molik, rispettivamente il drammaturgo e il primo attore di Jerzy Grotowski, e la grandiosa Elsa Wolliaston.
A Bali sono andata perché volevo conoscere le origini e apprendere dalla fonte del Terzo Teatro.
Sono esperienze incomparabili e, credo fermamente, irripetibili perché quei mondi, oggi, non esistono più.
La tua esperienza con l’avanguardia romana degli anni ’70 è stata significativa. Puoi raccontarci di alcune delle collaborazioni più memorabili che hai avuto in quel periodo?
È stato l’inizio della mia carriera, avevo 18 anni. Un amico mi aveva detto che cercavano un’attrice giovane, mi sono presentata, ho fatto un provino e Giuliano mi ha presa. Chi fosse, e dove fossi finita, l’ho capito dopo. Ho avuto la fortuna di lavorare con i principali protagonisti dell’avanguardia romana degli anni ’70. Quelle persone erano artistə che continuavano a vivere, alla fine degli anni ’80, con la stessa audacia e autenticità che lì aveva spintə a rompere, due decenni prima, con “l’ordine costituito”. Erano statə pionierə allora e lo erano ancora. Io, assorbivo, attraverso di loro, la linfa vitale del teatro.
L’arrivo di tuo figlio ha rappresentato un momento cruciale nella tua vita. Come hai affrontato la sfida di conciliare la maternità con la tua carriera artistica?
Ho desiderato fortemente la maternità ed avrei rinunciato solo se non fosse giunta per vie naturali.
L’arrivo di mio figlio ha segnato uno spartiacque nella mia vita perché sapevo che non sarebbe mai più stata quella di prima (intendo in termini di libertà).
Non ho mai vissuto l’essere madre come una rinuncia, anche se di fatto lo è stata: per anni non ho più potuto dedicarmi alla mia più grande passione (ancor prima che professione). Ma era un’esperienza che volevo fare a qualsiasi costo perché prima del teatro c’è la vita. Anzi, senza vita non ci può essere teatro.
Hai parlato di come le esperienze della vita nutrano la tua arte. In che modo le tue esperienze personali si riflettono nei tuoi lavori teatrali?
Dove attinge un’artista se non dall’esperienza vissuta? Il teatro è utero, lacrime, sudore e sangue.
Dopo aver lavorato a lungo nell’underground e nel teatro di ricerca, quali sono le sfide e le soddisfazioni che hai incontrato nel tuo percorso?
La sfida è stata ed è quella di scegliere e di continuare a scegliere di fare teatro in un Paese dove oggi è più difficile di ieri.
La soddisfazione è quella di sempre: la risposta del pubblico alla fine di ogni replica. È il pubblico che dà senso al nostro esistere come artistə dello spettacolo .
Ora che vivi in Sardegna, come hai trovato l’ispirazione per lavorare su un tuo testo? Quali sono le tematiche che stai esplorando in questo nuovo progetto?
Se in Italia fare teatro è difficile, in Sardegna lo è ancora di più. Almeno per me che sono “una del continente”.
Scrivo da sempre ma è la prima volta che mostro e propongo di lavorare su un mio testo. È nato da un’intuizione ed è stato scritto di getto in 3 giorni.
Samskara, questo è il titolo, è l’universalizzazione di un’esperienza personale, ed ha a che fare con gli archetipi.
In che modo l’insegnamento ha arricchito la tua esperienza come artista? Quali valori cerchi di trasmettere ai tuoi studenti?
A me piace molto insegnare. Se non avessi fatto l’attrice avrei fatto la maestra elementare. Mi viene naturale, come recitare. Credo che, dopo un bel pezzo di strada e abbastanza esperienza, sia naturale trasmettere alle persone giovani ciò che si è e ciò che si sa. Fa parte del “patto intergenerazionale”. Io trasmetto amore profondo e passione ardente per il teatro.
Essere una “single mum” ha presentato delle sfide uniche. In che modo questa condizione ha influenzato la tua arte e la tua visione del mondo?
Si tratta di un compito al di sopra delle proprie forze e dunque ti costringe a superare te stessa. Scopri una forza che non sapevi di avere, e che non avresti mai avuta non ti fossi trovata in una simile situazione.
Noi siamo più di ciò che crediamo di essere ed i limiti che abbiamo sono quelli entro cui ci circoscriviamo.
È molto dura ma… “se non è dura, non è vita”.
Guardando al futuro, quali sono le tue aspirazioni artistiche? Ci sono nuovi progetti o collaborazioni che ti piacerebbe intraprendere?
Il teatro è relazione perciò per me ciò che più conta sono le persone con cui entro in relazione.
Vorrei continuare ad incontrare artisti stimolanti con cui il creare assume un valore che non è valutabile attraverso il successo o l’insuccesso ma attraverso il senso profondo che ha per ognuno di noi.
Grazie per la tua intervista Salima, complimenti per tutto! Tienici aggiornati!
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