L’amore per le tradizioni popolari è un legame profondo che attraversa le generazioni. Monia Scocco, cresciuta in un ambiente permeato da canti, danze e storie della terra marchigiana, porta avanti una missione di riscoperta e trasmissione di questo patrimonio culturale attraverso il suo nuovo libro “Un Salto nel Folklore“. In questo testo, Monia ci guida in un viaggio fatto di saltarelli, storie contadine e rituali antichi, raccontando con passione una cultura che rischia di scomparire. Scopriamo insieme i segreti del suo percorso artistico e umano e del gruppo che ha contribuito a fondare, “Li Matti de Montecò”.

a cura di Antonio Capua


Benvenuta Monia, “Un Salto nel Folklore” è un titolo evocativo. Cosa rappresenta per te questo ‘salto’?
“Un salto nel folklore” rappresenta un’immersione profonda e vivace nella cultura, nelle tradizioni e nelle radici popolari delle Marche. È un invito a scoprire e celebrare il ricco patrimonio folkloristico di questa regione, fatto di canti, balli, costumi tradizionali, racconti orali e rituali che si tramandano da generazioni.
Nelle Marche, il folklore è strettamente legato alla vita rurale e al legame con la terra. Il “salto” evoca la vivacità della danza tradizionale marchigiana per eccellenza, il saltarello, una danza popolare caratterizzata da ritmi energici e movimenti vivaci. Al tempo stesso rappresenta un viaggio simbolico attraverso le sagre, le rievocazioni storiche, le feste religiose, e i mestieri artigianali che raccontano l’identità di questa terra. Partecipare a questo “salto” significa lasciarsi trasportare dalle emozioni e dall’autenticità del folklore marchigiano, unendo passato e presente in un’esperienza unica e coinvolgente.

Hai ereditato la passione per le tradizioni popolari dalla tua famiglia. In che modo tuo nonno e tuo padre ti hanno ispirata nel preservare questa eredità?
La passione per le tradizioni popolari che ho ereditato dalla mia famiglia è legata a momenti e insegnamenti che mio nonno e mio padre mi hanno trasmesso nel tempo. Mio nonno prima con il gruppo folk “Val di Chienti” di Montecosaro Scalo negli anni ‘80, mio padre poi con la fondazione del gruppo folk “Li Matti de Montecò”, si sono impegnati attivamente nel custodire e celebrare queste tradizioni, dal loro esempio ho potuto interiorizzare l’importanza di mantenere vive le tradizioni popolari.
Mio nonno ha condiviso con me aneddoti, racconti popolari ed esperienze vissute che riflettevano le tradizioni locali, rendendo vive le radici della nostra cultura. Mio padre in questi anni ha cercato di coinvolgermi in attività legate alla tradizione, trasmettendomi la gioia di preservarle. Entrambi mi hanno insegnato a rispettare le radici culturali, sottolineando l’importanza di tramandare il sapere tradizionale alle generazioni future.

Nel libro parli dei balli e dei canti legati alle stagioni. Quanto era importante il ritmo della natura nella vita dei nostri avi e come si riflette nei balli tradizionali?
Il ritmo della natura era fondamentale nella vita dei nostri avi, poiché scandiva ogni aspetto della loro esistenza, dalle attività quotidiane all’organizzazione sociale e spirituale. Questo legame si riflette profondamente nei balli tradizionali, che spesso erano un modo per celebrare i cicli naturali, le stagioni, il raccolto, e i riti di passaggio.
La vita delle comunità rurali era strettamente legata al ciclo delle stagioni. I momenti di semina e raccolta, così come le pause invernali, influenzavano il tempo dedicato al lavoro e al divertimento. Le celebrazioni religiose e pagane erano spesso sincronizzate con eventi naturali, come i solstizi, gli equinozi o la luna piena. Questi momenti erano accompagnati da danze per onorare la natura e gli dei.
Gli esseri umani si percepivano parte di un sistema più grande, e i balli erano un modo per rafforzare questo legame. I balli tradizionali spesso imitano i movimenti della natura, come il vento, le onde o il volo degli uccelli. I ritmi delle danze riprendono i battiti costanti e regolari che ricordano il cuore o il ciclo del giorno e della notte. Gli strumenti musicali erano spesso costruiti con materiali naturali e producevano suoni che richiamavano la terra, l’acqua o il vento.
Questi strumenti accompagnavano i balli e creavano un collegamento diretto con il paesaggio.
Danze collettive come le tarantelle, i balli in cerchio o le ronde simbolizzavano l’unità della comunità e la ciclicità della vita. Ballare insieme era anche un modo per esprimere gratitudine verso la natura e garantire la fertilità dei campi.
In sintesi, i balli tradizionali erano un modo per connettersi alla natura, celebrare i suoi doni e trovare armonia con il mondo circostante. Ancora oggi, danzare queste coreografie ci permette di riscoprire un legame profondo con le nostre radici e con il ritmo naturale della vita.

Sei impegnata da anni nella diffusione del folklore marchigiano nelle scuole. Quali sono le reazioni dei bambini quando scoprono queste antiche tradizioni?
Nel corso dell’anno con il gruppo organizzo corsi sul saltarello e sulle danze popolari, lezioni di organetto, seminari e convegni collaborando con scuole pubbliche del territorio ed associazioni culturali. Da sempre impegnata nella diffusione, riscoperta e valorizzazione della tradizione popolare marchigiana, ogni anni realizzo due importanti progetti nelle scuole: il progetto “Parlami… ti ascolto” per i bambini della scuola dell’infanzia, ed il progetto “Balliamo insieme con musica, allegria e tradizione”, per i bambini della scuola primaria e secondaria, facendo conoscere loro le antiche tradizioni popolari, le musiche e i ritmi dei balli popolari.
Le reazioni dei bambini alla scoperta delle antiche tradizioni marchigiane sono molto vivaci e varie. Spesso provano stupore e curiosità nel confrontare il passato con la loro realtà attuale, le attività come i canti popolari, le danze tradizionali attirano molto la loro attenzione e favoriscono la loro partecipazione, amano fare domande per comprendere meglio come vivevano i loro antenati e il significato di certi usi e costumi, spesso si appassionano a storie, leggende e racconti.
Quando parlo di alcuni aspetti, come antichi giochi o modi di dire, spesso si divertono e alcuni bambini sviluppano una consapevolezza nuova sul valore delle tradizioni e del legame con il territorio.

Il libro propone una “rinascenza” delle tradizioni popolari. Pensi che oggi, con l’era digitale e la globalizzazione, ci sia ancora spazio per riscoprire le radici culturali locali?
Questa raccolta di canti rituali di questua della cultura orale marchigiana è frutto di un attento lavoro di ricerca ed ha lo scopo di far rivivere i ricordi dei nostri nonni, contribuendo ad una nuova “rinascenza” e alla rivitalizzazione di queste nostre prestigiose tradizioni.
Il libro intende creare delle condizioni fertili per la ripresa delle tradizioni e degli usi locali e quindi una riscoperta delle nostre radici e della nostra cultura, riportando in primo piano la nostra storia e le nostre tradizioni che di sovente sono state messe ai margini e dimenticate.
Attraverso quest’opera, intrisa di passione per le tradizioni e amore verso la propria terra, intendo far rivivere il messaggio della danza, della musica, dell’espressione popolare dell’anima marchigiana e rilanciare avanti questa eredità verso i più giovani per diffonderla fra i contemporanei. Questo libro annoda passato e presente, continua la tradizione, legando le radici della storia con l’oggi in un ruolo che guarda avanti, con l’auspicio che le nuove generazioni possano continuare a tenere vivi i sentimenti e l’anima di questo nostro Paese.
In un’epoca così interconnessa, la riscoperta delle tradizioni locali può diventare un elemento di arricchimento personale e collettivo, un antidoto all’uniformità e un ponte tra generazioni.
Penso che oggi, con l’era digitale e la globalizzazione, ci sia ancora spazio per riscoprire le radici culturali locali, e forse ancora più bisogno, di riscoprire le radici culturali locali.
In un mondo globalizzato, dove tutto sembra omologarsi, riscoprire le tradizioni locali offre un senso di identità e appartenenza. Conoscere le proprie radici aiuta a mantenere vivo un legame con la comunità e la storia locale, i patrimoni locali possono essere riscoperti e valorizzati, diventando fonte di orgoglio e unicità.
Nelle scuole, trasmettere il folklore e le tradizioni locali aiuta le nuove generazioni a comprendere il loro passato, sviluppando rispetto per la cultura e stimolando la creatività. Le storie, i canti e le danze tradizionali, ad esempio, possono essere strumenti per insegnare valori universali.
Quindi l’era digitale non è un ostacolo, ma un’opportunità. Le piattaforme online, i social media e gli strumenti multimediali permettono di archiviare, condividere e far conoscere il folklore a un pubblico vasto, anche internazionale. Riscoprire le radici locali non significa isolarsi, ma creare un equilibrio tra locale e globale, preservando il passato mentre si abbraccia il presente.

Parliamo del Saltarello, simbolo delle Marche. Qual è il suo valore simbolico e sociale e come si è evoluto nel corso del tempo?
Il saltarello, simbolo delle Marche ha senza ombra di dubbio un grande valore simbolico e sociale, sia come espressione culturale che come momento di aggregazione e celebrazione comunitaria. E’ simbolo di identità culturale perché rappresenta un elemento distintivo delle comunità rurali, esprimendo la loro storia, le tradizioni e il legame con la terra.
In origine, il saltarello era strettamente legato a feste religiose, matrimoni e momenti di festa contadina. Era un’occasione per celebrare eventi importanti, propiziarsi la buona sorte e rinsaldare i legami sociali. Il saltarello favoriva l’interazione tra giovani e diventava un modo per formare nuove coppie, poiché si svolgeva spesso in contesti comunitari dove uomini e donne potevano incontrarsi e interagire.
Il saltarello affonda le sue radici nel Medioevo, quando era una danza di corte e di piazza, praticata sia dai nobili che dal popolo. Con il tempo, la danza si è spostata principalmente nelle campagne, perdendo il suo legame con le élite e diventando espressione della cultura popolare.
Nel XX secolo, il saltarello ha subito un graduale declino, per via dell’urbanizzazione e della perdita di interesse per le tradizioni rurali.
Oggi il saltarello rappresenta un elemento di rivitalizzazione culturale, viene riproposto nei festival tradizionali, anche se influenzato da elementi moderni per renderlo più accessibile al pubblico contemporaneo.
Ma per me il saltarello è più di una danza: è una testimonianza vivente della storia e delle tradizioni delle comunità dell’Italia centrale. La sua evoluzione da danza di corte a simbolo della cultura popolare dimostra la capacità delle tradizioni di adattarsi e sopravvivere, rimanendo un ponte tra passato e presente.

Hai ricevuto importanti riconoscimenti per la tua attività. Qual è stato il momento più significativo per te nella tua carriera di ambasciatrice del folklore?

Tra i momenti più importanti vorrei ricordare:

  • Nel 2018 ho ricevuto il primo premio per la migliore esecuzione di brano musicale con strumento tradizionale a Messina.
  • Nel 2019 ho partecipato alla 1° “Giornata nazionale del folklore e delle tradizioni popolari” a Roma, con la premiazione dell’allora Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte.
  • Il 21 giugno 2023, in occasione della Festa Europa della musica in Senato ho presentato il disco “Il ritmo della tradizione”, raccolta di saltarelli marchigiani, coofinanziata dalla Regione Marche.
  • Il 15 Dicembre 2023 siamo stati ricevuti presso la Farnesina dal Ministro degli Esteri, Antonio Tajani.
  • 20 Novembre 2024: partecipazione al GRAN BAZAR INTERNAZIONALE in rappresentanza della Regione Marche nella sede della FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) di Roma, iniziativa promossa dall’Associazione delle Donne delle Nazioni Unite, alla presenza del presidente Wu Dongyu e il vicepresidente Maurizio Martina.

Il momento più significativo è stato nel 2023 con l’inizio della collaborazione con le comunità dei marchigiani all’estero, in particolare con la Comunità Argentina dei Marchigiani a Rosario con la quale siamo in contatto per promuovere la tradizione marchigiana in Argentina. Il gruppo folk locale di Rosario si è esibito nel saltarello marchigiano che gli abbiamo insegnato attraverso dei video, in occasione del Festival della Collettività di Rosario, un grandissimo festival al quale partecipano tutte le comunità americane.

Oltre ai balli, il libro raccoglie anche storie e canti popolari. Qual è la canzone o la storia che ti ha toccata di più e perché?
Il canto che mi ha toccato di più è la CANZONE DEGLI SFOLLATI, scritta da Pietro Cerquetti nel novembre del ’43 quando la storia di Civitanova Marche, in provincia di Macerata, venne tragicamente segnata da un bombardamento che portò tutti gli abitanti a scappare nelle città vicine. Pietruccio si rifugiò a Montecosaro e lì creò “La Canzone degli Sfollati”, scritta di getto, in un pomeriggio piovoso, su un foglio di carta paglia gialla. E’ un componimento formato da 9 quartine, in rima, e offre un quadro preciso della realtà sociale e politica di quel tempo. Il commissario prefettizio Martini diede a Pietruccio il permesso di stampare la canzone, ma senza le ultime quattro righe. La parte conclusiva della poesia satirica, infatti, conteneva un chiaro messaggio contro il Duce e il Re e venne censurata. Oggi i versi della sua canzonetta più famosa sono impressi su una lapide, installata nell’area verde davanti alla Pescheria di Civitanova, senza però l’ultima e celebre quartina all’epoca censurata.

Il gruppo “Li Matti de Montecò” è un simbolo di continuità e amore per le tradizioni. Cosa significa per te essere parte di questo gruppo e come avete lavorato insieme per valorizzare il patrimonio culturale marchigiano?
Essere parte del gruppo Li Matti de Montecò significa abbracciare un’identità condivisa, che affonda le radici nel cuore delle tradizioni marchigiane. È un viaggio di scoperta e valorizzazione del patrimonio culturale che si traduce in musica, balli, racconti e una profonda passione per le usanze popolari.
In questi anni con il gruppo abbiamo lavorato per preservare e diffondere il folklore marchigiano, creando uno spazio in cui giovani e adulti possono incontrarsi, imparare e tramandare le tradizioni. Attraverso spettacoli, laboratori nelle scuole, eventi locali e collaborazioni con altre realtà culturali, abbiamo contribuito a mantenere viva l’anima della nostra regione.
Essere parte di Li Matti de Montecò significa anche costruire una comunità basata su valori condivisi come il rispetto per le origini, la collaborazione e l’amore per la terra marchigiana. Questo impegno non solo tiene viva la memoria del passato, ma la rinnova, rendendola accessibile e rilevante per le nuove generazioni.

Come speri che le tradizioni popolari marchigiane continuino a vivere e crescere tra le nuove generazioni?
Spero che le tradizioni popolari marchigiane continuino a vivere e crescere tra le nuove generazioni attraverso un impegno congiunto di comunità, istituzioni e famiglie.
E’ auspicabile introdurre programmi scolastici che insegnino le tradizioni locali, come canti, balli, cucina e racconti popolari, per sensibilizzare i giovani sin dall’infanzia. Per favorire il dialogo tra anziani e giovani, trasmettere conoscenze e storie di vita, rafforzando il senso di appartenenza culturale, bisognerebbe reinterpretare le tradizioni in chiave moderna, ad esempio combinando elementi storici con arte contemporanea o musica attuale.
L’obiettivo è far sì che le tradizioni non siano percepite come qualcosa di statico o del passato, ma come un patrimonio vivo e dinamico, capace di adattarsi e arricchire la vita delle nuove generazioni. Questo è possibile attraverso piattaforme digitali con video, fotografie e storie che catturino l’attenzione dei più giovani, rendendole più accessibili e attraenti.

Grazie Monia e complimenti a tutti voi
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