Attrice, cantante, e direttrice artistica, Vera Dragone ha costruito una carriera che spazia tra palcoscenici teatrali, set cinematografici e club jazz. Nata dal talento e dalla passione, Vera rappresenta una delle voci più affascinanti del panorama artistico italiano. Con un curriculum che vanta collaborazioni prestigiose e premi importanti, oggi approfondiamo i momenti chiave della sua vita professionale e personale.

a cura di Salvatore Cucinotta


Benvenuta su Che! Intervista, Vera! È un piacere averti qui con noi. Come descriveresti il viaggio che ti ha portata a diventare l’artista che sei oggi?
Potrei dire di aver viaggiato su più percorsi, non sempre lineari e scontati, e spesso su più treni contemporaneamente. Sapevo di essere artista da subito, ho iniziato a cantare praticamente nascendo, poi per un lungo periodo ho disegnato e dipinto, ho imparato il tango e in seguito ho studiata danza, canto e infine recitazione alla Silvio d’Amico. E’ un viaggio in cui ho conosciuto tante persone diverse tra loro che mi hanno tutte influenzata, ognuno nel suo modo e attraverso il suo mondo fino a farmi diventare l’artista che sono oggi. Ma ho imparato lezioni anche in modi non “classici”. Credo ad esempio che la mia più grande insegnante di canto sia stata in realtà Cristina Pezzoli, una grandissima regista teatrale, che mi ha “liberata” dalla tecnica e mi ha fatto vedere il canto sotto la luce dell’emozione e della connessione con il proprio vissuto.

Hai un curriculum incredibilmente diversificato: teatro, cinema, musica. Come riesci a equi-librare queste diverse discipline artistiche?
Lavorando appassionatamente solo su ciò che nutre la mia anima. E di conseguenza scartando tutto ciò che non mi corrisponde. Da artisti la cosa fondamentale è secondo me dire dei “No”. Capire veramente in fondo qual è il viaggio della nostra anima e del nostro sentire. Da qualche anno a questa parte infatti posso dire di avere la fortuna di scegliere i progetti a cui prendere parte. Artisticamente sono una che dà tutto all’atto creativo e se ne scelgo uno, devo essere cosciente di non avere spazio per altro, pur cercando comunque di mantenere una sorta di equilibrio anche con la mia famiglia e la vita oltre la performance artistica, cosa non sempre facile.

L'”Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico” ha avuto un ruolo fondamentale nella tua formazione. Qual è l’insegnamento più prezioso che porti con te da quell’esperienza?
Ho avuto la fortuna di formarmi lì e resto ancora oggi convinta che un’accademia di prestigio, come la Silvio, o scuole equivalenti, come il Piccolo, il centro sperimentale, lo stabile di Torino siano le uniche vere scuole. Danno la misura della durezza del lavoro e del mondo lì fuori, che spesso è ben diverso da come lo sognamo a 18 o 20 anni. Donano disciplina, passione per lo studio e testa. Chi esce da una scuola del genere non ha paura di lavorare duramente. Quindi per me sono la base, mentre invece diffido molto di tutti questi “stage” oggi molto di moda, affidati a casting directors o persone che comunque fanno altro di lavoro. Magari può essere un’occasione per essere visti, su questo non ci sono dubbi, ma onestamente preferisco aver avuto insegnanti come Anna Marchesini, Luca Ronconi o Cristina Pezzoli.

Dal palco al grande schermo, hai interpretato ruoli di forte impatto emotivo. Quale personaggio ti ha più segnata a livello personale?
Teatralmente parlando la più bella esperienza mai vissuta è stata con Cristina Pezzoli, nello spettacolo scritto da Argia Coppola “Love is Blonde”, basato sul libro di Joyce Carol Oates su Marilyn Monroe. In scena l’allestimento era una grande circo di sabbia, ed eravamo sdoppiate, come due gemelle siamesi. Io interpretavo Marilyn e Silvia Giulia Mendola Norma Jean. Questo permise di mettere in luce la duplice personalità del personaggio Marilyn Monroe, da un lato la sua enorme fragilità e dall’altro la bomba ad orologeria. A livello emotivo è stato un percorso profondissimo, in cui sono dovuta davvero scendere a toccare corde molto dolorose , ma al tempo stesso molto divertente, nella superficie di “maschera” di bionda svampita. Ho continuato a sognarla per mesi . Avere avuto la fortuna di lavorare con un genio quale è stata Cristina Pezzoli è qualcosa per cui sono profondamente grata alla vita. Al Cinema ho recentemente vestito i panni della protagonista femminile dell’opera prima “L’Altra via”, Tereza, diretta da Saverio Cappiello. Una donna di origine Arbresh che si ritrova vedova a crescere in un quartiere difficile della Calabria anni 90, suo figlio Marcello. Ancora una volta la duplicità di una donna rabbiosa e disillusa, a cui la vita ha tolto tanto, che ritrova sé stessa solo per pochi attimi nell’amore e nella tenerezza che prova per suo figlio.

La musica occupa un posto speciale nella tua vita, con esibizioni nei jazz club più prestigiosi al mondo. Cosa significa per te esibirti come cantante?
Cantare non è per me diverso dal recitare. In fondo si tratta di raccontare una storia attraverso la musica e delle parole. Perciò è una grande fonte di libertà e di liberazione per chi ascolta e anche per me. Ascolto da sempre tantissimo jazz, ma anche l’opera e il musical, e ogni volta cerco attraverso tutte le versioni e possibili interpretazioni di tirare fuori l’anima di quel pezzo. Il jazz in particolare modo dà forse più degli altri generi questa possibilità.

Come presidente della “Fondazione Vittorio De Seta”, hai lavorato per preservare l’eredità di tuo nonno. Qual è il messaggio più importante che speri di trasmettere attraverso questa iniziativa?
Mantenerne vivo il ricordo e permettere la visione e la diffusione ancora oggi delle sue opere. I giovani amano il suo cinema, recentemente mi è capitato proprio al cinema Troisi di assistere ad una retrospettiva curata da Damien Chazelle, che aveva scelto come apertura di ogni film vari corti documentari degli anni 50 di mio nonno . Insomma, poi scambiando due chiacchiere con cui mi ha fatto capire subito quanto l’opera di De Seta abbia influenzato i suoi studi, i suoi gusti estetici e il suo lavoro.

Il tuo primo singolo, Bad Girl, puoi darci un’anticipazione sul significato di questa canzone e sul progetto dietro il videoclip?
In primavera finalmente uscita il mio primo singolo da solista, scritto e prodotto da Raffaele Viscuso, con cui è in corso una bellissima e proficua collaborazione. Stiamo lavorando anche ad altri pezzi nel frattempo. E’ un brano che parla del concetto di libertà declinato al femminile. Di come noi donne possiamo essere tutto e il contrario di tutto, ma di quanto soprattutto vogliamo essere noi a condurre il gioco e a non farci ingabbiare. La regia è di Tommaso Rossellini, nipote di Roberto e Ingrid Bergman.

Hai vinto numerosi premi, tra cui il “Premio Mar Jonio” e il “Premio Personalità dello Spettacolo”. Come vivi il riconoscimento del tuo talento da parte della critica?
Lo vedo come il coronamento del grande lavoro che c’è dietro. La premiazione arriva se c’è sincerità, se si lavora in maniera così profonda da risultare trasparenti. Scomparire dietro e dentro al personaggio è il mio obiettivo, ogni volta. Sono molto felice che nel tempo mi siano stati riconosciuti premi anche importanti e sono sempre grata alle persone che hanno riconosciuto in me quel valore. Significa che in qualche modo sono “rimasta” in qualcuno, e che quello che faccio ha avuto un’importanza e un significato.

Sei co-proprietaria dell’”Ellington Club di Roma”, che hai trasformato in un punto di riferimento culturale. Qual è la tua visione per questo spazio artistico?
La possibilità di creare liberamente e fuori da ogni schema quello che il mio cuore e il mio cervello mi suggeriscono. Captare le vibrazioni, sentire cosa mi fa drizzare i peli delle braccia. Per l’appunto il talento. L’unico criterio su cui mi baso è cercare artisti e creare spettacoli in cui ci sia. Non sono interessata a grandi nomi, perché mi piace lavorare sull’enorme talento sommerso che abbiamo in Italia, e che spesso trova sul mio palco la maniera di essere visto. In genere ci prendo.

Ci sono nuovi progetti o sfide che non vedi l’ora di affrontare?
Sono proprio in questi giorni al lavoro per un docufilm che vede alla regia Giuseppe Gagliardi, sulla vita e le opere di Vittorio De Seta. Troveremo una chiave “pop” e molto inedita per raccontarlo. E poi mi sto concentrando sul mio progetto discografico e sui miei spettacoli, tra cui il nuovo di questa stagione, “Una come me” che riprende in mano il repertorio del varietà televisivo italiano degli anni 60 e 70, con musiche che spaziano da Trovajoli a Luttazzi, da Milva a Morricone, e con 9 artisti incredibili in scena. Saremo in scena ogni sabato fino a giugno. 

Grazie Vera per questa tua intervista! Complimenti per la tua carriera!
Tienici aggiornati sui futuri progetti! Continua a seguirci su Che! Intervista

Per saperne di più visita:
Facebook | Instagram | ellingtonclubroma.com

Richiedi un’intervista esclusiva!

Copy link