Stefania Andreottola Coppola è una donna dall’animo inquieto, una scrittrice nata in Irpinia, ma con lo sguardo e il cuore rivolti al mondo. Dopo aver lasciato la sua terra d’origine, si è trasferita in Umbria, portando con sé la passione per le parole e una costante ricerca interiore. Laureata in Scienze della Comunicazione, Stefania ha trovato nella scrittura il suo rifugio, trasformando le esperienze della vita, anche quelle più dolorose, in poesia. La sua prima raccolta poetica, “È arrivata la poesia”, esplora i legami affettivi e la fragilità dell’esistenza, affrontando temi profondi come la malattia e il coraggio di vivere. In questa intervista, Stefania ci accompagna in un viaggio introspettivo, tra emozioni, contraddizioni e il potere salvifico della scrittura.
a cura di Antonio Capua
Benvenuta Stefania, nella tua biografia emerge un legame profondo con l’Irpinia. In che modo le tue radici hanno influenzato la tua scrittura?
Amo la mia Irpinia, ne ho profonde radici in me che, invisibili, mi sorreggono e mi nutrono. Al contempo però, sono viva grazie a me stessa e al mio sogno di conoscere e di voler guardare anche altrove. La mia Irpinia mi ha insegnato la forza dell’intimità e amo il mio paese, San Sossio Baronia, che è entrato nella mia scrittura insieme a tante altre cose e a tanti altri luoghi. L’Irpinia è un luogo ricco d’emozione, terra fertile per un poeta, un luogo dove il dolore e la bellezza sono vicini, si guardano negli occhi e si riconoscono.
Parli di te come di un’anima inquieta in costante ricerca. Quali sono le domande che senti di dover ancora esplorare attraverso la scrittura?
Le domande che sento di dover ancora esplorare attraverso la scrittura sono quelle che riguardano l’essenza invisibile delle cose. Ogni volta che scrivo, sento di essere più vicina a una verità che, seppur sfuggente, continua a mostrarsi nel volto delle cose che non parlano, nel silenzio che mi circonda. La scrittura è per me la ricerca di un senso, ma anche un modo per accogliere l’incertezza. Scrivere significa rimanere sospesi tra il desiderio di trovare un ordine e l’ammissione che forse, semplicemente, non c’è ordine da trovare.
La tua raccolta di poesie “È arrivata la poesia” rappresenta un atto di coraggio. Qual è stato il momento in cui hai capito che era arrivato il momento di condividere i tuoi versi con il mondo?
Il momento in cui ho capito che era arrivato il tempo di condividere i miei versi è stato, per certi versi, inevitabile, eppure per nulla scontato. Non è stata una scelta, ma una necessità: la poesia è diventata il mio modo per rispondere al dolore. Ogni parola che scrivevo voleva rompere un silenzio che per troppo tempo mi aveva imprigionata. La paura di mostrarmi vulnerabile è stata sempre lì, ma ho capito che la poesia non è mai solo mia: ogni verso porta con sé qualcosa di universale, che risuona negli altri. Quando ho visto che i miei versi potevano essere un luogo di condivisione, ho capito che era arrivato il momento di farli uscire nel mondo: la poesia è il luogo dove impariamo a non avere paura di ciò che siamo e di ciò che possiamo dare!
Nella tua opera affronti il tema della malattia, in particolare quella di tuo padre. Come è stato trasformare quel dolore personale in un’esperienza universale per i lettori?
La malattia di mio padre è stato qualcosa di indescrivibile. Le parole, per lungo tempo, non riuscivano nemmeno ad avvicinarsi. Poi, lentamente, è arrivata la poesia, come un respiro che faticosamente trova spazio nel silenzio. Questa è la ragione per cui il libro si intitola così. È stata la poesia a darmi una lingua per l’abisso in cui ero precipitata. Ho cominciato a scrivere non per raccontare, ma per resistere, per guarire e ho scoperto, con sorpresa, che nelle mie parole non c’era solo il mio dolore, ma qualcosa che andava oltre, che parlava a tutti. Il dolore di un padre che se ne va è la nostra condizione umana, qualcosa che ci unisce, che ci riguarda tutti. La scrittura diventa corpo, e in quel corpo, il lettore può riconoscere il proprio vuoto, la propria ferita. La poesia non è mai un atto solitario: anche il dolore, quando lo mettiamo su carta, diventa un gesto di amore, un incontro che ci permette di aprirci al mondo.
Scrivere per te è un gioco con le contraddizioni. Qual è l’importanza del contrasto tra ragione ed emozione nei tuoi lavori? Come si manifestano nelle tue poesie?
Nei miei lavori il contrasto tra razionalità ed emozione non è mai un conflitto, ma una conversazione tra mondi che, pur essendo distinti, si influenzano reciprocamente. Quando scrivo, spesso vedo l’emozione come un movimento incontrollato e la ragione, invece, è la mano che cerca di darle una forma. La loro tensione crea un equilibrio ma anche una continua evoluzione. Non esiste una poesia che non nasca da un conflitto interiore, da una tensione tra il pensare e il sentire. Nei miei versi, questa dicotomia si manifesta come un fluire di immagini che spesso si sovrappongono e si intrecciano. A volte la ragione è il paesaggio, il contesto razionale che regge il cuore della poesia, a volte l’emozione è quella che si fa strada tra le righe, irruente, lasciando poco spazio alla mente. Questo contrasto è il cuore pulsante delle mie poesie. Ogni poesia è un sussurro tra il bisogno di spiegare e il desiderio di non essere spiegata mai del tutto.
Il trasferimento dall’Irpinia all’Umbria ha segnato un grande cambiamento nella tua vita. Cosa ti ha dato questa nuova terra e come ha influenzato il tuo percorso artistico e umano?
Il passaggio dall’Irpinia all’Umbria è stato una separazione che mi ha costretto a ripensare, a rimettere insieme la mia identità. L’Umbria mi ha insegnato la pazienza, nutrendomi e facendo crescere dentro di me una nuova lingua poetica, fatta di spazi aperti e silenzi, ma anche di accoglienza, di delicatezza. La mia scrittura ha trovato una nuova dimensione, più calma, più intima, ma anche più forte e lucida. In Umbria ho imparato che la distanza non è solo separazione, ma anche un punto di vista diverso e questo mi ha permesso di scrivere con una consapevolezza più grande di me stessa, di quel che ero e di quel che sarei diventata.
La famiglia è un tema centrale nelle tue poesie. Che valore ha per te il legame familiare e come lo rappresenti nei tuoi versi?
La famiglia è molto importante per me ma ammetto con serenità che non tutta la mia famiglia è necessaria: ci sono rami disfunzionali che ho dovuto tagliar via dal mio vissuto. La parte che amo, la amo perché è un luogo dove posso essere ciò che sono senza maschere, e dove l’amore è una forza che ci tiene legati. Ogni poesia è una carezza o una distanza, a seconda dei casi. Nel libro, ho dedicato una sezione intera a mio padre, Pasquale, un uomo che mi ha accompagnato nella vita e che, anche nel suo dolore, ha lasciato un’impronta indelebile nella mia poesia. Le parole che scrivo su di lui sono un tentativo di fermare il tempo: con mio padre ho un legame che continua a vivere nei versi che gli ho dedicato. In altre poesie parlo anche di altri familiari: mia nonna Luisa è una figura che porto dentro con forza, un punto di riferimento. Anche mio fratello, che ha sempre rappresentato per me una specie di porto sicuro, trova posto nelle mie poesie. Mia madre è il nostro pilastro ed io porto orgogliosamente anche il suo cognome, Coppola.
La tua scrittura si nutre di riflessioni profonde sulla fragilità della vita. Cosa ti ha insegnato la poesia sulla sofferenza e sulla capacità di resistere agli eventi imprevedibili dell’esistenza?
La poesia mi ha insegnato che la sofferenza, pur essendo un’esperienza che ci spezza e ci abbatte, è anche un terreno fertile per la crescita interiore. Scrivere mi ha anche insegnato che non esiste una risposta univoca alla sofferenza: ogni essere umano vive la propria in modo diverso, ma tutti, in fondo, cerchiamo di trovare un senso, di resistere a ciò che è imprevedibile e travolgente. La poesia non è una via di fuga, ma uno strumento di resistenza.
Come è stato il processo creativo dietro “È arrivata la poesia”? Hai avuto momenti di blocco o esitazioni nel mettere su carta emozioni così intime?
Il processo creativo dietro “È arrivata la poesia” è stato come un oscillare tra la necessità di esprimermi e la paura di farlo. Non è stato facile, né rapido. Scrivere su emozioni così intime è stato un atto di coraggio e di vulnerabilità. Ho fatto emergere le parole da un dolore che mi bloccava e, allo stesso tempo, mi spingeva anche ad andare avanti. La scrittura è diventata per me una via di salvezza, un atto di liberazione da quella tensione interiore. Ho dovuto imparare a convivere con il fatto che la poesia non è mai un’espressione perfetta e che non tutto si può contenere in un verso, ma anche che non esistono emozioni troppo grandi per essere scritte. Ci sono stati blocchi, è vero. Ma in quei momenti ho imparato ad aspettare, a non forzare nulla e poi, come per magia… “È arrivata la poesia”. In questo viaggio sono stata fortunata e onorata di essere supportata dal cantautore Pierdavide Carone, che ha scritto una prefazione straordinaria per il mio lavoro.
Come ti immagini la tua evoluzione come scrittrice e poetessa? Ci sono temi o progetti nuovi a cui stai già lavorando?
La mia evoluzione come scrittrice e poetessa è come un viaggio che mi conduce sempre più lontano e allo stesso tempo che mi riporta sempre più a me stessa, un esplorare senza fine la possibilità di dare forma a ciò che è invisibile, a ciò che scivola tra le pieghe della quotidianità e dell’inconscio. Scrivere per me è sempre stato un atto di ricerca, una necessità di dare voce all’emozione, di tradurre ciò che non ha forma in un linguaggio che parli a tutti. Ho in progetto un nuovo libro di poesie e non solo, perché il mio slancio artistico un tempo era timido e impaurito, ma ora la paura è stata travolta dalla necessità di dire, di mettere sulla pagina ciò che mi attraversa.
Grazie Stefania per il tempo che ci hai dedicato e complimenti per il tuo lavoro
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