Vincenzo Taormina: tra Rossini e Verdi, una carriera internazionale da Palermo ai Palcoscenici del Mondo

Vincenzo Taormina, nato a Palermo, è un baritono di fama internazionale con una carriera che lo ha portato sui più importanti palcoscenici d’opera in Italia e all’estero. Con una formazione che lo vede passare dall’Accademia del Teatro alla Scala di Milano all’Accademia Verdiana di Busseto, ha costruito un repertorio ricco e variegato, spaziando dai grandi ruoli rossiniani a quelli verdiani e belcantistici. Apprezzato per la sua flessibilità e versatilità, ha lavorato con celebri direttori e registi, diventando un nome di spicco nel panorama lirico contemporaneo. In questa intervista, esploriamo la sua carriera, le sfide incontrate e i suoi prossimi progetti.


Benvenuto, Vincenzo! Grazie per essere qui con noi. Vorrei partire dalle tue origini: come è nata la tua passione per il canto lirico e cosa ti ha portato a scegliere una carriera nell’opera?
Grazie a voi per l’accoglienza! La mia passione per il canto lirico è nata quasi per caso. Frequentavo la Facoltà di Architettura a Palermo quando, un po’ per curiosità e un po’ per gioco, mi trovai a entrare a far parte del coro dell’Università. In quel periodo, mio fratello Gianni, che ha sempre avuto una grande passione per la musica lirica, mi chiese di accompagnarlo a una lezione di canto. Nonostante la mia timidezza, decisi di farmi ascoltare dalla Maestra, che intravide subito del potenziale nella mia voce. Non è stato un percorso immediato, ma con il tempo ho capito che non potevo fare a meno di dedicarmi a questa arte, che è una fusione di disciplina, creatività e passione.

Hai studiato con Paride Venturi e hai frequentato prestigiose accademie come il Teatro alla Scala e l’Accademia Verdiana. Quanto è stata importante questa formazione per la tua carriera e quali lezioni hai imparato da questi grandi maestri?
Sicuramente, la formazione è uno degli aspetti fondamentali per intraprendere una carriera nel mondo dell’opera. Non bastano solo le qualità naturali o una buona predisposizione: è necessario un impegno costante e la guida di insegnanti capaci di trasmettere non solo tecnica, ma anche visione artistica. Sono profondamente grato di aver avuto la possibilità di formarmi con i migliori maestri che il panorama lirico potesse offrirmi.
Il mio percorso è iniziato con Paride Venturi, che è stato il primo a credere nel mio potenziale e a darmi le basi per intraprendere questa carriera. A lui devo l’inizio del mio cammino musicale. Successivamente, grazie all’Accademia Verdiana, ho avuto l’opportunità di studiare con Carlo Bergonzi, che mi ha insegnato a perfezionare il fraseggio e a lavorare sull’appoggio del fiato, aspetti fondamentali per affrontare un repertorio così ricco di sfumature.
All’Accademia del Teatro alla Scala, ho avuto l’onore di incontrare numerosi maestri che hanno dato un impulso fondamentale alla mia crescita artistica. Fra questi, Renato Bruson è stato cruciale per l’approfondimento del repertorio verdiano. Con lui ho avuto la possibilità di debuttare ruoli importanti come Giorgio Germont, Fra Melitone e, soprattutto, Ford, al fianco di Bruson stesso, in occasione del centenario verdiano al Festival di Parma.

Un altro incontro che ha segnato la mia carriera è stato quello con Leyla Gencer, una delle ultime leggende viventi della lirica mondiale. Sotto la sua guida, ho avuto l’opportunità di affrontare i debutti più significativi della mia carriera, tra cui quelli al Teatro alla Scala. La sua esperienza e la sua visione artistica hanno arricchito il mio approccio al canto e al palcoscenico. Mi considero davvero fortunato ad aver avuto l’opportunità di formarmi con questi grandi maestri, che mi hanno insegnato tanto, non solo a livello tecnico, ma anche nel comprendere la profondità e la bellezza dell’opera. Grazie a loro, ho avuto gli strumenti per affrontare il mondo dell’opera con consapevolezza e passione. Ci tengo a precisare che, nonostante i ventidue anni di carriera, la mia formazione non si è mai fermata. Il percorso di crescita artistica è continuo e costante, ed è per me fondamentale continuare a perfezionarmi anche dopo aver raggiunto certi traguardi. Ho sempre creduto che l’apprendimento non finisca mai, e questo approccio mi ha accompagnato durante tutta la mia carriera.
Fino a pochi giorni dalla sua scomparsa, ho avuto la fortuna di perfezionarmi con Roberto Coviello, un maestro straordinario con il quale ho approfondito in particolare i ruoli rossiniani e quelli del repertorio buffo. Il suo insegnamento mi ha permesso di affinare non solo la tecnica vocale, ma anche l’interpretazione di ruoli così delicati e complessi, che richiedono una perfetta combinazione di musicalità e comicità.

Oggi, continuo a perfezionarmi con uno dei baritoni più celebri nel repertorio rossiniano e buffo, Alessandro Corbelli, un nome che non ha bisogno di presentazioni. Lavorare con un artista del suo calibro è una straordinaria opportunità di crescita, poiché mi permette di approfondire ulteriormente le caratteristiche stilistiche e interpretative di un repertorio che amo profondamente.

Il tuo debutto è avvenuto a Spoleto nel ruolo di Malatesta in Don Pasquale. Quali ricordi hai di quel momento e come ha influenzato il tuo percorso artistico?
Quella di Spoleto è stata la mia prima esperienza in assoluto, il primo vero incontro con il palcoscenico. È stato un momento di grande apprensione, ma anche di incredibile rivelazione. È stato in quel contesto che ho compreso per la prima volta l’enorme responsabilità che comporta essere un artista. Non si trattava solo di cantare, ma di gestire tutti gli aspetti che fanno parte di una performance: la tecnica vocale, l’emozione, l’interpretazione del personaggio, l’interazione con il pubblico. Tutto doveva essere perfettamente bilanciato.
Nonostante le difficoltà che inevitabilmente accompagnano un debutto, quel 27 settembre 2002 è stato un momento decisivo. In quel preciso istante ho capito che quella era la mia strada, che il palcoscenico sarebbe stato il mio mondo.

Sei stato ospite regolare del Teatro alla Scala di Milano, un tempio della lirica mondiale. Cosa significa per te esibirti in un luogo così iconico e quali sono stati i tuoi ruoli preferiti su quel palcoscenico?
Il palcoscenico della Scala è uno dei sogni di ogni cantante lirico, e per me è stato un privilegio incredibile poter calcare quel palco, che rappresenta una delle vette più ambite della carriera. Ad oggi, ho avuto la soddisfazione di debuttare dieci titoli con registi, direttori e colleghi di fama mondiale, e ogni esperienza è stata un’opportunità unica di crescita e arricchimento artistico.
Tra i ruoli che porto nel cuore, sicuramente c’è Marcello de La Bohème, che ho avuto l’onore di preparare sotto la direzione del maestro Franco Zeffirelli. Lavorare con un regista di quella statura è stato un momento formativo che mi ha segnato profondamente, insegnandomi l’importanza di dare una visione teatrale completa al personaggio.
Un altro ruolo che mi ha dato immense soddisfazioni è stato Figaro ne Il Barbiere di Siviglia, allestimento di Jean Pierre Ponnelle, ripreso da Lorenza Cantini e la direzione di Enrique Mazzola.
Ma uno dei ruoli che mi ha dato più visibilità e soddisfazione è stato Mamma Agata in Le Convenienze e Inconvenienze teatrali di Gaetano Donizetti, che mi ha permesso di mettere in luce la mia interpretazione buffa e di vivere un’esperienza teatrale unica, con la regia di Antonio Albanese e la direzione musicale di Marco Guidarini. Interpretare Mamma Agata è stato una gioia immensa, tanto più che sono stato il primo a portare il ruolo in scena proprio al Teatro alla Scala.

Rossini è un compositore con cui hai una forte affinità. Hai interpretato ruoli iconici come Figaro in Il Barbiere di Siviglia in teatri importanti. Cosa ti affascina di più del repertorio rossiniano e come prepari questi ruoli così tecnicamente impegnativi?
Non me ne vogliano gli altri compositori, ma Rossini occupa un posto speciale nel mio cuore, probabilmente anche perché a conti fatti ho debuttato ben 13 ruoli rossiniani. Resto affascinato sempre dalla sua follia organizzata, dal suo “crescendo” e in genere dalla gioia che trasmettono le sue opere sia a noi interpreti che al pubblico che ascolta.
L’approccio allo studio, ovviamente, resta invariato per ogni compositore, ma con Rossini c’è qualcosa di particolare. La sua musica non è solo una questione di tecnica, ma anche di parola, che va a braccetto con le note “pirotecniche”. In un certo senso, Rossini può essere considerato uno dei primi rapper della storia!

Hai lavorato con celebri direttori come Riccardo Muti, Antonio Pappano e Gustavo Dudamel. Qual è stata l’esperienza più memorabile che hai vissuto collaborando con loro?
Ogni incontro con questi direttori è un pezzo di storia che rimane nel cuore e che ti arricchisce come musicista e come persona. Difficile scegliere un solo momento memorabile, perché ogni collaborazione, per quanto diversa, è stata un capitolo importante della mia carriera che mi ha segnato e reso più consapevole nell’affrontare questo mestiere.

Il tuo repertorio spazia da Rossini a Verdi e Massenet, ma hai interpretato anche ruoli nel repertorio belcantistico e verista. Come riesci a mantenere questa versatilità vocale e stilistica?
La mia vocalità di baritono lirico mi ha permesso di spaziare agevolmente sia nel repertorio romantico francese, con autori come Massenet, Bizet e Gounod, che in quello italiano, con Bellini, Donizetti, Verdi e Puccini. Questo repertorio mi ha dato la possibilità di perfezionare il fraseggio e il legato, pur restando sempre ancorato alla natura rossiniana.
Per quanto riguarda il repertorio verista, mi sento un po’ più distante, anche se ho debuttato il ruolo di Silvio ne I Pagliacci, un ruolo che, pur nel contesto verista, conserva una vocalità brillante e lirica, adatta al mio tipo di voce.
Per mantenere questa versatilità vocale e stilistica, credo sia fondamentale un continuo studio e una profonda conoscenza della propria vocalità. La mia base rossiniana mi offre una solida agilità e controllo del fiato, che mi permette di affrontare il repertorio belcantistico con facilità. Nel passare al repertorio romantico italiano e francese, lavoro molto sul fraseggio, sul legato e sulla qualità del suono, adattando la mia voce alle caratteristiche di ciascun stile.

Il personaggio di Dulcamara in L’elisir d’amore è uno dei tuoi prossimi impegni. Qual è la tua interpretazione personale di questo personaggio e cosa lo rende così unico nel panorama del belcanto?
Arrivo a Dulcamara dopo parecchi anni di carriera e dopo tante produzioni di Elisir come Belcore. Il personaggio è certamente uno dei più istrionici del repertorio lirico. È affascinante perché unisce elementi comici e umani, rendendolo unico nel repertorio belcantistico. È un ciarlatano, ma non solo un buffone: dietro la sua figura di “venditore di miracoli” c’è anche una certa malinconia, quasi come se fosse una vittima dei suoi stessi inganni.
Questa doppia faccia del personaggio, tra il comico e il patetico, lo rende molto interessante da interpretare. Vocalmente richiede agilità e brillantezza nella parola, ma anche una certa profondità, per trasmettere la sua solitudine e la sua umanità. Non è solo un antagonista, ma un personaggio che arricchisce l’opera con una sfumatura di tragicità dietro la comicità.

Il mondo dell’opera è in continua evoluzione. Come vedi il futuro della lirica e quali sfide pensi che debbano affrontare i cantanti della tua generazione?
Contrariamente a quanto si possa pensare, sono convinto che c’è sempre più “appetito” dello spettacolo dal vivo. Oggi sono ottimista, sia per il riconoscimento mondiale del canto lirico italiano come patrimonio immateriale dell’Unesco sia perché, aspetto fondamentale, i teatri registrano sempre più “sold out” con un evidente abbassamento dell’età media del pubblico.
È davvero positivo vedere come sempre più iniziative stiano portando l’opera nelle scuole e, di conseguenza, nei teatri, avvicinando i bambini a questa forma d’arte. Le fondazioni e le associazioni che promuovono questi progetti stanno davvero facendo un lavoro straordinario. È bellissimo vedere a volte platee di bambini che cantano con entusiasmo le arie più celebri del repertorio: questo è un segno che l’opera sta crescendo in popolarità tra le nuove generazioni.
Sono convinto che molti di questi giovani non solo diventeranno il pubblico di domani, ma alcuni potrebbero anche intraprendere una carriera nella musica e diventare i professionisti dell’opera del futuro.

Quali sono i tuoi sogni e obiettivi artistici? Ci sono ruoli o produzioni che desideri interpretare nei prossimi anni?
Devo dire che mi ritengo soddisfatto poiché molti dei miei sogni e progetti si sono concretizzati. Oggi mi piacerebbe certamente ritornare nei panni della divertentissima Mamma Agata, dell’opera Convenienze ed inconvenienze teatrali, opera che secondo me meriterebbe di essere eseguita più frequentemente.
Tra i ruoli che mi piacerebbe molto debuttare sicuramente ci sono Gianni Schicchi e Falstaff.

    Grazie Vincenzo per questa interessante intervista e complimenti per tutti!
    Tienici aggiornati e continua a seguirci su Che! Intervista.

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