Alessandro Iachini è uno dei giovani chitarristi più promettenti del panorama jazz italiano, un talento cresciuto tra studi rigorosi e collaborazioni prestigiose. Con una formazione che va dal Saint Louis College of Music a masterclass con grandi artisti internazionali, Iachini ha suonato sui palchi più importanti d’Europa. Con il suo nuovo disco “Here and Now“, Alessandro esplora il concetto del vivere nel presente, un tema che riecheggia non solo nella sua musica, ma anche nella sua filosofia di vita.
a cura di Antonio Capua
Alessandro, il concetto di “Here and Now” sembra guidare la tua filosofia musicale. Cosa significa per te vivere il presente attraverso la musica e come questo si riflette nel tuo nuovo disco?
Ciao, grazie per avermi invitato a questa intervista. Nella musica vi è un concetto chiave che mi affascina particolarmente ed è quello del saper ascoltare e rispettare il prossimo, ossia chi sta suonando insieme a noi, per far si che ciò accada dobbiamo immergerci completamente nell’esperienza del momento, senza distrazioni, e lasciare che la musica diventi il filo conduttore che ci connette al qui e ora. La musica, essendo un linguaggio universale, permette ad ascoltatori ed esecutori, di evocare emozioni e sensazioni, aiutarci a concentrarci sul presente, liberandoci da pensieri che riguardano il passato o il futuro. Per fare un esempio tangibile di questo concetto anche nella vita di tutti i giorni, basti pensare a chi pratica sport a livello agonistico, (cosa che in passato ho fatto per ben 10 anni con la pallavolo anni avendo il piacere di confrontarmi con avversari come Simone Giannelli, il nostro attuale capitano della nazionale italiana), così come nella musica, gli sportivi sanno bene che per ottenere la miglior prestazione devono focalizzarsi su quello che sta accadendo sul momento senza distrazione alcuna che possa derivare da pensieri pregressi o futuri. Anche nella quotidianità quante volte può capitare di trovarsi dinanzi ad un bellissimo tramonto e non riuscire a goderne a pieno la bellezza poiché distratti da uno smartphone, pensieri giornalieri e quant’altro? Eppure un tramonto dura pochi istanti, così come tante altre belle cose che spesso diamo per scontate. Riuscire quindi a godere di piccoli momenti ci aiuterà a custodire il nostro lato emotivo senza far si che il sovrappensiero e la routine di questo mondo in continua corsa, ci renda degli esseri insensibili, distratti, e poco propensi all’ascolto.
Hai studiato con alcuni dei più grandi nomi del jazz italiano come Umberto Fiorentino e Fabrizio Sferra. Quali insegnamenti ti hanno lasciato e come hanno influenzato il tuo modo di comporre e di suonare?
Studiare con loro è stato fantastico, il loro approccio ha fatto sì che la mia mente si aprisse in modo tale da riuscire a vedere le cose ed affrontare i problemi sotto vari aspetti e punti di vista. Oltre ad avermi donato spunti tecnici inesauribili, mi hanno trasmesso la loro passione per la musica in generale, ho potuto così rendermi conto di quanto ci sia ancora da esplorare in questa materia, così come nella scienza e nella medicina, ho realizzato presto di trovarmi in un mondo che non ha limiti alla ricerca e alla scoperta, una vita non basta alla musica e ciò mi spingerà sempre a voler conoscere e trovare qualcosa di nuovo con gioia e curiosità.
Sul lato tecnico Umberto è un maestro del suono e del timing lo si riconosce dopo pochissime note per via della sua spiccata personalità, il suo modo di suonare mi ha molto influenzato, non a caso lo colloco tra i miei chitarristi preferiti.
Fabrizio credo che sia tra i più formidabili batteristi che ci siano in circolazione, non a caso venne scelto anche dal leggendario Chet Baker quando si trovava in Italia, il quale non amava particolarmente suonare con i batteristi. La sua sensibilità e disponibilità a servizio della musica lo rendono unico nel suo stile.
Hai partecipato a masterclass con artisti internazionali come Jonathan Kreisberg e Peter Bernstein. Cosa ti ha colpito di più di questi incontri e come hanno contribuito a modellare la tua visione artistica?
Fra gli aspetti che più mi hanno colpito vorrei citare la padronanza e conoscenza dello strumento. La chitarra è per sua natura uno degli strumenti più complessi, studiare e stringere un legame vero e proprio con lo strumento è la base per arricchire le possibilità espressive ed artistiche. La matrice che accomuna questi due artisti è dettata dal fatto che sia Peter che Jonathan utilizzano la loro tecnica e conoscenza per esprimere emozioni, creare un legame con il pubblico e con chi suona insieme a loro. La pura tecnica, se non è finalizzata ad esprimere un valore estetico/emotivo potrebbe rimanere fine a sé stessa.
La tua carriera ti ha portato a suonare su palchi prestigiosi come la Casa del Jazz a Roma e il Royal Conservatory di Aalborg. Come cambia il tuo approccio in base al pubblico e al contesto in cui ti esibisci?
Suonare in questi splendidi posti dove il pubblico è lì solamente per ascoltare musica senza distrazione alcuna, fa si che si crei un’atmosfera unica che unisce ascoltatori e musicisti. Quello che cerco di fare da musicista, è voler raccontare qualcosa di me tramite la musica stessa.
Hai collaborato con grandi artisti come Logan Richardson e Domenico Sanna. Qual è stata la lezione più importante che hai appreso lavorando con musicisti di questo calibro?
Lavorare in studio con questi artisti è stato fantastico, il bello è che entrambi grazie alla loro personalità hanno contribuito a far prendere vita alla musica che gli ho sottoposto, essendo dei musicisti molto profondi ho lasciato più spazio possibile alla loro libera interpretazione dei brani, io mi sono limitato solamente ad esprimere qualche piccola preferenza estetica, ma per il resto sembrava che loro li conoscessero da sempre, si è creata così la giusta sintonia fra tutta la band che ha permesso la riuscita del disco. La lezione più importante che ho appreso da entrambi verte sul fatto che quando si fa musica insieme non esistono gerarchie piramidali, esiste invece, un senso di cooperazione e ascolto reciproco per il bene della musica stessa.
Il jazz è un genere che vive di improvvisazione. Come riesci a bilanciare la spontaneità dell’improvvisazione con la necessità di mantenere una coerenza stilistica nel tuo lavoro?
Sono convinto che improvvisazione e composizione siano due facce della stessa medaglia, la vera differenza è che la prima nasce e si esaurisce sul momento, quindi posso dire che per me improvvisare è come cercare di comporre estemporaneamente qualcosa sul momento tentando di mantenere una coerenza sulle idee che affiorano nell’istante in cui si suona. La composizione pura invece ha come differenza principale il fatto di poter tornare sui propri passi, è intrinseco nella composizione stessa un approccio più riflessivo svincolato dal tempo; magari un’idea può nascere ora ed essere completata fra qualche giorno/mese/anno. Lavorare su entrambi i fronti quindi, improvvisazione e composizione, dona elasticità al nostro pensiero e grazie alla pratica e all’esercizio, è possibile riscontrare sul lungo termine, una coerenza stilistica dettata dalla nostra visione estetica.
Nel 2024 hai avuto l’onore di esibirsi con la Big Band dell’Esercito Italiano all’apertura di Umbria Jazz. Che sensazione ti ha dato partecipare a un evento così importante nel panorama musicale italiano?
L’atmosfera che si respira a Perugia durante il periodo di Umbria jazz a luglio è qualcosa di surreale, vedere tante persone immerse h24 nella buona musica contestualizzata nella bellezza dei nostri borghi italiani è davvero meraviglioso. Si crea in quei giorni un’atmosfera positiva che fa bene a tutti. Credo che l’Italia essendo fra i paesi più belli al mondo merita di vivere grazie a questi scenari che ne esaltano bellezza e cultura portando benessere sociale ed economico per il paese.
Il titolo del tuo nuovo disco “Here and Now” riflette una filosofia di vita molto profonda. Come pensi che il pubblico possa connettersi con questo messaggio attraverso la tua musica?
“Qui e Ora” è un concetto musicale e spirituale per la vita.
È una filosofia che promuove la consapevolezza, l’accettazione del momento senza giudizio e l’improvvisazione. Vivere nel “qui e ora” significa apprezzare le piccole cose, essere liberi dal controllo e dai desideri, e imparare a fluire con la vita, abbracciando ogni esperienza come unica e preziosa.
La vita di tutti i giorni spesso crea un clima frenetico che può indurre a momenti di sovrappensiero e stress, il messaggio che voglio esprimere è quello di cercare, quando possibile, di fermarsi e prendersi dei momenti per noi stessi attraverso una qualsiasi attività che possa farci star bene evadendo per un’attimo dalla realtà, che sia ascoltare della buona musica, fare dello sport, uscire in compagnia, ammirare un paesaggio etc… Essere quindi più attivi possibile nel presente potrebbe aiutare ad affrontare la vita con un pizzico di spensieratezza in più.
Hai suonato in vari contesti internazionali, da Helsinki ad Aalborg. Quali differenze hai notato tra il pubblico italiano e quello straniero nell’approccio al jazz?
Credo che la differenza sta nella densità, accessibilità e continuità di queste realtà, nonché nella diversificazione della scena. In molti paesi europei, il jazz è profondamente radicato nella cultura musicale quotidiana non è quindi considerato un genere di “nicchia”, con una distribuzione più uniforme degli eventi e una maggiore varietà stilistica che attrae un pubblico più ampio e trasversale. Inoltre spesso in alcune realtà europee si parla di jazz fin dalla scuola, suscitando così un interesse nei giovani che spesso si trasforma in avvicinamento attivo e partecipe alla musica con una maggiore sensibilità ad essa. In Italia, invece, nonostante una scena jazz di altissima qualità, il genere rimane più circoscritto e meno diffuso su tutto il territorio. Proprio per questi motivi, forse, ho notato un maggiore interesse e partecipazione emotiva al genere da parte dei più giovani in Europa, tuttavia, c’è effettivamente un aumento dell’interesse per il jazz tra i giovani in Italia, anche se questo fenomeno è ancora in fase di espansione. La presenza di iniziative educative, l’influenza della musica contemporanea e la maggiore visibilità di giovani jazzisti italiani stanno contribuendo a un’inversione di tendenza. Nonostante ciò, l’interesse per il jazz tra i giovani è ancora limitato rispetto ad altri generi musicali più popolari come il pop, il rap o la musica elettronica, ma le basi per un coinvolgimento crescente sono sicuramente presenti.
Cosa ti ispira di più e quali sono i tuoi prossimi obiettivi artistici? C’è qualche collaborazione o progetto che sogni di realizzare?
Per ora non vedo l’ora che il disco esca, l’etichetta che lo produrrà si chiama Fresh Sound ed ha sede a Barcellona. Sono davvero felice di essere prodotto da questa etichetta poiché è molto attiva in Europa ed ha anche alcuni annetti di storia alle spalle essendo stata fondata nel 1983 da Jordi Pujol, che ringrazio per avermi scelto.
Ciò che più desidero e sogno per il futuro è poter suonare, conoscere e collaborare con quanti più artisti possibile in giro per l’Italia e magari nel mondo chissà, perché reputo che sia una cosa molto divertente e in più che faccia crescere molto sia sotto l’aspetto musicale che umano! Grazie mille ancora una volta per l’intervista, mi ha fatto molto piacere.
Grazie a te Alessandro ed un grosso in bocca al lupo per il tuo lavoro
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