La narrazione della periferia non semplicemente come luogo, ma come identità.
William Pilè classe 1988, è un artista diplomato in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma, con il suo ultimo progetto ‘Belle de nuit’ si concentra sull’analisi della periferia. Il suo modo di dipingere e le immagini ci trasportano in un viaggio malinconico e crudo, come alcune realtà.
a cura di Noemi Aloisi
Benvenuto William Pilè, è un piacere poterla intervistare, nato e cresciuto a Roma, il nome però non sembra affatto Romano. Ha origini francesi o si tratta di uno pseudonimo?
No, non è uno pseudonimo bensì il mio vero cognome. Papà era di un paesino che si chiama Feroleto Della Chiesa in Calabria, quindi sono di origini Calabresi. Il nome di battesimo invece, semplicemente, piaceva a mia madre.
Nelle sue opere un tema ricorrente è quello della periferia, in precedenza se non sbaglio ha dichiarato che raccontare la periferia, è anche raccontare se stesso. La narrazione non semplicemente di un luogo, ma delle identità. “Identità periferiche”, il racconto della parte meno appariscente. Si tratta anche della sua storia. Vuole raccontarcela?
Penso che ogni artista abbia sempre raccontato il proprio tempo e la società in cui egli ha vissuto.
La mia ricerca è focalizzata sulla periferia perché ho sempre abitato e vissuto in periferia.
Inoltre, fin da bambino, ho sempre avuto la tendenza di disegnare ciò che vedevo (come il paesaggio urbano che potevo osservare dalla finestra della mia camera) e di raffigurare la realtà, la mia realtà, quella che percepisco, che vivo e che fa parte del mio immaginario.
La periferia però è anche uno stato mentale, una condizione esistenziale, non è soltanto un posto tangibile.
Oggi a Roma, quelle che negli anni sessanta erano considerate zone popolari e che ci raccontava Pasolini che visse a fondo nel tessuto sociale popolare di Roma, oggi sono abitate da un ceto medio o alto. Roma si è estesa e adesso, le zone periferiche sono ben più lontane dal centro rispetto a quelle di cinquant’anni fa e sono addirittura fuori il raccordo anulare.
I processi messi in atto in questi ultimi decenni dalle Amministrazioni pubbliche, anziché tutelare i ceti popolari che hanno animato per secoli i quartieri centrali della nostra città, ne stanno favorendo l’allontanamento dalla Roma storica, la distruzione del tessuto sociale della città e l’alimentazione dell’emarginazione sociale.
Le borgate per Pasolini erano un simbolo del decentrato, dell’emarginato, del diverso.
Io cerco di raccontare storie di questo tipo, perché sono vicine a me stesso per vita vissuta e esperienze maturate ai margini e cerco di portarle, da un livello personale, ad un livello universale.
Le periferie sono ai margini della città e le persone che le abitano, spesso, hanno delle vite ai margini della società. Parlare di questo, significa portare alla luce degli aspetti, spesso dimenticati, che direttamente o indirettamente riguardano tutti.
E raccontare quei luoghi e quelle persone significa, per me, anche raccontare me stesso.
Le sue pennellate “veloci”, ci permettono di percepire sentimenti di alienazione e malinconia. Talvolta le sue opere sono una cruda manifestazione della realtà, a quali luoghi si è ispirato per realizzarle? Qualche periferia Romana in particolare?
Fino ai 30 anni ho abitato in zona Laurentino e molti dei miei quadri ritraggono alcuni scenari di quel quartiere. Ritengo però che ogni periferia sia il luogo in cui è più evidente il confine tra civiltà ed abbandono. Ogni periferia non è solo un luogo fisico, ma anche mentale dove nascono fenomeni di isolamento e di esclusione.
Il tessuto sociale che si è creato nelle periferie, quello volutamente messo ai margini da una classe sociale più abbiente, è il mio soggetto, il mio tema di studio.
Il corpo femminile è da sempre molto affascinante e si presta ad essere raffigurato. Impossibile non citare Egon Schiele, Klimnt e anche diversi artisti francesi dell’Ottocento. Da cosa deriva la sua scelta di raffigurare soggetti prevalentemente femminili?
Nell’ultimo anno, la mia ricerca è stata incentrata maggiormente su uno dei tanti fenomeni di esclusione e di emarginazione, che si può osservare nelle periferie. Mi sto riferendo al tema della prostituzione in strada.
I luoghi che fanno da cornice a questo fenomeno sociale e che ho utilizzato per i miei lavori, sono tutte Vie periferiche Romane quali Viale Marconi, Via Cristoforo Colombo, Via Pontina ecc.
Sono tutte Vie stradali della zona dove abito a Roma e che quindi percorro regolarmente e che fanno parte della mia quotidianità.
Passando di lì frequentemente, in macchina, ho iniziato a scattare di nascosto delle foto, strada facendo, dalle quali poi sono nati i miei quadri il mio intento era semplicemente quello di raffigurare una realtà cruda come quella dello sfruttamento della prostituzione, che mi ha sempre colpito, senza la presunzione o l’arroganza di dare dei giudizi o dare dalle “risposte” ad eventuali domande che uno spettatore potrebbe porsi vedendo i quadri.
Da artista, Il mio scopo è semplicemente quello di evidenziare e di portare a galla, con sensibilità e rispetto, un problema sociale di cui spesso non si parla (o se, se ne parla lo si fa in maniera superficiale) e di descrivere questo fenomeno così come appare, così come lo si può osservare semplicemente imbattendosi in quelle strade.
Nei miei quadri, le figure sono tutte anonime e per questo motivo non è neanche detto che siano necessariamente dei soggetti femminili. C’è un elemento molto voyeuristico nelle mie opere, le presenze sono tutte distanti dall’osservatore, vediamo delle sagome ma non capiamo effettivamente chi esse o essi siano.
C’è un’artista in particolare, non contemporaneo, che l’ha ispirata o che ammira particolarmente?
Il ruolo della donna è dominante nella pittura veneziana del XVI secolo e l’immagine femminile è stata indagata da molti pittori del tempo, tra i quali Tiziano.
Per Tiziano era molto importante rappresentare la personalità delle donne protagoniste dei suoi dipinti, ed era mento interessato al canone della bellezza esteriore.
Quando vidi dal vivo “La Venere di Urbino” rimasi folgorato e quello fu per me uno stimolo per ritrarre la figura della donna in una chiave contemporanea ed attuale.
Indipendentemente dal contesto in cui le donne dei miei quadri sonno inserite, cerco sempre di non sminuire mai la loro dignità, bensì di lasciar trasparire il loro stato d’animo, il loro punto di vista, il loro lato emotivo.
Le opere a cui ha dato vita, partono da fotografie, ha anche questa passione?
No in realtà no. Anche quando i miei amici o la mia ragazza mi chiedono di scattare una foto sbuffo. Non sono per niente bravo a fare una buona fotografia. Faccio delle foto, un po’ come vengono, che mi servono poi per elaborare il dipinto.
La scelta di usare tele grezze come base per i suoi dipinti, rappresenta una decostruzione della pittura convenzionale, trasferendo la narrazione in un non-luogo come la periferia. Ha utilizzato o intende utilizzare altri materiali per lo stesso scopo?
Amo molto anche l’incisione e più precisamente la calcografia.
Ho realizzato recentemente una serie di incisioni, il cui tema riguarda i classici pranzi in famiglia che avvengono in occasioni particolari come feste, compleanni, comunioni, matrimoni, festività natalizie ecc.
Anche per questi lavori ho utilizzato delle vecchie fotografie “rubate” a mia madre, che custodiva gelosamente nei suoi album di famiglia e poi, da lì ho sviluppato una serie di incisioni (con la tecnica dell’acquaforte) su delle lastre di zinco.
Queste lastre le ho usate così come le ho trovate, senza prepararle, senza levigarle con la carta vetrata, ma lasciando anche tutti quei graffietti che normalmente si trovano sulla superficie della lastra e che potrebbero risultare anche in fase di stampa.
Guardando le sue opere salta subito all’occhio la desolazione e il senso di vuoto e abbandono del luogo in cui si trovano le figure. Colori abbastanza neutri vengono talvolta animati da colori accesi quasi fluorescenti. Ci spieghi questa contrapposizione.
I primi ad occuparsi del tema della periferia, in Italia, sono stati artisti come Umberto Boccioni e Mario Sironi, nei primi del Novecento.
Le periferie hanno iniziato a nascere negli anni Venti, in piena epoca futurista nella quale si pensava che progettando maniacalmente gli spazi del futuro, avrebbe significato anche progettare “l’uomo del futuro”, mentre invece, guardandoci indietro, ci possiamo accorgere che questo intento, ha reso l’uomo un oggetto, o come diceva Pier Paolo Pasolini, un “consumatore”.
Le opere di Boccioni, nel suo periodo milanese prefuturista, celebrano l’avvio dell’età industriale, come “Mattino” o “Officine a Porta Romana”, entrambe opere del 1909, dove la nuova atmosfera della città e contrassegnata dalle luci e dai colori del mattino e dal fluire lento degli operai che vanno al lavoro.
Sironi invece, nei quadri che dipinse quando si trasferì a Milano subito dopo la fine della prima guerra mondiale, esprime il suo senso di modernità con una vena pessimista: le sue periferie sono desolate, le strade sono deserte e la luce irreale e la cromia dei colori, molto intensa e brillante, concorrono a creare un’atmosfera malinconica ed introspettiva della Città.
Non puoi non prendere questi due artisti come riferimento, se ti occupi di una ricerca incentrata sulla periferia.
Mi vengono anche altri esempi, stavolta cinematografici, che hanno sicuramente inciso sulla scelta dei miei colori; sono cresciuto con i film di Tim Burton ed in “Edward Mani Di Forbice” c’è l’alternanza di scene dai colori cupi e oscuri, e scene ambientate nella cittadina in cui vivono i protagonisti del film, in cui, per esempio, le case hanno dei colori accecanti, e più in generale l’atmosfera è sempre connotata da una cromia esasperata che dà un senso di irrealtà fortissimo.
Da poco è finita la sua mostra a Roma a Trastevere al T293, ha in programma di esporre altrove? Attualmente sta lavorando a nuove opere? Cosa dobbiamo aspettarci in futuro?
Sì la mostra è finita da poco ed è stata veramente una bella esperienza. E’ stata la mia prima mostra ed è stato molto bello farla in una galleria così importante e prestigiosa.
Poi tutto il team di T293 mi ha accolto davvero bene, con tanta professionalità e gentilezza. Davvero molto bello.
Ora, a Dicembre, verrà pubblicato il mio primo Graphic Novel, edito da Red Star Press, dal nome “Ridondante”.
Inoltre sto dipingendo molto e sto continuando la mia ricerca pittorica. Altre mostre in programma per il momento non ce ne sono, però continuo a lavorare e vedremo che mi riserva il futuro.
Vivere in una città come Roma, praticamente un museo a cielo aperto, come ha influenzato e influenza la sua arte?
Sicuramente Roma è una custode millenaria di opere di arte. Puoi costantemente andare in posti come la Basilica di San Pietro (che essa stessa è meravigliosa) e ammirare il colonnato di Bernini o “La Pietà” di Michelangelo, puoi andare nelle stanze vaticane e goderti gli affreschi di Raffaello Sanzio come “La Scuola Di Atene”.
Altrimenti vai a vedere la volta della loggia di Villa Farnesina, dove ci sono gli affreschi che rappresentano le storie di Amore e psiche realizzati sempre da Raffaello e dalla sua scuola.
Puoi vedere Caravaggio, per esempio alla Cappella Contarelli nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, oppure le sculture di Bernini a Galleria Borghese.
Roma è sempre stata poi una meta ambita da tanti artisti stranieri, io amo molto Velàzquez e sono rimasto affascinato quando ho visto il suo ritratto di Papa Innocenzo X a Galleria Doria Pamphilj.
La collezione della Galleria Nazionale è molto importante e lì ci sono molti pittori che mi hanno sempre ispirato, come per esempio De Chirico, Scipione oppure Filippo De Pisis che forse è il pittore da cui prendo più spunto, almeno da un punto di vista tecnico, per le mie opere.
Potrei fare mille altri esempi, comunque sia la pittura è una cosa che va vista dal vivo (così come tutto il resto) e aver la possibilità di poterlo fare in una città come Roma, aiuta tanto.
Grazie William e complimenti per il tuo lavoro
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