Yannick Vallet: Dalla Valle d’Aosta alla scena musicale, un giovane talento del trombone

Yannick Vallet, nato e cresciuto in Valle d’Aosta, ha intrapreso il suo percorso musicale fin da bambino, diventando un promettente trombonista e affermandosi nel mondo delle orchestre e della musica da camera. Grazie alle sue collaborazioni con diverse orchestre italiane e al suo progetto personale con il trio di ottoni TriumviBrass, Yannick è riuscito a coniugare l’amore per la musica classica e il jazz. In questa intervista, esploriamo il suo percorso formativo, le sue esperienze e le sue ambizioni per il futuro.

a cura di Noemi Aloi


Benvenuto Yannick Vallet, la passione per la musica parte fi n da bambino, sei infatti entrato in conservatorio all’età di 8 anni, come è nato tutto?
Grazie a te Noemi del tempo che mi stai dedicando. In Valle d’Aosta, dove sono nato e cresciuto, c’è una tradizione bandistica molto diff usa, quindi è normale iniziare a studiare uno strumento sin da bambini. Ho iniziato proprio così, alla banda di Chatillon, ai piedi della Valle del Cervino. A 8 anni i miei genitori mi hanno iscritto in conservatorio (mai scelta più saggia), il che mi ha permesso sin da subito di sviluppare una serie di automatismi nella lettura e nella concezione della teoria musicale di cui giovo tutt’ora nella mia realtà professionale quotidiana. In famiglia abbiamo sempre ascoltato tanta musica, sono venuto anche presto a contatto con alcuni musicisti che mi hanno aiutato e indirizzato nel mio percorso, uno su tutti Giorgio Li Calzi, trombettista torinese, che mi regalò un cd fatto in casa con una raccolta di brani jazz di celebri trombettisti americani. Nonostante sia nato nel 2001, la tecnologia che conosciamo oggi ha preso piede solo verso i miei 14 anni, quindi durante la mia crescita posso dire di essere stato uno degli ultimi a ravanare con i cd e girare con i lettori mp3 e le cuffiette, ascoltando sempre quella trentina di brani scaricati da qualche amico o famigliare smanettone.

Oltre alla classica accademica, ti è sempre piaciuta la musica leggera e il Jazz, hai infatti coltivato questi generi parallelamente al tuo percorso di studi. Hai preso ulteriori lezioni private per perfezionarti nello studio di questi generi e di uno strumento in particolare?
Onestamente non saprei datare l’inizio preciso di queste mie passioni, ma sono piuttosto sicuro di aver prima imparato ad apprezzare il jazz e la musica leggera rispetto alla musica classica. Iniziando in contesti come le bande di paese è normale, dopo i concerti, trovarsi a suonare musica da ballo per allietare i momenti di festa. Ovviamente, tutto quel repertorio è ampiamente conosciuto dai più grandi e meno dai più piccoli, i quali quindi iniziano pian piano a cercare di improvvisare un po’ seguendo le melodie e lo stile che sentono attorno a loro. Diciamo che ho imparato così a improvvisare. A 18 anni, tramite un amico, sono venuto a contatto di una bellissima realtà giovanile, la Erios Junior Jazz Orchestra di Biella, con la quale mi sono lanciato nel grandissimo mondo del jazz. Oltre a qualche lezione privata con celebri nomi della scena attuale, ho sempre portato avanti questi generi un po’ in solitudine, cercando di studiare quel minimo necessario per conoscere le regole basilari, per cercare di non perdere originalità e personalismo nel mio gusto. A 19 anni ho vinto l’audizione nella ONJ (orchestra nazionale dei conservatori jazz) e mi sono aperto molte porte con altrettanti contatti di colleghi con cui collaboro tutt’ora.

A 21 anni hai conseguito il triennio in trombone e a 23 il biennio, iniziando a collaborare con diverse orchestre, come l’orchestra Giovanile Italiana, l’orchestra del Teatro Olimpico di Vicenza e l’orchestra Arturo Toscanini di Parma. Oltre che in diverse orchestre porti avanti anche il tuo progetto e con il trio di ottoni TriumviBrass. Preferisci esibirti in trio o con l’orchestra?
Nel periodo della laurea del triennio mi sono affacciato al panorama giovanile del mondo dell’orchestra, un ambiente devo dire abbastanza sconosciuto per me che arrivavo da una regione priva di un ente sinfonico attivo sul territorio. Ne sono rimasto molto affascinato, anche se ci ho messo un po’ per iniziare a capirne davvero il potenziale. Da quest’anno ho iniziato a collaborare con l’Orchestra Toscanini di Parma per diverse produzioni, ma lo considero come un primo passo verso questo fantastico ambiente professionale. Ovviamente con il trio è tutto differente: non sei più un dipendente che va al lavoro ma sei un freelancer imprenditore di sé stesso, con tutto quello che ne concerne a livello burocratico e relazionale. Le soddisfazioni, però, sono molte con i TriumviBrass. Dopo svariati arrangiamenti e trascrizioni, proprio poco tempo fa ho finito il mio primo brano inedito per questa insolita formazione, dunque ho sempre carta bianca sulle scelte artistiche e musicali, cosa quasi inesistente nella carriera da orchestrale. In sintesi, credo che per il momento connubiare le due cose sia la scelta più giusta e che mi permetta di apprezzarle entrambe.

Con il tuo trio avete suonato in quasi tutte le rassegne concertistiche valdostane e in diversi festival nazionali di rilievo, arrivando a vincere il concorso Café Bauhaus indetto dall’Euyo con l’ENO ensemble di Bergamo. Cosa significa questa vittoria nel panorama cameristico?
Sicuramente sono molte le soddisfazioni che ho avuto in questi ultimi due anni nella musica da camera, in valle d’Aosta e non solo… uno su tutti il primo premio nel concorso di musica da camera di Giussano con l’Harmonic Trio (tromba, trombone e pianoforte). Queste esperienze mi hanno permesso di assimilare moltissima naturalezza nell’interazione musicale in piccoli gruppi, riuscendo a calzare a pennello con lo spirito dell’Ensemble Nuovi Orizzonti di Bergamo, con i quali – appunto – abbiamo vinto il prestigioso premio Café Bauhaus nel 2024. La vera novità che deriva da questo premio è che non è più solo musicale, ma anche teatrale: lo spettacolo Responsoria. In pratica abbiamo disposto in una chiesa enorme tutte le panche a rombo, disponendo una trentina di leggii in giro per la chiesa; dopodiché, quando il pubblico era seduto, lievemente confuso e stordito da un ostinato di contrabbasso (posizionato nel centro della chiesa), ognuno di noi musicista selezionava una persona del pubblico per farlo diventare la propria “maschera”, ovvero una fi gura neutra che lo avrebbe accompagnato nel buio in giro per la Chiesa con una luce; tutto ciò per simboleggiare la luce e l’energia che si sposta nello spazio, insieme alla musica, e talvolta incontra nel suo percorso altre anime di luce, interagendoci o ignorandole, dando moltissimi spunti di lettura al pubblico, che spesso non viene informato in anticipo su quello che sarebbe successo. Ecco, questa interazione tra teatro e musica mi ha reso più consapevole di quanto teatro ci sia nella musica, anche in quella più accademica, che richiede sempre un livello di concentrazione ed emotività tale da renderti un attore su un palco, che al posto di usare la bocca per parlare utilizza lo strumento per suonare e raccontare.

Tra i vari generi che suoni, quale preferisci?
Onestamente non ce n’è uno che prevale, diciamo che in ogni situazione lascio emergere la mia parte artistica più attinente a quello che sto facendo, senza mai oscurare comunque tutte le altre. Mi piace l’idea di affrontare uno specifico genere o periodo musicale con un approccio più completo e multilaterale.

Oltre al trombone suoni o hai mai suonato altri strumenti?
Suono spesso l’eufonio (parente stretto del trombone) e il trombone contralto, una versione più piccola di quello standard. Dato il mio percorso di studi so anche mettere le mani sul pianoforte, ma niente di eccezionale. Ultimamente sto’ utilizzando la melodica in varie formazioni cameristiche; per chi non lo sapesse è una specie di mini-tastiera alimentata dal soffi o che suona grazie ad alcune ance (una grande armonica a bocca che si suona con le dita).

Ogni strumento ha le proprie difficoltà, i fiati in particolare che difficoltà hanno rispetto agli strumenti che non lo sono?
La più grande difficoltà degli strumenti a fiati, e ancor più gli ottoni, è la connessione imprescindibile con la nostra condizione psico-fisica. Mi spiego meglio… Il primo mezzo tramite il quale il nostro sistema nervoso manifesta le sue paure e preoccupazioni è il corpo, di conseguenza ogni minima situazione di ansia da prestazione o agitazione si collegherà alla nostra respirazione. Siccome nei fiati il suono nasce primariamente grazie al flusso d’aria, la più grande difficoltà – a mio parere – è riuscire a controllare il proprio corpo, riuscendo pian piano a conoscersi e a sapersi auto-ingannare in caso di difficoltà.

Il Jazz come influenza il tuo percorso accademico?
Il jazz ha un ruolo fondamentale: è improvvisato. La musica nella storia nasce improvvisata, come in realtà tutta l’arte. L’uomo ha poi voluto trovare dei modi di affinare la propria tecnica tramite lo studio, ma non bisogna dimenticarsi che la tecnica è un mezzo per dare forma a un’idea. Le idee non si studiano, o meglio, le intuizioni. Spesso questa prospettiva mi permette di guardare il mio lavoro sotto altri punti di vista, stimolandomi a cercare sempre quella genuinità e purezza propria della creatività, anche se apparentemente in quel momento sono chiamato a replicare “paro paro” un qualcosa già pensato e scritto su carta da qualcun altro. Oltre a questo, è liberatorio e rigenerante avere il potere della creazione, questo è il jazz.

Hai mai pensato di comporre qualcosa o ti piacerebbe farlo?
Da qualche mese mi sto’ mettendo in gioco anche in questo, proprio una settimana fa ho terminato il mio primo brano originale “A lost feeling” per il mio trio di ottoni. Come spesso si sente dagli scrittori nelle loro interviste, creare è davvero stancante ma altresì gratificante. Per il momento non esce nulla al primo colpo, ma scopro tante cose dagli errori grossolani che commetto nella scrittura impulsiva. Ti confesso che ho un gruppo WhatsApp, con me soltanto all’interno, dove canticchio le idee che mi vengono in mente nelle mie giornate, per poi ascoltarle e cercare di dargli forma quando arrivo a casa la sera.

Facendo il musicista c’è anche possibilità di viaggiare, dove ti piacerebbe andare con la tua musica?
Onestamente mi piacerebbe viaggiare molto, soprattutto in Europa. Senza farmi troppe aspettative, lascio alla musica e alla sorte la decisione su tutte le destinazioni dei miei prossimi viaggi, fermo restando che la mia casa è la Valle d’Aosta. Grazie per il tuo tempo Yannick

Grazie Yannick per l’interessante intervista che ci hai concesso.
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